musica maestro
Tutto quello che è successo nella quarta serata di Sanremo 2023
La serata dei duetti è stata caotica, sgangherata, speciale. Ha restituito finalmente il Festival a quell’appartenenza completamente musicale di cui spesso si scorda, inseguendo le notizie e le tendenze del mondo, dimenticando che è un microcosmo effimero e la sua magia sta nel restare tale
La serata dei duetti è come la gita di classe: liberi tutti! S’attacca subito, perché sarà un altro Everest da scalare (28 pezzi più accessori), ma a ben disporci basta l’apparizione di due campioncini puri come Ariete e Sangiovanni, vestiti uguali, che inforcano il “Centro di Gravità Permanente” con levità e incoscienza adolescenziale. Beata gioventù, e molta tenerezza per Ariete che ringrazia Sangiovanni e San Battiato, presente e passato ricongiunti - comunque amore. Che sia proprio questa la chiave della serata? Lo confermano poco dopo Olly, che qualcuno deve aver convinto a dividere il palco con Lorella Cuccarini e poi il giovane Will, che s’accoppia sul palco niente meno che con Michele Zarrillo… riparte il gioco di zii e nipotini. Ma la serata decolla: Elodie aumenta le sue ambizioni misurandosi con “American Woman”, in coppia con la rapper Big Mama e finalmente ci sta tutta. Ma poi… poi arriva Eros. I treni di periferia. L’aria popolare. Grazie di esistere. Ramazzotti insieme a Ultimo. Orgoglio capitolino e coatto, Roma calling - ieri e oggi, di nuovo. Evento. Facile, ma evento. È il Festival, no? Platea in delirio.
Il tempo di tornare dal frigorifero e ci si ritrova con Lazza, Emma e il primo violino della Scala, dopo che lui, coi fiori regalati alla mamma in platea tre sere fa, è stato adottato dalle mamme di tutta Italia - strana la vita, ieri temuto rapper tatuato sulla faccia e adesso, di colpo, figlietto nazionale. Tananai invece rafforza la sua reputazione di gagà del festival, elegantissimo nel remake dell’hit di Simone Cristicchi “Vorrei Cantare Come Biagio Antonacci”, cantato con classe, fin quando non spunta proprio Biagio Antonacci – papà e figlio, again. Il genitore adottivo che si sceglie Gianmaria invece è Manuel Agnelli e anche qui la relazione trova impressionante sintonia, punto d’incontro, scambio. Il rapporto che lega Shari e Salmo è invece quello tra padrino e protetta, ricamato su un medley di brani di Zucchero e anche questo funziona, in una serata che sta diventando rara.
Ormai è chiaro: manco fossimo tornati nell’era dell’Acquario, lo sdoganamento di ogni possibile intreccio empatico tra artisti diversi (Colapesce e Di Martino che con aria da saprofiti accerchiano una rediviva Carla Bruni, per intonare “Azzurro”), o rivali (Giorgia-Elisa, in coppia splendide fino alla perfezione), o fratelli-coltelli (gli Articoli 31, ringiovaniti dal Fedez ritrovato), o appena nati (Sethu e Bunker44 per l’inno dei perdenti “Charlie fa surf”), sia la chiave condivisa: smantellata l’anagrafe, aggirate le diffidenze, ridefinita la comunione d’intenti, la musica fluida diviene il brodo primordiale per una scena pop italiana di domani. Un posto da cui ricominciare, con l’atteggiamento lieve e un po’ cazzaro di una serata del genere. Che ci rivela come dentro Grignani viva l’anima di Joe Cocker, con Arisa che diventa il suo spirito-guida per rifare “Destinazione Paradiso”, squinternando il vecchio successo e poi miracolosamente riacchiappandolo. E pur disponendo di tanto cognome, Leo Gassman, sceglie anche lui un padre putativo: Edoardo Bennato, il nostro Dorian Gray, che gli anni passano ed è eternamente ragazzo, cantando della seconda stella a destra e sempre dritto fino al mattino. O LDA, che è il figlio di Gigi D’Alessio, ma dà spazio alla sua passione per il soul scegliendo come compagno di palco uno che la sa lunga sull’argomento, come Alex Britti. È tutto un corsi e ricorsi. Marco Mengoni non ha paura di sfidare gli dei e si butta dentro una “Let It Be” in falsetto, insieme a un coro gospel e con la giacca appoggiata sulle spalle alla Marlon Brando, salvo rivelare subito la canotta glitter e un’ugola che non era mai arrivata a tanta bellezza. Madame non ha timori nello sfidare la “Via del Campo” di De Andrè-Jannacci, portando sottobraccio Izy e giocando a “la bella e la bestia”, e i Coma Cose stuzzicano il postmoderno ricreando con Bianconi-Bastreghi di Baustelle la magica formula-quartetto di “Sarà perché ti amo” e dei Ricchi e Poveri.
Peccato che una serata così, caotica, sgangherata e speciale, sia sottoposta anch’essa a votazioni e classifiche (rivince Mengoni, trionfatore annunciato per il 2023). Perché invece contiene dei significati che restituiscono finalmente il Festival di Sanremo a quell’appartenenza completamente musicale di cui spesso si scorda, inseguendo le notizie e le tendenze del mondo là fuori, che invece non c’entrano, perché Sanremo è un microcosmo effimero e la sua magia sta nel restare tale. “La festa della musica” la chiama, semplificando, Amadeus, e stavolta ha ragione. Arrivando a essere, in una serata così, un vero festival, come quelli celebratissimi nel mondo, Sonar, Coachella o i Sunday in the Park, dove si parte da un bel programma ma può succedere di tutto, e spesso succede. Di quelle serate ci si ricorda per un pezzo. Qui non è proprio lo stesso, è inutile illudersi. Ma per essere un venerdì sera servito a casa su RaiUno, io sono servito e sto.