(foto di Ansa)

Oltre le note

La musica farà pure cagare, ma i testi sorprendono. Semantica dell'Eurovision

Claudio Giunta

Oltre alle parole d'amore, nelle canzoni in gara spuntano pure il veggy porn e la critica della sanità serba. Meglio giudicarle attraverso la categoria della "fischiettabilità"

Ma entriamo nel merito. Come dicevo ieri, al terzo ascolto tutte le canzoni sono gradevoli per chi, com’è il mio caso, non s’intende minimamente di musica. Ho chiesto un parere al mio amico jazzista Lorenzo, che di musica s’intende molto, e lui dopo la prima semifinale ha espresso un giudizio che suona sensibilmente diverso dal mio – “fanno tutte cagare” – ma in realtà se si guarda bene in fin dei conti combacia: se si cerca musica raffinata probabilmente si è entrati nella stanza sbagliata, se invece l’ambizione massima è fischiettare, l’Eurovision Song Contest (Esc) va benissimo.

 

Astenendomi dunque da un giudizio davvero argomentato sulle melodie, gli arrangiamenti, le voci, e non escludendo che abbia ragione l’amico Lorenzo, introduco qui la categoria analitica della FISCHIETTABILITÀ, e constato intanto che all’Esc di quest’anno ci sono fior di canzoni fischiettabilissime, di sicura resa sia alla radio sia sui dance-floor estivi, il che tra l’altro è di ottimo auspicio se l’obiettivo è, come dev’essere, quello di evitarci il consueto tormentone ispano-americano di merda. Segnalo in particolare The Show del gruppo danese Reddi, gruppo formato da quattro ragazze che cantano appunto l’empowerment femminile: “Vogliamo dire al mondo che le donne possono fare tutto da sole”, dice la loro scheda nel librone dell’Esc; e ri-segnalo sia la un po’ ruffiana ma orecchiabilissima (“Oeoeo ahah, oeoeo ahah”) De Diepte (“La profondità”) della giovanissima S10 sia il bel pezzo da balera dei norvegesi Subwoolfer (Give that wolf a banana), che ieri sera abbiamo visto in gran forma al parco del Valentino e che meriterebbero non so se di vincere ma certamente un bel piazzamento per aver portato all’Esc – unici almeno per ora – non solo una canzone decisamente passabile (tra l’altro con una quasi-rima da virtuosi come grandma-banana) ma tutto uno spettacolo fatto di costumi colorati, passi di danza, coreografie, maschere gialle da lupi e videoclip, insomma tutte le delizie dello show-business, che quest’anno mi sembrano un po’ latitare, ed è un peccato (invece, da un lato parecchio intimismo anche un po’ lagnoso, dall’altro molto folk urlacchiato in omaggio a tradizioni soprattutto balcaniche o nordeuropee, magari modernizzato con innesti rock o hip hop, che è il caso degli ucraini, o dei francesi che cantano in bretone. Mah…). 

 

Ma venendo ai testi, che sono il mio campo di studio e lavoro, noto preliminarmente che una buona maggioranza parla d’amore, il che non è sorprendente, e che si tratta quasi sempre di amore deluso o finito o tradito, e neanche questo sorprende, in fondo, ma merita di essere segnalato, perché è in linea con quella tendenza al pessimismo, alla mutria, alla transizione dal rosa al grigio osservata su base statistica da Alberto Acerbi e Charlotte Brand in un saggio dal titolo Why are pop songs getting sadder than they used to be? (www.aeon.com, 4 febbraio 2020): pare insomma che le canzoni pop stiano diventando sempre più tristi, sempre più propense a veicolare emozioni negative, come pain, hate, sorrow, anziché positive come love, joy, happy.

 

Anche all’Esc di quest’anno, se non sbaglio (Premio Languore, direi, alla lituana Monika Liu, Sentimentai: “A million roses like sentiments / Are drowning in a sea of clouds”). Ma non c’è solo l’amore, e almeno per aver scelto in controtendenza meritano un podio a parte al terzo posto l’australiano Sheldon Riley, che in Not the same racconta di un’infanzia e giovinezza difficili (sindrome di Asperger, case popolari, sessualità irrisolta, genitori castranti: ma nonostante queste disgrazie, o forse a causa loro, è stato uno dei più simpatici sul turquoise carpet); al secondo posto i lettoni Citi Zeni, che portano una canzone super-ambientalista (Eat your salad) musicalmente tremenda, una specie di incrocio tra Kid Creole & The Coconuts e Rapper’s delight, il tutto vomitato da un cane, ma molto originale nel ritornello, “Oh, when you eat your veggies / Baby, think of me / Little kitty, don’t you know that / Being green is cool? Let’s go organic!”, e ancora più originale nell’attacco: “Instead of meat I eat veggies and pussy / I like them both fresh, like them both juicy” (pussy non è passato al filtro del sito dell’Esc, che al suo posto ha messo dei puntini, ma il pubblico era informato e pronto, martedì, e ha cantato in coro); e al primo posto In corpore sano della serba Konstrakta, che se ne frega e gioca un campionato tutto suo: set design alla Laurie Anderson e canzone (in serbo) dedicata – dice il librone dell’Esc – “a una critica del sistema sanitario serbo” e di certi inattingibili standard di bellezza, inizia così: “Quale sarà il segreto dei capelli di Meghan Markle? / Quale sarà? / Credo che dipenda tutto da un’idratazione profonda”. Siamo ovviamente fuori dei canoni della FISCHIETTABILITÀ, ma in mezzo a tante lolite lei ha proprio l’aria di una donna interessante.

Di più su questi argomenti: