Foto di Luca Zennaro, via Ansa 

storia di un genere

Gué, Sfera Ebbasta, Rkomi: il senso della trap

Maurizio Stefanini

Melodie minimali e ipnotiche, testi che parlano di droga, delinquenza, disagio. E anche storie criminali per una musica da “vite in trappola”

C’erano una volta i trapper. Scorticavano le bestie, ma erano visti come eroi positivi. Ci sono ora i trapper. Fanno musica, ma sono visti come delinquenti. Entrambi vengono dagli Stati Uniti; entrambi traggono il loro nome da “trap”, trappola. Trappeurs in francese e trappers in inglese. Nel XVIII e XIX secolo erano cacciatori che nei mesi caldi vagavano per le praterie e montagne degli attuali Stati Uniti e Canada, catturando tassi, opossum o castori appunto con trappole, per non rovinarne le pregiate pellicce con pallottole.

 

Caratteristici per il misto di equipaggiamento europeo e indiano che usavano: indumenti e calzature in pelle di daino; copricapi di pelliccia ornati con la lunga coda dell’animale catturato; fucili lunghi di derivazione tedesca; coltelli da caccia; accette tipo tomahawk che nella versione franco-canadese si facevano reminiscenza della francisca dei guerrieri di Clodoveo. Tra i primi esploratori del “selvaggio West” e spesso guide dell’esercito durante le guerre indiane e nella guerra civile, con personaggi come Davy Crockett e Kit Carson furono i primi eroi dell’epopea della Frontiera. Poi li sostituirono sceriffi e cow-boys, che essendo venuti subito prima dell’invenzione del cinema furono i protagonisti dell’epopea del Western. Ma negli anni 50 e 60 ci fu una moda trapper nel fumetto italiano. Primo fra tutti Blek Macigno, capo di un gruppo di patrioti durante la Rivoluzione americana. Ma anche il Kit Carson “pard” di Tex Willer, o i molti trapper amici di Zagor. 

 

I nuovi trapper invece, arrivano negli anni 90 del XX secolo. Non dal West, ma dal sud degli Stati Uniti. Sempre da “Trap”, ma nel senso di “Trap House”: appartamenti abbandonati e degradati nei sobborghi di Atlanta, in cui si fabbricavano e spacciavano sostanze stupefacenti. Sembra, perché i piccoli spacciatori spesso anche loro tossicodipendenti sentivano di avere a loro volta “la vita in trappola”. E “trapping”, in slang, diventa “spacciare”. Ma c’è tutta una preistoria che inizia addirittura in Africa occidentale con i griot: aedi che ripetono a memoria le saghe dei clan, a ritmo cadenzato accompagnato da una via di mezzo tra arpa e liuto che si chiama kora. Che poi non è una cosa troppo diversa da quel che faceva Omero con la cetra, e l’Alex Haley di “Radici” grazie a un griot del Gambia poté verificare la tradizione orale di famiglia sul suo avo fatto schiavo Kunta Kinte.

 

Portata appunto negli attuali Stati Uniti da schiavi, quella tradizione dà origine a uno stile di verso intermedio tra poesia e canto che proprio perché spesso usato per veloci botta e risposta viene chiamato con un termine che nell’inglese del ’500 significa “botta leggera”. Rap. È pure la tecnica con cui Muhammad Alì incita i suoi tifosi, e non è in realtà troppo diversa dalle “fronne ’e limone” della tradizione folklorica campana. Ma c’è anche sempre dalla stessa fonte una derivazione giamaicana: il toasting. Con l’emigrazione caraibica negli anni 70, a New York  rap e toasting si reincontrano; si contaminano con altri filoni musicali; soprattutto si imbastiscono con nuove diavolerie elettroniche. Il campionamento, che manipola suoni già incisi. La drum machine, che imita gli strumenti a percussione. Così nasce l’hip hop. Come il passo dei soldati: hip hop, hip hop. A lungo musica di strada, arriva tra dischi, radio e tv dal 1979. 

 

Negli anni 80, con un successo sia pure ancora solo Usa, l’hip hop inizia a diversificarsi in vari stili. Negli anni 90 dilaga nel mondo. Dal 1997 è il genere musicale più venduto. Anche in Italia diventano frequenti i rapper che vanno in metropolitana a comporre versi a partire da una parola suggerita da un passeggero interpellato, con tecnica che poi in realtà si aggancia a sua volta ad antiche tradizioni autoctone come quella nostra dei poeti a braccio. Ma dal 2005 le vendite iniziano a calare. Attorno al 2010 inizia a imporsi quella musica trap che i filologi considerano sicuramente una derivazione del southern hip hop, avvenuta ad Atlanta a fine anni 90. Molti trapper rifiutano con sdegno questa filiazione, per affermare una loro originalità assoluta.

 

Si potrebbe allora osservare come al successo non arriva il trap puro, ma una fusione – particolarmente adatta alla discoteca – con il dubstep: genere di musica elettronica nato nel Regno Unito a inizio anni 2000. Dal 2012 iniziano a fare trap anche artisti famosi come Beyoncé, Lady Gaga, Madonna o Lana Del Rey. Dal 2017 diventa il genere dominante. 
In origine, i testi battono massicciamente su droga, criminalità e disagio. E a questo punto a caratterizzare il trap sarebbe semplicemente un contenuto “delinquenziale” simile al gangsta rap. O ai narcocorridos messicani. O a un certo tipo di tango delle origini. O, andando alla tradizione italiana, alla “ndrina music” calabrese, agli “stornelli della mala” romani o alle vicariote siciliane. Ma, appunto, per farli cantare anche a Madonna o Beyoncé i testi devono diventare più vari.

 

Così la trap inizia a essere identificata anche e soprattutto da una cifra musicale. L’uso di una drum machine chiamata Roland Tr-808, ad esempio. Una traccia tra i 70 e i 180 battiti per minuto. Melodie minimali e ipnotiche, ma con linee vocali più melodiche, più cantate e meno parlate del rap. Negli ultimi anni nel trap si fa massiccio anche l’utilizzo dell’autotune, che era stato inventato per correggere le stonature e le imperfezioni vocali, ma che diventa un modo per ottenere una voce dal suono robotico.  
“Per questi soldi divento pazzo / ma una banconota è meno lunga del mio cazzo / pesa zero virgola otto grammi / così leggera ’sta bastarda, così grossi i drammi /  telecomando, stai muto in pausa / lei resta in mutande come se ha perso la causa / soltanto troie, zero regine / questa non è una Repubblica, è un regime” è il testo nel 2011 di “Il ragazzo d’oro”: canzone che dà il titolo all’album di Gué Pequeno, al secolo il milanese allora 31enne Cosimo Fini.

 

È considerato il primo trap italiano, anche se all’epoca era ancora indicato come alternative hip hop. “Mamma ho ingoiato l’autotune” è nel 2012 l’album che inizia a portare in Italia massicci elementi del genere, a partire appunto dalla voce robotica citata nel titolo. Lo canta il 30enne romano Jesto, che sarebbe poi lo pseudonimo di Justin Yamanouchi, che sarebbe poi il figlio dell’annunciatrice radiotelevisiva e speaker del Tgr Teresa Piazza e del leggendario cantautore Stefano Rosso. Sì, quello del: “Che bello / gli amici, la chitarra e uno spinello”! Ma quando nacque, la madre era ancora formalmente sposata all’attore giapponese Haruhiko Yamanouchi. 
“Giù per strada / Vieni qui, ci sta cioccolata / Cioccolata, cioccolata / Vieni qua, ti do la mia cioccolata / Cioccolata”, è nel luglio del 2014 il testo di “Cioccolata” di Maruego, al secolo l’oriundo marocchino Oussama Laanbi. Tra il testo che parla sia pure velatamente di spaccio e droga e l’uso massiccio di beat e auto-tune, è il primo successo di una canzone apertamente trap in Italia.

 

“Un chilo nel baule, ah, per davvero / Cuscino senza piume, ah, per davvero / In giro tutto il giorno si, per davvero / Sotto i palazzoni, mmmh, per davvero / E ho mollato scuola sì, per davvero / E ne fumo cinque all’ora si, per davvero / Mia mamma non lavora no, per davvero / E farò una rapina, rrrrahh, per davvero / I frà fanno le bustine, mmmh, per davvero / E poi le vendono in cortile, mmmh, per davvero / Fanculo alla madama, ah, per davvero / Scippiamo una puttana, sì, per davvero” è il testo di “XDVR”: canzone che dà il titolo al primo album trap di successo in Italia, uscito nel giugno del 2015 ed eseguito dal 23enne di Sesto San Giovanni Gionata Boschetti, in arte Sfera Ebbasta. È il cantante che ha venduto più dischi in Italia tra 2010 e 2019.

 

Ma tra il grande pubblico il trapper più famoso diventa probabilmente Lauro De Marinis, nato a Verona nel 1990, e noto col nome d’arte di Achille Lauro. Per i tre Sanremo a cui partecipa con un gusto dello svestimento-travestimento-citazione del sacro che fa arrabbiare tanti, e estasiare tanti altri. Pure per Sanremo passa  Mirko Manuele Martorana, nato a Milano nel 1990, e conosciuto col nome d’arte di Rkomi.

 

Proprio questa evoluzione festivaliera viene però considerata un segnale di crisi del trap italiano, a partire dal 2020. A questo punto, per gli esperti, il nuovo genere dominante è l’Indie, che peraltro è termine generico per indicare tutto ciò che sta fuori da grande industria e grande distribuzione. È in risposta allo slittamento pop di Sfera Ebbasta o Achille Lauro se i puri e duri decidono di tornare alle origini non solo in termini di sonorità e contenuti, ma anche di comportamenti? Jordan e Traffik, ad esempio. “C’ho un pacco di roba / me lo posto sui Social”, cantava Jordan Jeffrey Baby, al secolo Jeffrey Tinti, brianzolo di 25 anni, nella sua hit “Puttane e Collane”. “Seh, negro (woah) / Traffik (woah) / E’ Youngotti con il Flexboy / Sto con mio cugino (woah) / Sto con mio cugino / Negro, io metto una otto in un litro (una otto in un litro) / El Tigre, el Puma sopra quel perico (seh)” è il testo di “Magma Vulcano”: cantata, assieme a appunto a un cugino il cui nome d’arte è Gallagher, da Traffik. Al secolo Gianmarco Fagà, romano di 26 anni. 

 

Il 10 agosto Jordan e Traffik sono stati arrestati dai carabinieri di Vimercate per rapina aggravata da uso di armi e discriminazione razziale. Motivo: l’aggressione a un 41enne cittadino nigeriano con due coltelli da 16 centimetri avvenuta nel sottopassaggio della stazione di Carnate, in provincia di Monza, al grido “ti ammazziamo perché sei nero” , “qui i neri non li vogliamo”. Il tutto ripreso in video, e postato su YouTube mentre gli sfasciavano la bicicletta.

 

Ma già nel 2021 la procura aveva chiuso nei confronti di Jordan le indagini per il reato di istigazione a delinquere, dopo aver augurato sui social “un bagno nell’acido” all’inviato di “Striscia la notizia” Vittorio Brumotti, per un servizio sullo spaccio di droga alla stazione di Monza. Nel dicembre del 2019 a Napoli aveva girato un video mentre insultava i carabinieri ballando sul tetto di una loro macchina. Un mese dopo a Pordenone dopo essere stato sorpreso in un Bed & Breakfast con qualche grammo di hashish aveva insultato la polizia in diretta Instagram. Ha una denuncia per aver postato su Instagram il suo rapporto sessuale con una ragazza. La sezione misure di prevenzione del tribunale aveva disposto per lui la sorveglianza speciale per un anno come individuo “socialmente pericoloso”. 

 

Quanto a Traffik, altri rapper lo accusarono di razzismo appunto per l’uso indiscriminato dell’espressione “negro” in “Magna Vulcano”. Lui rispose, sempre assieme all’inseparabile cugino, con una canzone intitolata “Diamanti razzisti”: “Negro, ci inseguono i falchi, / borsone di marca riempiti all’interno. / Negro, preparo l’extendo (woah), / negro ti punto il mio draco”. “I miei soldi li faccio perché vendo droga”, è un altro suo verso. Nel 2021 è stato condannato a tre anni e due mesi in primo grado dal tribunale di Novara con l’accusa di maltrattamenti verso una ex fidanzata, influencer piemontese. Assieme al cugino, ha pure picchiato un uomo del Bangladesh dopo aver cercato di rapinare tre fan che gli avevano chiesto un autografo.

 

Traffik non ha mai fatto un album, ma ha molte collaborazioni, ha 31.000 ascoltatori mensili, e un paio di sue canzoni hanno superato il milione di stream.  L’avvocato di Jordan insiste che è un bravo ragazzo. “Lo conosco da quando aveva 4 anni e, come penalista, lo seguo dal 2018… da quando ha cominciato ad avere guai con la Giustizia”. Malgrado fosse rimasto da piccolo senza madre, che se ne era andata di casa, è stato cresciuto dal padre operaio “con molta attenzione e sani principi”, secondo il legale.

 

“Non è mai stato un violento e nemmeno un razzista. Anzi nelle sue prime canzoni si è sempre schierato dalla parte degli ultimi e dei diversi. La prima volta che ebbi a che fare con lui in un’aula giudiziaria fu perché era stato aggredito da un energumeno dopo una lite stradale”. È proprio il difensore a insistere che la colpa è del trap. “È un debole e si è lasciato trascinare. Ma ha sempre preso lui gli schiaffi”. Insomma, “un ragazzo fragile” con “una grande debolezza e paura”, che all’inizio era anche sembrato sfondare e guadagnare un po’ di soldi, ma adesso “vive di espedienti”, aiutato dal padre. 

 

Elia 17 Baby è lo pseudonimo di Elia Di Genova, trapper romano 26einne con migliaia di followers. “Ho fatto delle cose che non posso raccontare, / nuovi diamanti sulle mie collane /, non finisco in manette, / Glock su chi mente”, è un suo testo in cui minaccia l’uso di una pistola. “Ah, ah questi stupidi agenti. / Ah, ah col cazzo che mi prendi. / Pam Pam ti levo tutti i denti”. In realtà la notte tra il 20 e 21 agosto a Porto Rotondo ha ridotto un 34enne in fin di vita non con una Glock, ma con un coltello. In compenso, gli agenti lo hanno preso e sta in galera. Già nel 2021 aveva avuto guai, per una rissa con turisti a Villa Borghese. 

 

Tutte e due le cose assieme sono invece capitate al 23enne Simba La Rue, al secolo  Mohamed Lamine Saida, “un po’ italiano, un po’ tunisino” come si definisce nella canzone “Cara Italia”: accoltellato e imprigionato. L’avvocato ne aveva chiesto la liberazione per evitargli di perdere una gamba, ma il giudice ha rifiutato perché “incapace di autocontrollo”. Il 16 giugno aveva culminato una lunga faida col trapper rivale Mohamed Amine Amagour, detto Baby Touché, addirittura sequestrandolo.

 

Nove arresti ne sono seguiti, anche se il primo agosto i due hanno spiegato in tribunale che in realtà era stata tutta una “finzione” per aumentare le visualizzazioni sui social. Cosa non si fa per un click… 
Il 18 agosto a Duino Aurisina, provincia di Trieste, è stata fatta addirittura una cerimonia riparatrice presso un cimitero della Grande guerra dove due trapper di notte avevano girato un video. 
L’8 gennaio si ricorse addirittura alle armi da fuoco, a piazza Monte Falterona a San Siro. Da una parte il rapper Kappa24k, ovvero Islam Abdel Karim. Dall’altra il pregiudicato per narcotraffico Carlo Testa, schierato con tre rapper suoi rivali: Keta, Rondo da Sosa e Simba la Rue. 

 

Eppure, il 23 agosto il Tar lombardo ha stabilito che anche trappare è un diritto. Quindi, poiché il 20enne Mattia Barbieri, in arte Rondo da Sosa, “è un esponente di spicco della scena musicale rap/trap italiana” e “pertanto, la possibilità di accedere a discoteche, pub e luoghi di ritrovo risulta fondamentale affinché possa svolgere l’attività di cantante”, va annullato un “daspo urbano Willy a carico del giovane, che gli impediva per due anni l’accesso a ogni locale di pubblico intrattenimento”, a Milano, e a ogni esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande, nonché la sosta nelle immediate vicinanze. Conseguenza di disordini che si erano verificati davanti alla discoteca milanese “Old Fashion” il 12 luglio 2021.

 

E poi c’è il Meeting di Rimini. “La Chiesa deve rimettersi sulla strada. Dobbiamo ascoltare cosa ci stanno dicendo i trapper, tenendo conto che questa emergenza educativa porta in sé anche una speranza”, vi ha detto don Claudio Burgio. Lasciate che i trapper vengano a me… 

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