Il nuovo album
Daniele Silvestri ci conferma che ha ancora senso scrivere canzoni nell'Italia di oggi
“Disco X” è una singolare opera di connessione col passato del musicista romano, che svaria liberamente fra generi diversi. Un artista capace di bilanciare esperienza ed entusiasmo, con una serie di gradevoli cammeo
In questo inizio d’estate ricolmo di concerti, tour e festival, la performance musicale più commovente a cui abbiamo assistito è arrivata in una pigra serata televisiva, quando Daniele Silvestri si è presentato a “Propaganda” su La7 e ha sorpreso con una versione di “Cara” di Lucio Dalla che ci ha lasciato senza fiato e un po’ stonati – perché, si sa, ogni tanto torna su com’erano certe cose. Un altro singhiozzo per Lucio, dunque, ma anche un grato cenno di bentornato a Daniele, uno dei musicisti italiani per i quali l’utilizzo dell’aggettivo “eclettico” non è ridondante, ma necessario. E comunque, dopo uno iato di quattro anni, adesso per Silvestri è arrivato il momento di ripresentarci col suo decimo album, latinamente intitolato “Disco X”, opera di connessione singolare col suo passato, in quanto in sintonia con tanti filoni d’ispirazione, ma scevro da ripetizioni e costellato di futuribili esplorazioni e parecchie novità.
La prima delle quali è certamente il gran numero di partecipazioni, in apparente omaggio a un costume nuovo e ormai consolidato della nostra discografia, che ha generato una proteiforme community in odore di “volemose bene” e ha trascinato i percorsi individuali in tutto un avviluppo di collaborazioni, tra reciproci segni d’assenso, sfondi condivisi e ammiccamenti di rispetto. In questo caso fanno la loro apparizione nel disco Franco 126, Frankie Hi Nrg, Giorgia, Selton, Wrongonyou, Davide Shorty e Fulminacci, quest’ultimo il più, diciamo così, prevedibile, in quanto migliore reincarnazione di diversi aspetti stilistici e più in generale dell’attitudine con cui Daniele si presentò agli esordi. Però va detto che, grazie all’esperienza di chi fu tra i primi a imboccare la via dei lavori “plurali” facendo squadra con Max Gazzé e Nicolò Fabi (erano ancora gli anni Novanta), questi cammeo risultano gradevoli e motivati, soprattutto privi di quell’occasionalità un po’ greve che sovente oggi caratterizza i featuring.
“Disco X” ha una genesi particolare: lo stesso Silvestri ne parla come di “un disco costruito in scena”, dal momento che il “Tour X” dell’anno scorso era al tempo stesso uno spettacolo live e un laboratorio creativo, con tanto di studio di registrazione al seguito, dove poco alla volta i pezzi hanno preso forma e sostanza, con lo stravagante contributo di alcuni testi forniti da chi, tra i fans dell’artista, ha risposto al suo invito di “mandargli delle storie”, alcune delle quali sono diventate canzoni vere e proprie. Il livello generale del lavoro è quello senza cedimenti qualitativi a cui da sempre ci ha abituato Silvestri e lo svolgimento svaria assai liberamente tra generi, contemplando complicate jazz ballad come “Mar Ciai”, molto suono funky e smaglianti composizioni cantautorali come “Il talento dei gabbiani”, che esplora l’esperienza dei talent musicali e “Bella come Stai”, dove il duetto con Franchino 126 ricama nel tema ricorrente dei traslochi da Roma a Milano, con annessa nostalgia e rimembranze cromatiche.
Del resto con le parole Silvestri continua a giocare magnificamente come ha sempre saputo fare, capace di soluzioni inattese, di racconti ironici sospesi tra il reale e il surreale, di felici intuizioni descrittive di come siamo, ma abbiamo difficoltà a definire. In particolare in “Scrupoli” poi, si ricuce quel filo con Lucio Dalla di cui dicevamo all’inizio, attraverso una composizione che è una specie di eco multiplo, ad esempio di come si scrive una canzone, ma anche, nelle parole del testo, di come si pianta in asso un amore dal punto di vista femminile e infine di come un pezzo alla “Disperato Erotico Stomp” ti possa restare dentro per il suo geniale concepimento, per l’intenzione stessa di averla creata e per la perfezione delle liriche, finalmente così vicino al vero del nostro vissuto.
La sostanza è che questo riaffiorare discografico di Silvestri è congruo e soddisfacente e ci restituisce un artista capace di bilanciare esperienza ed entusiasmo, senza cedere alle routine o allo scetticismo. E poi questa discendenza Dalla-Silvestri-Fulminacci ci piace, ci offre una veduta prospettica, sia pure con tutta la sua approssimazione. Ci sembra racconti come continui ad avere senso scrivere canzoni nell’Italia di oggi, per intercettare, fotografare, perfino storicizzare un’aria dei tempi e un momento “che non dura che un attimo”, come canta a un certo punto Daniele. È il famoso contributo, imperdibile della cultura pop, all’italiana, insomma – ma meno male che c’è.