Milonga in teatro

Ecco infine Paolo Conte alla Scala. Il pubblico fantastica già su Dylan e McCartney

Corrado Beldì

Urla, delirio, ovazioni: una platea inedita, fra selfie e sguardi allegri, ha accolto in trionfo il cantautore italiano che ha cantato con voce roca e stonata alla perfezione. Adesso si scommette sulle prossime scelte

Eccoci qui a profanare il tempio dell’opera e stavolta per una prima vera, uno chansonnier finalmente alla Scala. La sera di Keith Jarrett avevamo la stessa sensazione, alcuni di noi pensavano fosse un’apertura al jazz ma nei mesi successivi scoprirono di sbagliarsi. Qualcuno anche allora gridò allo scandalo e per tenere il punto rinunciò al concerto e si perse un futuro Leone d’oro e soprattutto un formidabile Over the Rainbow. Siamo pronti anche stasera, da almeno quarant’anni Paolo Conte ci regala perle ineguagliabili. Fin dai giorni del liceo facciamo parte di chi l’ha seguito ovunque, da Parigi a New York, da Londra a Montecarlo e ben prima a Biella, a Casale, in oscure abbazie piemontesi e in case private, nelle terre della Topolino Amaranto quando ancora l’avvocato si accompagnava con Ares Tavolazzi, Jimmy Villotti, Antonio Marangolo, una delizia per i nostalgici del jazz tradizionale. 

 

Questa Scala per una sera più vicina all’Olympia ci piace assai. Grafica e colore sono diversi dal solito ma sul libretto non manca nulla, l’elenco dei brani, gli interpreti, il testo critico, le parole, la biografia del Maestro. La data in calendario è tra i Concerti Straordinari. Non ne sono annunciati altri ma il dado è tratto. La regola è l’unica possibile, l’eccellenza. Ne siamo entusiasti perché amiamo Paolo Conte quanto Richard Wagner e non siamo i soli. Il pubblico è più scaligero di quanto avremmo immaginato e già scommette sulle prossime scelte. Bob Dylan e Paul McCartney sono i nomi più ricorrenti, c’è chi favoleggia di una commissione a Tom Waits e chi vorrebbe una serata con Caetano Veloso. Troppo tardi per un recital di Aznavour, potessi scegliere un fantasma richiamerei in vita Vladimir Vysockij. Il grande Volodja con la sua vodka, un dissidente sul palcoscenico della Scala.

 

Nel foyer c’è un pubblico nuovo, lo capisci dai selfie e dagli sguardi. Molto italiano e non solo milanese. Per la Scala è un dato interessante, non si vive di soli stranieri. Imprenditori e impiegati. Cantautori in cappello da cowboy che sperano un giorno di salire su quel palco accolgono Paolo Conte sulle note di Aguaplano con uno scroscio di applausi. Lui si inchina, uno sguardo sornione e in un attimo è al pianoforte, per l’occasione puntato dritto all’emiciclo. Noi guardiamo il palcoscenico mentre Conte guarda la Scala. Dietro ci sono undici musicisti e un fondale di seta a plissé e altre cose che qui di solito non si vedono. Grandi diffusori, la regia nel palco reale e i colori che cambiano, battimani ripetuti e steady che si aggirano attorno a piano che è il cuore pulsante dell’avvocato. “In certi casi un pianoforte è un grido”. Nel decennio di Black Lives Matter la sua canzone ci porta lontano, giusto sessant’anni fa Duke Ellington suonò al Conservatorio di Milano. Era il 20 febbraio 1963, il giorno successivo entrò in studio di incisione per registrare La Scala, she too pretty to be blue, c’erano cinquanta orchestrali, era di fatto l’Orchestra della Scala ma per il disco fu negato l’utilizzo del nome. Che sia il caso di porre rimedio con una celebrazione ellingtoniana in grande stile?

 

Il jazz qui è solo sottotraccia, gli arrangiamenti solidissimi. Gli ottantasei anni si fanno sentire ma la voce è roca e stonata alla perfezione e la musica è un vortice senza fine. Sotto le stelle del jazz è solo un antipasto di milonghe inquiete e afrori coloniali e dolci e liquorosi ratafià, notti al dancing e ancora impermeabili e giochi d’azzardo, uomini che svaniscono nelle tappezzerie e diavoli rossi fino all’arrivo di Max che avrebbe meritato una sezione d’archi più corposa. Non importa, a quel punto la Scala si è trasformata in una bolgia. “Lampi qui nel teatro comunale, sulle signore ingioiellate”. La platea è in piedi, chiede un bis e Paolo Conte l’accontenta come meglio non si può. Il secondo Via con me è un trionfo. Urla, delirio, ovazioni, ultimo canto milanese di un tesoro nazionale vivente, scelta impeccabile per aprire nuove strade al teatro e alla città.

Di più su questi argomenti: