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Sanremo 2023

Nemmeno Eros salverà Ultimo dal trasformarsi in Toto Cutugno

Enrico Veronese

Il cantautore romano va verso un nuovo secondo posto al Festival. Marco Mengoni anche nella serata dei duetti e delle cover, che ha unito sul palco gran parte della storia del pop italiano, è riuscito a convincere sia media che pubblico

Marco Mengoni con “Due vite” ha praticamente vinto la 73esima edizione del Festival della Canzone Italiana a Sanremo, distanziando di qualche lunghezza “Alba” di Ultimo, ancora una volta secondo e destinato per questo a diventare il nuovo Toto Cutugno, fino alla fine dell’incantesimo. La scottante rivelazione, a sole poche ore dall’inizio della serata finale, non viaggia attraverso le indiscrezioni della sala stampa o dalla premeditazione dei soliti complottisti, ma è scritta nella classifica generale - ancorché provvisoria - consolidatasi dapprima con l’ingresso della giuria demoscopica e del televoto, quindi a seguito delle esibizioni del venerdì, i duetti con altre star o mezze celebrità.

   

Bene, il responso è stato praticamente lo stesso: se il giorno prima la vox populi aveva riportato in alto ciò che i savi ed esecutori della sala stampa avevano derubricato all’insegna della qualità, l’inizio del weekend sanremese ha confermato il trend in maniera irreversibile, facendo anticipare di 24 ore le considerazioni che normalmente avvengono a giochi fatti, tra le pigre coltri della domenica mattina. Mengoni, in groppa all’esibizione gospel di “Let it be”, con effetto bandwagon ha vinto anche la gara delle cover; mentre il cantautore confidenziale romano, scortato dal redivivo Eros Ramazzotti che a questi livelli è più di un nume tutelare, gli si piazza alle spalle grazie ai successi di chi, ormai quasi quarant’anni fa, rappresentava la nuova normalità dalla faccia pulita.

   

Il vincitore della terza edizione di X Factor è rimasto in testa dal primo minuto del Festival, allo stesso modo in cui Alberto Tomba regolava ripetutamente Pirmin Zurbriggen e Marc Girardelli. Mengoni vince per i media e vince per il pubblico, vince con la sua voce e con quella del coro, si afferma per il look da rocker contro mod e stravolgendo un brano immortale di quegli stessi ruggenti anni Sessanta, ambientandolo attorno a “We are the world”. E Davide Petrella, coautore assieme al produttore Davide Simonetta, segna un’altra incisione al suo arco di trionfo.

    

A memoria, raramente i giochi erano così squadernati prima del traguardo, quando un tot di incertezza fra gli allibratori allignava sempre fino all’ultimo (ops). Oro e argento sono blindati dai numeri, e in verità si gioca ormai per il terzo posto, che salvo cataclismi vedrà accomodarsi un tatuato o l’altro tra Lazza - intenso e convincente anche alle prese con “La fine” di Nesli assieme a Emma Marrone e alla violinista Laura Marzadori - e l’emergente Mr.Rain, il quale abbandona per una sera il piccolo coro puerile e si getta nell’ultrapop di “Qualcosa di grande” in compagnia dell’alter ego Fasma. L’uomo delle vendite, ormai sempre più esigue, che parla ai teenager sfida il rassicurante rapper della porta accanto, vestito scuro e ossigeno tra i capelli, gradito alle nonne che imbiancano perché accompagna le classi elementari a scuola con il pedibus.

   

Difficile prevedere uno scatto di reni di Giorgia, rinfrancata dallo spargimento di seta con Elisa e ora quinta, ma dotata di un brano che fatica a sollevarsi pure con le gru. E troppo distanti i battistrada, spinti dai clic delle rispettive e agguerrite fanbase: ma questo esito a volata ristretta già coglie un risultato, ovvero costringe i migliori (ancora una volta: Madame, Tananai, Colapesce e Dimartino, preferiti solo da quei marrani dei giornalisti) a sperare solo nei premi paralleli. È forse la fine del sogno dei Competenti di poter pilotare il gusto del grande pubblico, come accadeva in tempi non lontani, quando la reazione della sala stampa ai balletti di Francesco Gabbani, Lo Stato Sociale e Mahmood buggerava le favorite scritte e “istituzionali” in vista dell’ultimo miglio.

   

Il venerdì di Sanremo è sempre più un riferimento, al pari delle prime due serate di perlustrazione. La retromania permanente stimola all’incrocio con un qualche passato, fosse Nilla Pizzi oppure il mese scorso, e ormai le chiuse fluviali sono state spalancate senza motivo: non vengono eseguiti solo i gloriosi baluardi transitati per la Riviera, ma il brief è lanciato a ogni composizione italiana, e contro ragione sociale è stata ammessa (perché?) la licenza a sporgersi alla lingua inglese. Ne esce una festa globale di enfasi e adrenalina, in crescendo dopo il tornado Eros, al quale francamente stanno stretti i panni del featuring senza uno spazio tutto per sé, a riconoscimento del suo inveterato appeal internazionale: anche se non ne hai mai amata una, le conosci a memoria per induzione.

   

La mossa dello scorpione di Ultimo e dello stesso Tananai (in dote il guest Biagio Antonacci) sono state le più solide cartucce spese per provare ad assaltare il cielo. Di lì in avanti è stato un inseguimento di coreografie da talent e colpi a sensazione per superarsi di continuo, e lasciare nello spettatore la convinzione simultanea che il meglio debba sì ancora venire, ma che intanto ciò che stava sul palco fosse già più intenso, valido, efficace rispetto agli inquilini temporanei di qualche minuto prima. Tutto gonfiato, tutto destinato a sgonfiarsi.

 

Partendo dalla difficoltà di misurarsi con certi autori, una gerarchia di valori va comunque parametrata, poiché la serata delle cover gode di una propria autonomia, brani incisi ad hoc e playlist dedicata dallo sponsor. Lassù svetta Manuel Agnelli, che quando ha voglia di metterci del suo difficilmente fallisce: “Quello che non c’è”, forse la più totale composizione degli Afterhours, regala a gIANMARIA la chance di un futuro professionale differente da quello che si sta costruendo. “Via del Campo” era scivolosa, ma nella versione puttanesca di Madame - pressoché ininfluente l’apporto del trapper Izi - diventa biblica e candida: sommando originale e tributo, la discussa e discutibile ventenne vicentina stacca il pass della miglior considerazione settimanale.

   

Giorgia ed Elisa, che je vuoi di’, partivano da un range già elevato per le rispettive carriere: ma riportando l’orologio ai due pezzi scritti da Mogol per il Festival 2001 (rispettivamente seconda e prima) spiegano a voce perché è assurdo il loro esporsi negli scaffali di un supermercato, quando si è nella felice condizione di dettare legge. Di momento più alto in momento più alto, Elisa ha eseguito meglio “Luce” e Giorgia lo stesso con “Di sole e d’azzurro”: arriverà un disco assieme?

   

Alle spalle di questo palmares tutto virtuale, il brillante uso delle sedie tra lo scanzonato Tananai e l’innocuo Antonacci: il giovane funziona, si mantiene interprete notevole e camaleontico a seconda dei registri (lo rivelano i numerosi singoli precedenti) ed è qui per rimanervi. Magari Edoardo Bennato si facesse vivo più spesso: la sua unicità e le cose da dire, al servizio di un Leo Gassmann più presenza che voce, mancano alle generazioni che non l’hanno affrontato. Al solito autarchico, a suo modo politico e pacifista, le scelte affondano le mani nel repertorio meno rock (“L’isola che non c’è”) ma quando arriva Capitan Uncino l’Ariston è tutto suo. Bella, onesta, emigrata Francia, Carla Bruni incontra i migranti siciliani Colapesce e Dimartino nel treno dei desideri e della speranza: Kate Middleton e i Super Mario Bros fanno karaoke con la platea per “Azzurro”, l’esito è spaziale.

   

Segnalazione anche per i “Coma_Cose” sardi, cioè la ferragnesca Shari e Salmo, che riescono nella replica di Zucchero sia intima (“Hai scelto me”) sia energica, mentre gli originali di stanza a Milano incomprensibilmente scialano “Sarà perché ti amo” assieme ai Baustelle, quanto mai composti e normalizzati. Articolo 31 e Fedez fanno ballare il figlio di Amadeus, e non ci si capacita di come la smagliante Noemi (madrina di Mara Sattei in una versione lunare di “L’amour toujours” di Gigi d’Agostino) mai abbia vinto una kermesse ligure, a scapito delle numerose partecipazioni e delle indiscutibili qualità. Effetto X-Factor (Elodie, Olly con la Cuccarini) e “vorrei ma non posso” sono le categorie che accomunano molti degli altri protagonisti, in specie coloro che sono stati costretti dalla scaletta a esibirsi in orari davvero improbi.

   

Tanta solidarietà a Stefano Coletta, il direttore di rete, quando le telecamere lo colgono debole argine alle intemperanze degli incontenibili Gianluca Grignani e Arisa, ancora una volta al limite: il pensiero va al meme dello stewart Ivano durante il live di Paky, eppure in Rai sapevano che sarebbe andata così. I veli pietosi non sono sufficienti per quel Joker, e molte persone hanno avuto paura che succedesse qualcosa di brutto. Così come ci si chiede se fosse il caso di invitare il povero Peppino di Capri, palesemente non più in grado di salire sopra un palco e di cantare per oltre trenta secondi: a un certo punto il rispetto per la fragilità dovrebbe invitare gli organizzatori a soprassedere riguardosamente, senza che venga loro ricordato di adempiere. Stasera ultima passerella per stilisti e photo opportunity, domani consueto riflusso e da lunedì spazio al mercato: un po’ di inevitabile stanchezza per la formula inizia ad affiorare.

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