la recensione
Cinquanta minuti di sesso e sentimenti nel nuovo capolavoro di Madame
L'artista vicentina è l'Ornella Vanoni di questi anni Venti. E lo conferma anche nel nuovo disco "L'Amore"
Madame è l’Ornella Vanoni per questi anni Venti. Fatte le debite raffigurazioni, corrispondono l’assenza di scrupoli politicamente corretti, il desiderio di cantare dritto come viene dallo stomaco transitando per il cuore, il disinteresse per ogni remora rispetto alla rappresentazione del sé come essere passionale, nonché scopertamente erotico. Perfino tra le loro diverse bellezze da appartamento c’è un’intesa, un filo che può essere steso, nella condivisa nonchalance che fa tanto amore nel pomeriggio. Il nuovo album di Madame si chiama appunto “L’Amore” ed è stato accolto da consensi raramente così convinti e compatti, avvicinando la giovane vicentina Francesca Calearo al ruolo di musa della carnalità che a suo tempo fu di Ornella, sempre valutati i debiti adeguamenti, quindi con meno letteratura e più visualità, e comunque – adesso come allora – raccontando storie di roventi contatti e distacchi di coppia, quando arriva il momento di rivelare le intenzioni, la voglia matta, il fine delle chiacchiere preliminari e poi quando non se ne può più, si perde il senso d’una relazione, si sprofonda nell’assurdo. Certo, tono e approccio a prima vista differiscono: la grande, inarrivabile noncuranza malinconica di Ornella, gli spericolati saliscendi della sua ugola roca, nelle canzoni di Madame si traducono in linee melodiche sinuose ma sempre geometriche, snobisticamente sottomesse all’autotune, improntate a produzioni di rigore digitali e poi, qua e là, venate di esotismi, sebbene traboccanti di contenuti assai analogici, tipo “Io sono donna, sì / Ma nella scorsa vita avevo il cazzo”.
Così ne “L’Amore” è un piacere ascoltare Madame insistere ostinatamente su una strada musicale tutta sua, mettendo da parte alcuni recenti slittamenti verso il mainstream che rischiavano di guastarla, al tempo stesso maturando a velocità straordinaria, dando vita a un album (solo il suo secondo) ricco di linguaggio e musica e denso di schietta ispirazione. E’ superfluo, a questo punto, discettare se Madame sia la possibile ultima incarnazione d’una figura cantautorale italiana (due Targhe Tenco le ha già vinte, a scanso di equivoci), quanto piuttosto una spudorata risposta mediterranea alla rivisitazione della figura della poetessa scapigliata, in una galleria che venera Frida Kahlo come capostipite e potrebbe contenere Rosalia e Kae Tempest, Fka Twigs e perfino Dua Lipa. Intanto ne “L’Amore” lei riconosce dipendenze da De André a Battiato e poi dal cinema di Guadagnino, Gaspar Noé e Lars von Trier, salvo in un brano citare e sfottere con affetto Angelo Branduardi, mentre noi ci arrabattiamo nel tentativo inutile di definirne l’identità sessuale, mettere in fila le sue preferenze, intuire in che direzione fluiscano questi suoi arzigogolati desideri (“Sono nata ninfa e ninfa morirò”, canta in “Storia di una Ninfomane”).
Lei è già diventata l’artista più ascoltata da noi su Spotify negli ultimi dieci anni, anche se nel frattempo dichiara d’essere attratta in particolare dalla disperazione, si prepara a sbancare i palasport italiani col tour della consacrazione nel prossimo autunno, è uscita indenne dallo scandaletto sul falso green pass che rischiava di escluderla da Sanremo (mesto esempio di tiro al bersaglio per politici di terza fila) e rilascia questo Lp in cui per cinquanta minuti discetta di sesso e sentimenti, rimescolati in dosi diverse – più o meno sempre con lo stesso risultato: è bellissimo e altrettanto nocivo. Il fatto è che ascoltando “L’Amore” si ha la sensazione che Madame non faccia finta, che prenda seriamente la vocazione poetica, che padroneggi una cifra contemporanea che è diretta conseguenza dei suoi 21 anni e che dica in modo stupendamente suggestivo cose che hanno la forza di sorprenderci, farci sussultare e, in alcuni casi circoscritti, perfino di commuoverci. Che vergogna… diamine, si tratta solo di pop! Eppure la storia è questa, il che fa di Francesca un’artista importante, una figura di rilievo nella descrizione di questo attimo e una voce che in prospettiva saprà dire molto altro – inevitabilmente facendo i conti con una questione che, ci sembra, non abbia ancora messo in conto: diventare grande.