il bi e il ba
I bambini minacciati da Sanremo
L’ansia di proteggere i più piccoli quando sono già scappati dall’infanzia. Qualche spunto da “La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita” di Neil Postman
Mettiamo ordine tra alcune notizie e notiziole di questi giorni. Una deputata di Fratelli d’Italia, Maddalena Morgante, denuncia in Aula la trasformazione del Festival di Sanremo in una sfilata gender fluid sotto gli occhi innocenti dei telespettatori più piccini. Emmanuel Macron, in Francia, annuncia un nuovo ingegnoso sistema, che si indovina fallimentare, per bloccare ai bambini l’accesso ai siti pornografici. E negli Stati Uniti le guerre culturali, di giorno in giorno, orbitano sempre più ossessivamente intorno all’infanzia: gli spettacoli di drag queen per scolaresche, un nuovo cartone animato Disney che sembra sceneggiato da Black lives matter, certi insegnanti-attivisti che fanno studiare ai bambini dei bizzarri pronomi “non binari” (cosa già un po’ più seria), e infine il dibattito sulla transizione farmacologica e chirurgica dei minori (cosa serissima, e destinata a diventarlo ancora di più). Davanti a cose di questo genere, le reazioni pavloviane sembrano essere di due tipi: il melodramma o il sarcasmo. Melodramma per gli amici, sarcasmo per i nemici.
Il conservatore infervorato farà discorsi pieni di pathos sulla purezza infantile minacciata; il progressista gli farà il verso citando per l’ennesima volta una battuta dei Simpson, pronunciata dalla moglie del reverendo (“perché nessuno pensa ai bambini?”). Lo stesso liberal, però, passerà al registro del melodramma più lacrimevole se si tratta di proteggere una categoria a lui cara (il bambino transgender a cui non è consentito di “affermare” la sua più profonda identità), provocando nello stesso conservatore di prima, sempre che sia spiritoso (in America capita spesso, in Italia non molto), altrettanti e simmetrici sarcasmi.
Per vederci chiaro in questo asilo infantile di adulti malcresciuti consiglio di rivisitare un saggista, l’americano Neil Postman, che se non è del tutto dimenticato è quanto meno ricordato per il libro sbagliato (“Divertirsi da morire”, un pamphlet del 1985 sulla politica ridotta a intrattenimento televisivo che a suo tempo fece furore ma che è invecchiato malissimo, anche se Luiss University Press lo ha voluto riproporre nel 2021). Ebbene, c’è un altro libro di Postman che, pur essendo più vecchio di tre anni (è del 1982), parla ancora del presente e, voglio azzardare, del futuro. Si chiama “La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita”, tradotto da Armando Editore, ed è sanamente immune tanto dal melodramma quanto dal sarcasmo. Postman ricordava che una certa idea dell’infanzia come giardino protetto e regno dell’innocenza è un’invenzione moderna, che ha due o tre secoli di storia, e avanzava una tesi che si può riassumere in uno slogan: così come la stampa ha creato l’infanzia, i media elettronici la stanno distruggendo. La linea di confine tra le età della vita viene meno perché la televisione non oppone barriere architettoniche all’ingresso (non ha bisogno di un’alfabetizzazione formale per essere compresa) e, soprattutto, non prevede pareti divisorie tra i pubblici. Nel momento in cui adulti e bambini hanno accesso alle stesse cose dalla stessa fonte, la sovrapposizione è inevitabile; cosicché i bambini, “avendo assaggiato il frutto precedentemente proibito dell’informazione riservata agli adulti, vengono cacciati dal paradiso dell’infanzia”.
Ecco allora venire al mondo, per parto gemellare, il bambino-adulto e l’adulto-bambino (l’autore non poteva saperlo ancora, ma molti anni dopo ce li saremmo trovati seduti l’uno accanto all’altro in platea davanti a un film della Pixar). Postman non credeva che il processo fosse reversibile, come non lo sono per definizione i grandi passaggi epocali; e riconosceva senza sarcasmi alla moral majority e ai fondamentalisti, da cui pure era politicamente lontanissimo, una percezione più acuta del momento storico e delle sue implicazioni, ancorché espressa in toni melodrammatici. Ovviamente non aveva modo di prevedere, quarant’anni fa, internet o gli smartphone; ma sui computer prefigurava un dilemma, o un bivio: se da un lato la programmazione informatica ha, al pari della stampa, una soglia d’ingresso, richiede cioè di apprendere un linguaggio formale, dall’altro è probabile che la sua diffusione di massa sarà legata alla magia dei giochi visivi. Una casta sacerdotale di programmatori, una plebe di illetterati affascinati. Il lettore deciderà se questo vaticinio si è più o meno realizzato nel divario tra gli scribi dell’algoritmo e gli utenti comuni, e trarrà tutte le implicazioni del caso dal rovesciamento in virtù del quale le barriere di accesso ancora esistenti colpiscono gli adulti più che i nativi digitali.
Simul stabunt vel simul cadent: se scompare l’infanzia, scompare anche l’età adulta. Ed è questo il lato della tesi di Postman sul quale forse converrebbe ragionare di più. Le guerre tra adulti sulla protezione dei bambini, infatti, mi sembrano istigate dal “Dio del massacro”, come nell’omonima pièce di Yasmina Reza in cui un bisticcio futile e rapidamente risolto tra ragazzini porta i loro genitori iperprotettivi a un passo dallo scannamento reciproco. Ma cosa proteggono, esattamente? I piccoli buoi, diciamo pure i vitellini, sono ormai quasi tutti scappati dalla stalla. I conservatori vorrebbero disporre milizie armate a guardia del recinto, e appaiono spesso ridicoli, se non altro perché la stalla ha il wi-fi. Ma ci sono progressisti non meno ridicoli che si affannano a inseguire la mandria bovina, a belare con gli stessi belati pronominali, fino all’estremo di prendere alla lettera – e di correre ad “affermare” – un bambino di tre anni che dice di essere una bambina. Io dico che invece di concentrarci soltanto sull’infanzia assediata e di prenderci a sarcasmi e melodrammi, dovremmo trovare un modo dignitoso – un modo adulto, stavo per dire – di fare gli adulti.