LA KERMESSE
Tutto quello che è successo nella terza (lunghissima) serata di Sanremo
Una magnetica Paola Egonu ha accompagnato Morandi e Amadeus nella maratona terrificante di 28 canzoni più ospiti. Ecco la nostra selezione dei promossi e dei bocciati
Quella del giovedì al Festival è la sera del riascoltone, all’insegna del “due indizi fanno una prova”. Una maratona terrificante di 28 canzoni più ospiti e marchette, che solo gli irriducibili possono affrontare (Italia terra di irriducibili), anche perché nel frattempo arrivano i voti: quelli della famigerata giuria demoscopica e gli esoterici televoti a pagamento. Dunque si fa sul serio, per quanto seria possa essere la Grande Kermesse.
Sulle canzoni in gara ve la facciamo breve: promossi Lazza, che spacca e basta (con quella faccia), Madame che ha una delle canzoni migliori e la canta bene, Ultimo che è un ruspante giovane classico, Ariete, che porta la fragilità allo stato dell’arte (e s’è rimessa il cappellino), Marco Mengoni, look Village People e che non si vede chi possa batterlo, Coma Cose meno affilati della prima sera ma comunque protagonisti e la vispa novità Shari, scuderia di Salmo.
Ripescati: Mara Sattei che gorgheggia meglio della sua canzone, Tananai, che ha sempre il dono della grazia, LDA perché si farà, Elodie anche se ha bisogno dei sottotitoli, Colapesce e Di Martino con tormentone giusto, anche se stavolta più opachi, Gianmaria che ha le stimmate del predestinato, e Leo Gassmann anche se arriva in canottiera e vorrebbe essere Van Morrison.
Delusioni: Rosa Chemical, però simpatico col suo pezzo alla Fibra, Grignani che s’è incasinato, s’è fermato, ha ricantato, ma era fuori fase, Mr. Rain, che punta sul coro di bambini ma sembra Lurch, il maggiordomo degli Addams, Giorgia, incagliata in un pezzo insulso, che non salva nemmeno vocalizzando come Farinelli.
Bocciature per Paola e Chiara che hanno sapore di Xanax, un’irriconoscibile Levante, un Anna Oxa magniloquente, i Cugini di Campagna che sentirli pure sì, guardarli no, per la minestra riscaldata degli Articolo 31, gli inattuali Modà, e gli anonimi Colla Zio, Olly, Sethu e Will (e tutti quelli coi nomi da manga).
Consuntivo del concorso: non ci sono capolavori né performance memorabili, il livello medio è accettabile, contraddistinto dalla timidezza d’approccio musicale, un’omologazione impressionante, la convinzione che al centro si vinca e una distinta paraculaggine nella scelta dei temi delle canzoni, quasi tutte accuratamente posizionate nelle pieghe di qualche diffuso disagio nazionale, il che rende il tutto il catalogo dolente di una società che non sta bene, prima di tutto dentro le pareti di casa.
Magnetica e sciolta Paola Egonu, lady della serata, una che lo fa sembrare facile. Sempre bene Morandi, adorabile allorché resta attonito tentando di decifrare sul gobbo il nome di thesup, fratello e autore della Sattei, eroe generazionale, che non ha la più pallida idea chi cacchio sia (e buono il suo duetto con un delizioso Sangiovanni). Amadeus indistruttibile ed eternamente pronto a tutto, anche a leggere sulla cartelletta che non si deve più avere paura del cancro.
Consuntivo della kermesse superata la boa di metà percorso: domina la ricerca spasmodica della notizia, vera o presunta, capace di farci sollevare lo sguardo dallo smartphone per dire al vicino “hai visto che succede a Sanremo?”. L’argomento, l’evento, perfino i protagonisti contano poco, l’importante è che si accendano a ripetizione fuochi fatui da far brillare nella grancassa dei social e dell’informazione web, che proprio dal suo essere sempre accesa produce un bulimico bisogno di notizie da bruciare. Purtroppo ormai il gioco è visibile, la sudditanza degli artisti al suo ripetersi è sconcertante e la voglia di star dietro alle mille voci effimere si sta assottigliando anche nel pubblico. In questo senso interessante il flop della zingarata di Fedez, surclassata mediaticamente dal teppismo situazionista di Blanco. Morale: conta non la dimensione del botto con cui si vuole scandalizzare, ma il tempismo e l’imprevedibilità con cui lo si realizza. Se traspare la pianificazione, l’effetto svapora, in questo caso insieme al surplus narcisistico di Fedez.
Nota a margine. Quelli del Festival, il direttorio intendiamo, devono ricordarsi che loro la sanno lunga e giocano tutte le carte affinché sia un successo, ma anche noi spettatori veterani conosciamo il giochino e non ci facciamo infinocchiare dai punti esclamativi di Amadeus nell’annunciare l’ennesimo ospite speciale. Anzi. Ad esempio vedendoci ammollare i Black Eyed Peas, ridotti a intrattenimento da villaggio turistico (non sono mai andati molto oltre, d’altronde. C’era tanto di meglio e di meno stantio da ingaggiare). Ancora ospiti, capitolo Maneskin: sono venuti basici, ben rodati, hanno imbarcato il redivivo Tom Morello come chitarrista aggiunto e se li avessimo ascoltati con gli occhi chiusi, potevano suonare sul palco del liceo Virgilio di Roma, durante un’occupazione – qualsiasi cosa tutto ciò significhi. Non si possono chiedere altri particolari all’eroica spossatezza dell’osservatore da divano. Passo e chiudo. Cerchiamo di gestire l’indigestione. Stasera si duetta.