storia di un artista
Le molte vite di Claudio Rocchi, principe della Milano alternativa post '68
Il saggio di Walter Gatti fa luce su un musicista non allineato. La cui cifra non è mai stata la militanza politica o lo schieramento intransigente, ma l'esplorazione della diversità
Quanto era difficile ma elettrizzante vivere nella Milano fine anni Sessanta – a patto di avere a malapena vent’anni. In Italia era il posto dove stare per trovare gli stimoli culturali, i germi del rinnovamento, il confronto politico e le opportunità esistenziali – ed era anche la città dalla quale tutti i giovani dicevano di voler fuggire, salvo finire per tornarci. Nel terremoto milanese del post ’68 si fa imperiosamente largo un giovanotto dalle doti straordinarie: si chiama Claudio Rocchi è dotato di un talento cristallino e trasversale, di un’energia inesauribile, di una famelica curiosità e di un atteggiamento inconsueto per i tempi in cui vive. Per Claudio, controcorrente, la priorità non è la militanza politica e lo schieramento intransigente, ma la sperimentazione creativa, la conoscenza alternativa, l’esplorazione della diversità. Dopo aver cercato una chiave espressiva nella pittura – i quadri giovanili li firmava “Dhio”, contrazione del suo nome che conteneva l’impronta del suo spontaneo narcisismo – Rocchi canalizza il suo impegno dirompente nella musica.
Dopo un apprendistato in un paio di gruppi – la formazione studentesca degli Sconosciuti e poi i già affermati Stormy Six – imbocca una carriera solistica che lo porta a firmare il primo album a malapena ventenne e il secondo, che sarà il suo capolavoro, “Volo magico n. 1”, poco dopo. Ma non è solo l’originale vena di Rocchi, impregnata di sonorità orientali e proiettata in una dimensione internazionale, a garantirgli una grande popolarità soprattutto tra i coetanei: è la sua capacità di essere sempre il primo sul nuovo, di trasformarsi in un’antenna ricevente/trasmittente di ciò che vale la pena di scoprire, lavorando nelle seguitissime trasmissioni radio d’impronta giovanilistica “Per voi giovani” e “Popoff”, scrivendo sui settimanali musicali che in quegli anni conoscono una diffusione formidabile, concedendosi alla partecipazione di ogni genere di evento, festival, aggregazione connessa col prepotente emergere di quella che al tempo veniva indicata come “controcultura”.
Per alcuni anni, nella Milano che è la fucina italiana di un’invenzione libera dagli schemi del sistema, Rocchi e il suo attico di via Campania sono il fulcro creativo e l’emblema di una libera ricerca, sganciata dall’osservanza ideologica. Il racconto di tutto ciò è ora espresso in modo generoso e informatissimo da “Essenza. Vite di Claudio Rocchi”, saggio scritto dal giornalista Walter Gatti, che a suo tempo fu uno dei tanti ragazzi di provincia ammaliati dal carisma di Claudio Rocchi, dalla sua musicalità ma, ancor di più, dal suo inconsueto modo di comunicare, di condividere e porgere il prezioso bene che in quegli anni faticava a farsi strada, ovvero l’informazione. Nel volume Gatti svolge un’opera benemerita: alterna a una ricostruzione maniacale delle gesta di Rocchi una ricchissima documentazione sull’aria dei tempi, ovvero sugli ambienti in cui tutto ciò andava in scena. Così anche chi non c’era impara a conoscere questa carismatica figura di non allineato, parossistico nell’integrità delle sue passioni, perfino irritante nella mania di esprimersi, improvvisare, coinvolgere, artisticamente capace d’inventare una vocalità inedita, ispirata a modelli orientali lontani, inseguitore di tendenze, viaggiatore nelle grandi capitali, studioso di filosofie ancora arcane, esploratore delle frontiere psichedeliche, assaggiatore di sostanze psicotrope e poi affascinante padrone di casa dell’oasi hippie nel cuore di Milano, tra corpi nudi e profumi d’incensi.
Nella Milano di Elio Fiorucci, Demetrio Stratos, Fernanda Pivano, Gianni Sassi, Franco Battiato, dei giovanissimi Camerini e Finardi, nella quale transitavano perfino gli eroi del beat americano e dove nascevano le etichette della musica alternativa, Rocchi per alcuni anni è il guru e il principe circondato da una corte di dignitari, e il suo è l’indirizzo da frequentare. Gli invidiosi ne sminuiscono il genio, ne sottolineano le contraddizioni, addirittura adombrano incongrue accuse di fascismo per castigare la sua propensione alla metafisica più che alla protesta. Ma la parabola, vista da oggi, in fondo è breve, si esaurisce in meno di un decennio, e vede Claudio, nemmeno trentenne, prediligere la lontananza alla presenza nella sua città. Vive a Positano, nella comune di Terrasini, sempre più spesso è in India in cerca dei maestri. Opta per Krishna, si mette al servizio di una diffusione religiosa che in quel tempo ha il valore di un esilio. Per quindici anni lavora alla produzione di Radio Krishna Centrale, scompare dagli orizzonti giovanili condivisi, diventa una figura remota. E negli ultimi tempi di una vita conclusa sbrigativamente nel 2013, rientra finalmente in città, paga con la forzata immobilità la sua vita di corsa, si dedica a ricordare, ritrovando l’affetto dei reduci di una stagione lontana. Che sono una sbalorditiva galleria di personaggi, noti e dimenticati, stelle di passaggio, geni scomparsi, un caravanserraglio divenuto Festa Mobile prima di disintegrarsi.
Per chi c’è stato o per chi vuole sapere il libro di Gatti è un lavoro prezioso, che tiene la musica al centro, ma spazia nei territori della contaminazione culturale che costituivano il bosco creativo di quelle giovani menti. Visto da oggi, scusate, un nirvana perduto.