“Profilo di rigenerazione”
C'era una volta il Jova Beach Party, ora c'è un Report che spiega perché la musica ha fatto bene all'ambiente
Come fare intrattenimento generando benessere e facendo anche bene all'ecosistema. Lo studio voluto da Jovanotti sull’impatto dei suoi concerti. Dati e risultati contro il pregiudizio
Il grande veliero del Jova Beach Party 2 ha ammainato le vele lunedì, all’Alcatraz di Milano, la città cui manca solo il mare, con il concerto “bonus track” riservato a duemila fra quanti, al biglietto di quest’estate, avevano aggiunto un contributo che ha permesso di raccogliere tre milioni di euro destinati al progetto Ri-Party-Amo per il ripristino di 20 milioni di metri quadri di aree naturali degradate. Ci voleva una festa finale per ringraziare tutti, rispondendo con felice energia a chi si è affannato per mesi a denunciare il JBP 2 come fosse un disastro ambientale. Il progetto Ri-Party-Amo non è l’unica eredità che il grande tour balneare itinerante ha lasciato a chi ne saprà approfittare. Seduto a un tavolone di legno chiaro, in una mattina milanese poco estiva, Lorenzo Cherubini è rilassato, orgoglioso come un capitano di presentare in anteprima al Foglio un documento che si intitola “Legacy Report - Fondamenta”.
Niente a che vedere con un borderò: “Questo Legacy Report esplora quale sia stato il risultato generato da Jova Beach Party 2022 secondo una prospettiva di ecosistema e con un orizzonte temporale che si spinge oltre l’estate 2022”, si legge. A scriverlo sono gli analisti di Nativa – società milanese specializzata in valutazione dell’impatto di sostenibilità di aziende, che fra le altre cose rilascia la certificazione B. Corp. (Benefit Corporation), che certifica aziende o enti che soddisfano i più elevati standard di trasparenza, responsabilità e sostenibilità. Che cosa c’entra con la musica? “Legacy esprime le conseguenze, sia dirette che indirette, l’eredità, di un’attività umana sulle persone e sul pianeta. Report indica un’analisi finalizzata non solo a descrivere quanto è accaduto ma anche e soprattutto a migliorare. Questa è l’edizione ‘fondamenta’ perché si offre come base su cui costruire le attività future”. Non si era mai fatto, e c’è molto da leggere – numeri e metodologie d’analisi – anche per i detrattori del Jova Beach Party, quelli con l’accusa di greenwashing incorporata. Lui lo sa, ma nemmeno gli importa più di tanto. Gli importa altro.
Il Legacy Report – che verrà reso disponibile oggi sul sito di Trident Music, la società che ha prodotto il tour – è nato molto prima (“anche per Nativa era un territorio nuovo”), perché “non esiste ambito delle attività umane che possa chiamarsi fuori dalla questione ambientale”, aveva detto lanciando il tour. Molto prima delle polemiche scatenate “da un mondo ecologista estremista, ideologizzato”. Capire e documentare per la prima volta “che tipo di impatto ambientale, ma anche che ‘beneficio’, una attività come la nostra produce”. Rispondendo ad alcune domande: “Senza Jova Beach Party il mondo sarebbe migliore o peggiore? Le persone starebbero meglio o peggio? E la natura? Se migliore, come e perché? Se peggiore, come e perché?”. Dove, va detto, la domanda “le persone starebbero meglio o peggio?” fa capire che l’eredità positiva di un evento umano come questo non si valuta solo in CO2 prodotta o in plastica riciclata. Bisogna evitare la pretesa che “se c’è attività umana, ci sono degli impatti, sicuramente si utilizzano risorse, si mobilitano persone, si generano emissioni inquinanti”, siamo nel territorio del Male.
Si può invece valutare l’impatto, criticità e benefici. C’è una raccolta analitica e quantitativa dei dati, e c’è una filosofia. “Tutto nasce attorno al concetto di Rigenerazione”, si legge. “Significa ‘dare più di quello che si prende’, includendo l’ambiente, gli aspetti sociali e culturali, e quelli economici”. Perché la tutela dell’ambiente non può essere antieconomica, non tutto è devastazione antropica. (“Io credo che ci voglia una sostenibilità sostenibile, perché la società non decresce, non siamo fatti per decrescere”). C’era una volta un tour gigantesco sulle spiagge, oggi c’è un “Profilo di rigenerazione”, che aiuta a capire gli impatti rispetto a cinque aree: circolarità nell’uso delle risorse, impatto sugli ecosistemi, resilienza climatica: cioè la gestione e misurazione delle emissioni. L’educazione e il coinvolgimento, cioè la capacità di trasmettere comportamenti sostenibili. Da ultimo, il benessere, “felicità e salute”: che riguarda tutti dal pubblico alle comunità locali ai lavoratori: perché è per la felicità che si fanno le cose.
Risultati, comprese le valutazioni fornite dagli stakeholder e dai lavoratori nel complesso buoni. E non è solo per la valutazione: la plastica abolita al 100 per cento, la carta solo riciclata e riciclabile, il riutilizzo dei materiali al 95 per cento, la racconta differenziata all’85 su una media nazionale al 68. Anche le auto usate al 44,7 per cento sono un segnale ragionevolmente positivo, per chi conosca la realtà. “Io credo fermamente nella necessità di scelte che siano non solo rispettose dell’ambiente ma in grado di migliorarlo”, dice l’artista. “Ma non possiamo prendere l’ambiente sempre da un punto di vista del senso di colpa, punitivo. Credo che si debbano cercare tutti i miglioramenti di comportamento e scientifici possibili”. E si torna alla polemica: in tanti hanno detto che è semplicemente sbagliato andare a portare un impatto antropico in quei luoghi. Non è che il problema sia l’impatto antropico in sé? “Un po’ sì, ma è ideologico: nessuna delle spiagge che abbiamo toccato era tutelata: mai lo avrei fatto né lo avrebbero permesso. La verità è che abbiamo ripulito, migliorato i luoghi, ad esempio la spiaggia di Castel Volturno. Basta guardare le misurazioni indipendenti fatte, leggere cosa dice il WWF che dall’inizio abbiamo voluto fosse il nostro punto di riferimento e di indirizzo”.
Eppure, se si cerca Jova Beach Party su Google si incappa immediatamente in disinformazioni: “Enorme impatto sugli ecosistemi e sulla vegetazione di spiagge e aree costiere, per far spazio ai concerti vengono distrutte aree marine protette, spianate dune e sradicate piante”. Ora c’è un report, ci sono le certificazioni, si può verificare. Lui vorrebbe persino dimenticarsele queste cose, o le accuse di greenwashing, “concetto che non ho nemmeno sfiorato”. Quindi il JBP 2 ha ottenuto la certificazione B. Corp.? Certo che no, e al momento è impossibile per attività così. “Sarebbe assurdo dire che non ci sono criticità, ma c’è una componente ideologica e un po’ di estremismo: oggi non c’è la soluzione perfetta. Che senso ha dire che non va consumata corrente elettrica?”. L’antropizzazione riguarda le persone, non può essere considerata un danno in sé. C’è un pregiudizio ideologico, che questo report può provare a incrinare: “Io credo che ci voglia una sostenibilità sostenibile, perché la società non decresce, non siamo fatti per decrescere ma per trovare le soluzioni”. E’ per questo che lo studio di Nativa rileva anche il tasso di benessere o felicità che una azione umana crea. Riflette un attimo. “Vedi, c’è un sottotesto sottile: c’è chi non può soffrire l’idea stessa di una festa. Dell’allegria, di un entusiasmo che esplode. C’è un ecologismo ideologico che è come volesse comunicare negatività”. Moriremo tutti è uno slogan di moda… “Ma non siamo fatti per la tristezza, aiutare l’ambiente non è per forza la mortificazione. A molti dà davvero fastidio e se non ti adegui, se non accetti il pregiudizio che un concerto inquina per cui non va fatto, allora sei additato da un moralismo che è una sorta di santa inquisizione. Non ci sto. E non sono impaurito, so quello che faccio”.
Un Legacy Report così non lo aveva mai fatto nessuno. Ora sarà disponibile per tutti, un punto di partenza. Sorride, Lorenzo Cherubini. La foto finale del Report è una ragazza in spiaggia con un cartello: “Sono felice e ci sto facendo caso”.