Che musica che fa

Sanremo, la quarta: Elisa sembra la principessa di Frozen e il paese si ferma

Enrico Veronese

Vincono Jovanotti e Morandi perché sono stati visti in continuità, perché la nostalgia è il motore immoto. Due brani propri a testa sprigionano energia tale da abbassare le bollette

Al quarto giorno di Sanremo, quello deputato alle cover, si capisce come Ciao2021 (il programma russo di Capodanno) avesse arrotondato per difetto la propria parodia. Il festival più fluid e woke di sempre ha già praticamente eletto i suoi tre alfieri: la classifica combinata fra la sala stampa, il televoto e i misteriosi demòscopi proietta in alto Gianni Morandi, vincitore del contest in coppia con Jovanotti -rifanno se stessi, bella forza- ma non abbastanza da scalzare Mahmood e Blanco, usciti indenni in un terreno impervio (“Il cielo in una stanza”), congelando le cose. Elisa ormai forse si rassegna a non ottenere una vittoria prevista e cercata, ma sfumata nel conclave: a dimostrazione che le differenti percezioni di parte assolvono il piagnisteo cantilenato urban mentre respingono il piagnisteo cantilenato classic, la storia d’Italia.

 

“Non c’è niente da dire, niente da fare”, commenterebbe Emma: tra le scognominate, Elisa dicono interpreti una principessa Frozen. Ma non è forse di favole che abbiamo bisogno, di piangere come vitelli con le canzoni di Fossati, di morire un po’ per poter vivere? Il Paese si ferma, rimanda, procrastina al prossimo lunedì, viviamo nel migliore dei mondi possibili e i cantanti si sentono tutti più liberi: questo Festival ha più marce di una coupé.

 

Chi temeva una raffica di “come ti permetti?” tosto si ravvede per le coreografie tommassiniane dei primi brani difficili, chi organizza da una vita sa che la gente dev’essere pronta ad assimilare: così Noemi calza a suo agio i panni di Aretha Franklin per “Natural woman”, esordio col botto e Veronica al piano. Di grande spessore l’abbinata fra uno ieratico Giovanni Truppi e lo stranamente rassicurante Vinicio Capossela, che all’incedere di Bob Dylan rimarcano “Nella mia ora di libertà” come meglio non potrebbero: i Coinvolti riportano la politica e gli anni Settanta sul palco dell’Ariston, quasi per contrappeso il commovente Yuman cammina sul filo e -sostenuto dalla pianista jazz Rita Marcotulli- scarica tutto su “My Way” in odore di eternità.

 

I Guns’n’Roses, dicono in rete, sono i convitati di pietra che nessuno avrebbe previsto: Le Vibrazioni guardano a loro per coprire “Live and let die” più che a Paul McCartney (bravissima la vocalist, infuocata la resa rock), purtroppo invece Sangiovanni non ha l’età per cantare “A muso duro” -specie così vicino al microfono- senza aver vissuto quelle esperienze. La Mannoia, materna, comprende il momento e prende in mano le redini della situazione, liberata dal cuore grande delle ragazze Emma e Francesca Michielin che si fingono opposte per “(Hit me) baby one more time”. Le Britneys e il loro piglio sfidante porta a non avere certezze: è il festival della deflagrazione, dell’anno zero post Måneskin.

 

Perché ha vinto la spudoracciata di Morandi e Jovanotti? Perché sono stati visti in continuità, perché la nostalgia è il motore immoto, e due brani propri a testa sprigionano energia tale da abbassare le bollette: quanta SIAE, quanta egemonia culturale di Radio Deejay fra Amadeus e Lorenzo Cherubini, come con Fiorello giorni fa. Elisa, per compenso, è trattenuta e lascia spazio alla ballerina Elena d’Amario sopra le note di “What a feeling” da Flashdance, attrezziera facile per la cantante di “Labyrinth” che potrebbe largamente lasciarsi andare e non lo fa, lasciando centesimi di vittoria. Nel frattempo Loredana Bertè ha perso anche la voce e Irama veste anni 90 per tributare il socio Gianluca Grignani, che vascheggia gonfio chiedendo spiccioli di notorietà alla platea. “Your song” è la ninna nanna della buonanotte di mamma Malika Ayane al figlio Matteo Romano, prima di uscire lei stessa per cantare in un night.
 

Effetti speciali per Iva Zanicchi, che rievoca la scomparsa Milva utilizzando il metodo Natalie Cole: l’Aquila di Ligonchio parte un po’ soffocata per affrontare l’ostica quanto bellissima “Canzone” di Don Backy, poi però cresce tra le luci del passato. Una uscita di scena imperiale e maestosa, per chi presumibilmente corona la propria carriera. Ma che ne sanno Ana Mena e Rocco Hunt, che scelgono a caso da repertori che non dialogano? L’addio di Ronnie Spector càpita a fagiolo per mandare in orbita La Rappresentante di Ronettes (Rita Pavone reloaded) con le aliene Margherita Vicario e Ginevra: “Be my baby” rarefatta diventa i Delta V che lucidano Mina, Cosmo fa ballare sopra il palco come in un rave del ‘96. L’episodio più bello, spazio fratto tempo.



Un colpo al cerchio, uno alla botte: Massimo Ranieri chiama a sé Nek per lavorare ad “Anna verrà” di Pino Daniele, ma il modenese entra sfasato nelle more del primo, che si vede quanto ci tenga. Mal assortiti in due, ma anche Jovanotti (“super” ospite) lo è da solo quando uccide il mood attraverso una marchetta pretenziosa. E la musica? Tutto scompare alla scalinata di Michele Bravi, abito verde bottiglia e maglina di rete sul ventre, che fa del proprio corpo un’opera d’arte situazionista. Molto bravo, secondo dopo secondo, dentro “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi” del primo o secondo Lucio, le fedi dei nonni gli valgono una carta d’identità italiana a vita.


Tra i premi che Mahmood e Blanco potrebbero incassare di qui a poche ore, anche quello per gli arrangiamenti: non si esime l’orchestra del teatro, che sospende nell’aria “Il cielo in una stanza” limitando la loro eventuale volontà di strafare. Blanco è qui per restare, Arisa invece per tornare: convince la sua performance in “Cambiare” di Alex Baroni, collegata a un Aka7even che tiene discretamente botta. Highsnob e Hu ncespicano nel rischio di aggiungere anziché togliere, con intro e outro aggiunte alla miliare “Mi sono innamorato di te”: lei bellissima e sempre più Sinéad, disarticolano il concetto di cover e si riparano sotto i tuoni.

 

Dargen, sgonfiato dopo i primi botti, è sgasato e in un empito di purezza svicola per i fatti suoi in uno special electro-spoken, suo marchio di fabbrica. Ci crede tanto Giusy Ferreri, che chiede ad Andy dei Bluvertigo di portare il suo sax di classe al servizio di “Io vivrò senza te”, ennesima pesca nel mare di Battisti: intensa e potente, l’interpretazione diventa un treno. Ci crede tanto anche Fabrizio Moro, che somma in sé i quattro Pooh per ricategorizzare “Uomini soli”: il brano meritava di meglio, ma l’associazione di idee con Gigi de Magistris è salva. Infine le mine vaganti Tananai e Rose Chemical, che rimorchiano su Linkedin sfruttando la gag a tema Grande Bellezza per inscenare il saluto a Raffaella Carrà: tutti chiamano battimani e standing alla sala, manca solo Carlo Conti con il countdown di San Silvestro.

 

L’esito della competizione che salda e blinda le prime tre posizioni non accontenta il Foglio (Rappresentante, Truppi, Emma con menzione a Bravi), ma consente di risparmiare pronostici scervellati: i teneri Mahmood e Blanco, l’eterno social Morandi e un’imbronciata Elisa saliranno sopra il podio anche questa sera come ieri. Chi papa (con Francesco ricevuto domenica da Fazio), chi cardinale: l’inerzia volge a favore del duo bromantico, ma il 77enne di Monghidoro ha già mangiato una posizione, non ha affatto da perdere e anzi sicuramente si starà gasando a costo di strafare. Elisa sa che a Trieste, vicino a casa, dicono “Na volta córe el gato, ‘na volta córe el can”.

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