l'intervista
Il superpotere di Rareș
Ecco "Femmina", il secondo album del giovane cantante di orgini rumene, "il mio primo vero disco, un compendio di verità". Sperimentazioni, synth e il coraggio di metterci la faccia e di riscoprirsi. Tra ossessioni e improvvisazioni. Appuntamento al MI AMI
Rareș non mantiene le promesse. Le moltiplica. Non cambia le carte in tavola. Ne fa un gran castello e poi ci soffia su. Nel suo primo album del 2020, un Curriculum Vitae di nome e di fatto, era riuscito a usare "mi perplime" in una canzone (Pallore). Un buon esempio - anche se forse un po' nerd - del perché più di qualcuno aveva deciso di tenere le antenne puntate su questo giovane autore, origini rumene e voce ammaliante, che dalla Venezia di terra tentava l'esordio nell'affollato mondo indie italiano. Tormenti, "pare" e amori ridotti all'osso, formazione canonica chitarrabassobatteria e canonico indie, con gusto pop e retrogusto soul. Essenziale e curato. "Una certa presa a male che ha un colore ben definito", dice lui. Poi c'è stato un Ep, Folk_2021, che già si sporcava di sperimentazione.
Oggi esce per Needn’t il secondo album, che lui considera a tutti gli effetti il suo primo vero disco: Femmina. Uguale a nient’altro e nemmeno a se stesso. Nella nostra chiacchierata Rareș - la ș si pronuncia come "sc" in scemo, precisa lui, che dello scemo ha davvero poco - lo definirà una terapia, un monito, un percorso. "Più che altro - dice - è un compendio di verità. C'era una parte latente di me che lavorava a questo materiale da anni. L'ho dovuto accettare, far pace con i contenuti dell’album, smettere di censurarmi e trovare il coraggio di metterci la faccia”. Si è pure tolto gli occhiali. "Vasca, che è l'ultima canzone di questo disco, l'ho scritta nel 2018, il giorno dopo di Mille macchine (la penultima di Folk_2021, ndr). Durante la mia prima convivenza, avevo vent'anni e pochi strumenti per capirla. Uno degli output era la musica".
Femmina è anche un viaggio nella sessualità, scritto con la freschezza e la schiettezza di chi è capace di scherzare con se stesso. "Sono curioso a mia volta di come verrà letto. A un certo punto ero ossessionato dalla ricerca di una donna, di una persona a cui aggrapparmi. Ma riuscivo solo a fare finire tutto in disastro. Finché ho capito che la 'femmina' che cercavo non era là fuori ma dentro di me, era una parte della mia persona. Siamo tutti sbilanciati, alla ricerca della completezza". Siamo robe sghembe, ahi noi.
Femmina ha "un nucleo di sei brani (You be my, Fazzoletti, Como tu y yo, Iubi Kiss Me Iubi, Se piangi tu, Fanno miao) che sono i semi che poi si dispiegano nel disco", spiega. E' una camminata sul filo delle proprie ossessioni che trova un punto di sfogo in 13 tracce tra electro pop, punk, romanticismo e hyperpop sperimentale.
"Spesso ciò che si ascolta nel disco sono momenti improvvisativi, prime o seconde take", continua. "E' lì che vengono fuori il rumeno, lo spagnolo, l'inglese". Perché con questo disco Rareș non ha solo accettato e voluto bene alla femmina dentro di sè, ma ha anche scoperto il suo superpotere. Se nei primi lavori c'era molto slang e termini dialettali, qui c'è grande sperimentazione anche linguistica. E il riappropriarsi del rumeno, che "è famiglia, musica di casa, cibo - quello tantissimo". E ha anche la fortuna, come canta in Como tu y yo, che "Nelle due lingue che parlo / noi si dice sempre noi".
"Sono in Italia da quando ho sette anni e quella parte l'avevo sempre rinnegata. Quando ero piccolo mi facevo chiamare col mio secondo nome, Gabriel, che non è proprio italiano ma quasi. Questa quasi italianità è un problema di molti. Anche se sono bianco e parlo bene mi sentivo comunque diviso tra due mondi. Prima non avevo le palle di affermare questa identità e anche per questo negli album precedenti mi riconoscevo solo in parte. Ora invece so che è un punto di forza. Però, guarda, mi vergogno lo stesso di fare sentire il disco a mia madre".
Occhio, perché ora si inizia a suonare in giro e il palco è il suo habitat: il 26 sarà al MI AMI, poi ci sono le serate ai Magazzini sul Po di Torino e al Covo di Bologna, con puntatina a Modena. Ma non fatelo sapere a mamma, per carità.