(foto Ansa)

Il ritorno di Alan Sorrenti, fuori dalla comfort zone

Stefano Pistolini

Il nostro dandy cosmico incide “Oltre la zona sicura” e prepara il tour con i Nu Genea, suoi concittadini

Quando era ragazzo Alan Sorrenti non aveva una buona stampa. Era il tempo in cui cantava di vecchi incensieri e di scapigliatissimi turbamenti alternativi, gorgheggiando “Vorrei incontrarti” in falsetto e accompagnandosi con la chitarra in lunghe suites fricchettone. Di lui si diceva che fosse un po’ un “ippiricco”, insomma uno che giocava all’individualista bohémien, in quei tempi bacchettoni e sorvegliati. Poi arrivò la sua seconda vita e fu tutta un’altra musica: Alan si issò su, fino in cima all’edonismo all’italiana dei figli delle stelle, del non so che darei, dell’unica donna per me, viveva in California e aveva assunto la leggerezza e il beato sorriso di chi ha capito come si fa a non farsi male. Poi, poco alla volta, Alan si è dileguato e, a cercarlo, lo si trovava disperso in una remota nuvola di new age, buddismo e qualche rimpianto.

 

Perciò è una piacevolissima sorpresa vederlo rispuntare a 71 primavere suonate, tirato a lucido e titolare di un nuovo brillantissimo album, una ventina d’anni dopo l’ultimo pubblicato. “Oltre la zona sicura” è il titolo del lavoro, ma all’ascolto si direbbe che la sfida più vera Alan l’abbia messa a segno con se stesso, col ritrovare la voglia, il focus, la determinazione per rimettersi in gioco, più che con il tentativo di avventurarsi fin dentro a sonorità appunto lontane dalla sua comfort zone. Perché il prodigio di questa collezione di brani inediti sta nel fatto che Sorrenti abbia saputo connettersi con chiarezza e determinazione al suo migliore discorso musicale, quello di un pop-funk venato d’elettronica, ricco di melodia e nobilitato dalla sua particolarissima verve vocale. E che, in tutto ciò, abbia innestato dei contenuti lirici invece più assertivi, determinati, personali e autobiografici, legati alla sua esperienza di cambiamento e di turbolenta evoluzione del sé. Il tutto senza rivoluzioni e avventurismi, ma grazie all’iniziale chiamata i causa e poi all’attenta supervisione di Ceri, che oggi è uno dei produttori italiani con le idee chiare nella definizione e nella declinazione di un pop nostrano che sia specchio e florilegio dei nostri tempi (Coez, Frah Quintale e Franco126 sono tra coloro che hanno beneficiato della sua collaborazione).

 

Con Ceri sono arrivati all’album di Alan anche i contributi di una serie di talenti sommersi, un po’ misconosciuti ma significativi della nostra scena attuale come Tatum Rush, Ramiro Levy dei Selton e il bravo Colombre, alias Giuseppe Imparato. Alla fine, a dimostrazione che la classe non è acqua e non si diluisce col passare del tempo, ci ritroviamo con questo album pregevole, in cui ogni pezzo ha un senso, una direzione e un’ispirazione visibile, variando dalla materia ipnotica e minimale de “Gli altri siamo noi”, al commovente disco-funky di “Giovani per sempre” (che, a dispetto del titolo, non è un’ostinata rivendicazione cocoon), fino alla smagliante estasi danzereccia di “Oggi” (“E allora come stai? Così così, tu mi dirai / Ce la faremo a chiudere in bellezza noi” recita l’attacco del pezzo, spiegando che oggi viviamo in “crisilandia” e conclude, in puro stile Sorrenti, con uno dei versetti che facevano prudere le mani agli antipatizzanti: “E allora balla…”). A questo punto, che succede? Capita la cosa migliore che può accadere a un artista che ha appena rimesso mano alla sua mercanzia e ritrova la voglia di condividerla: Sorrenti parte per un tour che ci incuriosisce, tanto più alla notizia che ad accompagnarlo saranno i concittadini napoletani Nu Genea – Massimo Di Lena e Lucio Aquilina – titolari dell’interessante revival di quel sound partenopeo anni 70, che tanto splendore portò alla nostra musica (di loro parleremo presto). Dunque un bentornato al dandy cosmico della nostra musica, con un piacevole gusto di positività nel constatare che questo genere di collaborazioni, che connettono musicisti di diverse generazioni, diventano sempre più frequenti. Mettendo da parte quella distinzione tra passato e presente che non può appartenere all’idea d’una musica che vive sempre con noi.

Di più su questi argomenti: