il rapper e la città

Napoli come ossessione e conforto. Geolier al secondo album: una sorpresa gioiosa

Stefano Pistolini

Ne “Il coraggio dei bambini” ci sono storie, figure, cronache sul crescere in una città unica che mescola pizza e Maradona, Genny Savastano e lo street fashion. Lasciando fuori il mondo dei soldi, del lusso e delle griffe

Geolier in francese significa secondino. E i secondini, a Napoli, sono quelli che vivono o vengono da Secondigliano. Come Emanuele Palumbo, 22 anni, rapper partenopeo che mette proprio la relazione con la città al centro di “Il coraggio dei bambini”, suo secondo album e prima, gioiosa sorpresa musicale dell’anno. Vale la pena di farsi largo nella selva delle citazioni, delle partecipazioni, degli argomenti – sovente torrenziali – delle sue canzoni, per arrivare a individuare la natura e l’intenzione di questo talento cristallino, in un momento di grazia che conviene non perdere. In questi giorni a piazza Vittoria, giusto a metà del lungomare di Napoli, troneggia il cartellone che annuncia l’uscita dell’album, con l’immagine di Geolier fieramente immortalato davanti alla banda di cuccioli che ritroviamo sulla copertina del disco. L’associazione con Saviano e la sua “Paranza dei bambini” è ovviamente immediata e stabilisce la prima tappa di una connessione multipla tra il musicista e lo scrittore, per l’apparente sovrapposizione dei loro temi e degli interessi. La differenza e la distanza però si chiarisce presto ascoltando le tracce de “Il coraggio dei bambini” e rilevando come il discorso qui sia tutto interno a un universo emotivo e poetico, almeno quanto il lavoro di Saviano rappresenta una sentita intellettualizzazione estetica di un fenomeno. 

 

Il giovane Emanuele, in sostanza, si rivela fin dai primi ascolti di questo lavoro, che costituisce la maturazione e il passo avanti dall’album d’esordio del 2019, la figura illuminata, una sorta di “prescelto”, attrezzato con le doti necessarie per dare una forma e un contenuto al senso di un percorso esistenziale. Col suo denso flow rauco, in un dialetto napoletano che non prevede mediazioni, Geolier subito ti travolge. La sua non è una corsa solitaria: nelle 18 tracks dell’album arrivano a dare un contributo alcune delle figure più rilevanti dell’ultima scelta trap hop italiana, Sfera Ebbasta, Shiva, Lele Blade, Paky, Lazza, nonché un padrino accertato come Guè e due produttori di successo come Takagi e Ketra. Ma i toni del lavoro di Geolier sfuggono dal confronto con quelli contemporanei di questo suono nella versione nostrana, connettendosi piuttosto con la sonorità della vecchia scuola, nella quale la drammatizzazione del proprio vissuto, a tratti melò, e la dimensione autobiografica costituiscono il vero succo del discorso. 

 

Geolier è un filosofo di strada quanto lo fu Eminem ai tempi degli esordi di strada, e il suo verseggiare concretizza un frenetico ragionare, l’affastellarsi di pensieri, paure, desideri, affetti che s’affollano nella sua testa e sanno trovare – in modo istintivo, viscerale, naturale, come racconta lui stesso – la dimensione di liriche rap. Il risultato è sbalorditivo, per la chiarezza – a dispetto della lingua, a prima vista esoterica –, per il potere descrittivo, per la rappresentazione di uno stato d’animo che diventa plurale, collettivo, condiviso, spirito di una città oggi, vista attraverso il prisma delle sue anime giovani. Quello di Geolier non è il mondo dei soldi, del lusso e delle griffe, ma quello del rione da cui non si può e non si vuole scappare, perché l’identità viene prima di tutto, assoggettata solamente all’attaccamento alla famiglia, che a sua volta è identità, e alla consapevolezza del valore di una crescita assieme a coetanei, amici, fratelli che vivono gli stessi sentimenti e cercano qualcuno che li sappia esprimere. 

 

Napoli è l’ossessione di Geolier e il suo conforto. La sua testa è piena di istantanee nelle quali Emanuele torna a essere uno degli scugnizzi che insieme si sbrigano a diventare uomini, prima che il destino individuale li separi. Ne “Il coraggio dei bambini” ci sono storie, figure, cronache della versione di Geolier del venir su in una città unica, la stessa protagonista della più significativa esperienza iconografica italiana dell’ultimo decennio, ovvero “Gomorra”. Come quella serie tv è il presepe del decadentismo partenopeo e della sua fascinazione internazionale, così la florida scena rap cittadina si afferma come rappresentazione indispensabile di quel mondo prima di diventare adulto: un universo debole e intenso, che mescola luoghi comuni e rituali, pizza e Maradona, Genny Savastano e un clamoroso street fashion, inconsapevole tensione a diventare “stile”, sempre più osservato – verrebbe da dire “invidiato” – dai ragazzi del resto della penisola. E tutto questo mentre Spalletti non ha ancora fatto eruttare il Vesuvio, resuscitando la definizione di “campioni” che nel golfo ha lo stesso di effimero splendore del “si vive una volta sola”.

Di più su questi argomenti: