FOTO LaPresse

l'evento a milano

Lettera a Paolo Conte con preghiera di non profanare la Scala

Piero Maranghi

Il concerto del 19 febbraio è uno schiaffo alla storia del teatro e costituisce un precedente assai pericoloso. Motivi per spostarlo in un altro luogo, spiegati da un grande fan del cantautore

Caro Paolo Conte, Lei è il mio cantautore preferito, l’ho ascoltata innumerevoli volte dal vivo, da Bari a Parigi, da Torino ad Amsterdam. Le Sue stanzette umide, i Suoi piedi un po’ prensili, i Suoi sguardi dei francesi popolano il mio cuore e la mia mente da sempre e ora animano le fantasie dei miei quattro figli, dai venti ai nove anni, cui ho trasmesso l’amore per l’universo contiano, per l’eleganza delle zebre e le frittelle con il vino. Vivo a Milano, la mia vita professionale è nella musica, io sono nella musica. Sono l’editore del canale Classica HD su Sky e Lei mi ha onorato più volte dicendo pubblicamente di sbirciarla ogni tanto; faccio, con Paolo Gavazzeni, il regista di opere liriche; produco documentari e libri sul teatro musicale e cartoon per i ragazzi, la serie più importante, 52 episodi con l’avatar di Daniel Barenboim, è distribuita in tutto il mondo.

Il Teatro alla Scala è la mia casa, un luogo dove, nella mia vita, ho fatto tutto, davvero tutto. Ma il 19 febbraio non verrò a sentirLa. Mi rivolgo a Paolo Conte e non alla dirigenza del Teatro per una ragione molto semplice, loro non hanno gli strumenti per comprendere, Lei certamente sì.

Spiego il mio pensiero. Il Suo concerto è uno schiaffo alla storia della Scala; costituisce un precedente assai pericoloso; non dà nulla al Teatro da cui invece riceve moltissimo; è culturalmente un concerto ‘antipatico ed elitario’, come dire non vedo traccia di alberghi tristi e di intelligenza degli elettricisti. Durante la direzione di Antonio Ghiringhelli, storico sovrintendente del dopoguerra, nel 1971 il cda ricevette dal Comune la richiesta, in occasione di un premio che Milano conferiva a Charlie Chaplin, di proiettare Tempi moderni nella sala del Piermarini; rispose di no, rispose che il teatro ha una funzione diversa; alla fine Carla Fracci fu protagonista di una Giselle dedicata a Charlot, che poté applaudire dal vivo, ricambiato calorosamente dal pubblico e il film fu proiettato in altra sala. Poi ci fu la sovrintendenza di quel Titano della politica culturale che era Paolo Grassi, lui ammise per primo Milva e lei tornò più volte negli anni ma lo fece per Brecht, Berio, Petit e se fosse ancora tra noi Grassi (avèghen!), oggi prenderebbe letteralmente a calci tutte le serate dei palloni d’oro, dei red carpet della moda, delle lavatrici nel foyer, prenderebbe a calci i neo-calciatori dell’Inter che arrivano a Milano ed entrano in Palco Reale, a teatro chiuso, per un selfie su Instagram. Prenderebbe a calci i responsabili di tutte queste amenità che popolano da oltre un decennio il Teatro alla Scala.

Carlo Maria Badini e Carlo Fontana, i due successivi sovrintendenti, rispettarono questo indirizzo. Per Fontana, il più autentico erede del magistero culturale e politico di Grassi, fu una scelta ponderatissima e assai meditata quella di permettere il concerto di Keith Jarrett, scelta che si formò su tre pilastri: le numerose incursioni interpretative dell’artista nel repertorio classico, la contemporaneità della sua ideazione musicale, l’assenza di amplificazioni. Poi ci furono Stephan Lissner e Alexander Pereira; il primo dei due, tra le tantissime pressioni cui resistette nei dieci anni di sovrintendenza, dalla politica e dallo stesso cda, si oppose strenuamente alle continue richieste di un sindaco perché lasciasse esibire in Scala il Suo, di Lei Paolo Conte, co-genetliaco Adriano Celentano; nel periodo Pereira sono personalmente testimone di un episodio assai significativo. Un giorno mi chiama il console armeno pregandomi di chiedere se Charles Aznavour si possa esibire in Scala per la causa del suo popolo d’origine; rispondo che, pur adorando l’artista e condividendo la causa, sono contrario, ma che non mi sottraggo dal formulare la richiesta, forse anche per evitare arrivi da altri; chiamo Pereira con una certa apprensione, anche conoscendo la sua disinvoltura. Dopo due squilli il sovrintendente risponde e secco mi dice “non possibile, se iniziamo non finiremo più, pochi giorni fa ho detto di no a un grande cantante americano, ora non mi ricordo il nome”. Saluti e fine? No, pochi minuti dopo mi manda, via sms, il nome: Bob Dylan! Durante Expo 2015 il direttore generale della Scala, Maria di Freda, si è battuta come un leone per impedire che Andrea Bocelli si esibisse nella sala del Piermarini e questa coerenza è probabilmente all’origine, anni dopo, della sua brutale defenestrazione dal Teatro. Amo Paolo Conte più di tutti i musicisti di cui sopra – con l’esclusione di Barenboim – ma non può bastare. Chi stabilisce il valore artistico Suo rispetto a quello di altri colleghi?

Il sovrintendente-direttore artistico Dominique Meyer. Qui la cosa si fa dolorosa poiché questo signore è manifestamente sprovvisto di cultura scaligera. A proposito, caro Conte, questa doppia carica in capo a un sol uomo – sovrintendente-direttore artistico – di stampo franco-germanico, inaugurata proprio alla Scala nel 2005 e poi scimmiottata da molti altri, in Italia si è rivelata una aberrazione inaudita che ha finito per deformare e distruggere tradizioni secolari, con buona pace di sindaci e amministratori, al meglio inconsapevoli, al peggio interessati ad abbandonare l’Opera a un destino di secondarietà rispetto a selfie e sfilate. Sovrintendenti-direttori artistici, quasi sempre stranieri, che ci raccontano la storiella dell’internazionalizzazione (si legge omologazione) della Scala, non capendo che il nostro Teatro è stato per oltre due secoli il più internazionale dell’universo proprio per la Sua cifra unica e inimitabile. Oggi si è trasformato in un supermarket che fa cucina internazionale, si vedono e si ascoltano spettacoli identici a quelli di Amsterdam, Bordeaux, Dresda e non è più il teatro dei milanesi, come lo chiamava Stendhal. Veda caro Paolo, per me queste considerazioni sono ancora più amare, i teatri italiani che hanno preso questa china sono quasi tutti amministrati dal centrosinistra; come liberale ho sempre scelto quella parte e ora devo constatare che anche in cultura abbiamo messo una pistola carica e senza sicura nelle mani di questa destra arrogante e sguaiata, così è, pagheremo carissimo temo.

Ora ci dicono che l’attuale sovrintendente abbia permesso il concerto perché richiesto dai piani superiori? Peggio mi sento! La Scala è stato il simbolo assoluto di indipendenza e coerenza di un’istituzione culturale in Italia, da sempre! I NO degli uomini scaligeri alle pressioni esterne e interne sono innumerevoli nel corso della storia, non solo i sovrintendenti ma penso ai Maestri della Scala, penso ad Arturo Toscanini a Riccardo Muti; i loro NO sono un patrimonio della nostra cultura nazionale e del nostro orgoglio cittadino. Già Toscanini e Muti, scrivendo i loro nomi nasce un’altra domanda: questi due direttori musicali avrebbero accettato in silenzio le scelte dei loro rispettivi sovrintendenti di concedere dei concerti, che so io, ad Alberto Rabagliati o Lucio Dalla?
Il fatto ancor più grave è che ora abbiamo il precedente: è un’autorizzazione a procedere. Discografici, sindaci, consiglieri, ministri, sponsor fatevi sotto! Dal 19 febbraio si può e ognuno di voi ha un cantante, un cantautore, un urlatore del cuore, da far suonare alla Scala!

Ancora, adorato e splendido Paolo Conte, Lei alla Scala, la mia è solo una constatazione, non dà nulla. Porta pubblico giovane? NO. Porta un pubblico che resterà attaccato alla Scala? NO. La Scala ha bisogno di Paolo Conte o di Mina o Dylan per essere quello che è (ormai sarebbe il caso di dire che era)? NO! E Lei cosa riceve? Tantissimo. Lei può esibirsi, primo “non classico” nella storia, sul palcoscenico che fu di Rossini e Verdi, di De Sabata e Callas, di Gavazzeni e Visconti, di Pavarotti e Abbado, di Strehler e Zeffirelli. Non mi interessa sapere se Lei percepisca anche un cachet, immagino però che facilmente ci sarà un cd o dvd “Paolo Conte alla Scala” e mi chiedo se serva al Teatro, ben conoscendo la risposta. E poi l’antipatia dell’operazione, quella sera ci saranno tutti quelli che di solito vengono al 7 dicembre a farsi i selfie, per poi inabissarsi per tutto il resto della stagione fino al successivo 7 dicembre e da ora, dopo il 19 febbraio, fino al prossimo Paolo Conte che il prepotente di turno imporrà all’ennesimo sovrintendente-direttore artistico. I biglietti della serata poi sono carissimi, costano quasi il triplo del concerto che Lei terrà a Roma e che mi vedrà finalmente in prima fila a spellarmi le mani. 

Caro Paolo Conte, dispiace profondamente, a un suo così profondo commendatore, dover passare ad altre danze come si passa in altre stanze, in altre parole dover estendere un messaggio così amaro a un artista così amato. Però Le offro una soluzione bellissima, ne tenga conto, io Le voglio molto bene: lasci stare la sala del Piermarini e chieda Piazza della Scala al Comune, per primavera. Montiamo un palco sotto Palazzo Marino e facciamo un concerto all’aperto “Paolo Conte per il Teatro alla Scala”, rivolto, anche fisicamente verso la Scala, Lei canterà per la Scala, come fosse con una splendida donna, un concerto dedicato alle gambe, alle tenerezze, alle dolcezze della Scala. Sarà una festa, noi milanesi e scaligeri saremo tutti con Lei. Ci sarà anche una persona specialissima, Leonardo da Vinci, sì proprio lui, con la sua statua al centro della piazza e guardi che non è un caso che in quella scultura il genio di Vinci dia le spalle al Comune e sia rivolto al Teatro. Solo Lei può fermare questa banda di inconsapevoli dissipatori della tradizione meneghina e del Suo simbolo più luminoso, La Scala. 
Con infinita gratitudine per l’attenzione, per le vampate africane, le caramelle alascane e i gregari in fuga!
 

Mi creda, Suo
Piero Maranghi

Di più su questi argomenti: