A teatro
Bellissime “Le nozze di Figaro” di Strehler alla Scala. Adesso basta, però
Non esiste una versione giusta dell'opera di Mozart, ogni epoca ha la sua. Non cerchiamo certo gli stessi stimoli dei nostri nonni e nemmeno dei nostri padri
E così sono tornate alla Scala Le nozze di Figaro “di” Giorgio Strehler (e anche un po’ di Mozart, volendo), accolte con giubilo dal solito parterre di turisti. L’allestimento risale al 1981 (ma rimontando la produzione di Versailles del 1973) e alla Scala, in casa o agli Arcimboldi, lo si è già visto settantadue volte, 74 con le prime due serate, sabato e mercoledì scorsi, di questa ripresa. Non avrebbe quindi senso riparlarne, senonché il giubilo nostalgico di vedovi e prefiche per il “vero Mozart” induce a qualche considerazione su cosa voglia dire fare l’opera e perché in Italia, di regola, la si faccia male.
Lo spettacolo, ovviamente, è bellissimo, le scene meravigliose di Frigerio, i costumi meravigliosissimi della Squarciapino, tutto un Settecento morente e malinconico, con le citazioni giuste, gli interni di Longhi e i Fragonard più birichini. Della regia di Strehler non saprei dire cosa davvero resti; di certo, la ripresa di Marina Bianchi pare accuratissima. Ci sono ovviamente le luci di taglio, certi movimenti, certi controluce, certe pose, tutti i marchi di fabbrica griffati Piccolo. Ma come sono anche tanto anni Settanta queste Nozze, però, con Figaro che già dalla prima scena bastona rabbiosamente l’habit habillé del Conte con la scusa di spazzolarlo, e poi è minacciosissimo quando gli dice: “Io non impugno mai quel che non so”, avanti Terzo stato, alla riscossa. E poi: l’opera è la commedia più erotica mai scritta, ma quando Cherubino deve spogliarsi (una donna che interpreta un adolescente che si traveste da donna, aspettiamo proteste di qualche fratello d’Italia per questa fluidità) lo va pudicamente a fare dietro a un paravento, e cambiando pure le parole dell’aria che l’accompagna, e senza che qualche cara salma sbotti “povero Mozart!” come succederebbe se invece delle culottes si togliesse i jeans. Che delusione, però: come se Edwige Fenech, ai bei tempi, avesse fatto la doccia con la tendina tirata.
Insomma, qui si cerca di spiegare che non esistono Le nozze di Figaro “giuste” o “corrette” oppure, come dicono i babbei, “come le voleva Mozart”, ma che ogni epoca ha le sue, perché nelle Nozze, in Mozart, all’opera e in generale a teatro noi non cerchiamo certo gli stessi stimoli dei nostri nonni e nemmeno dei nostri padri. A meno che, ovviamente, non si pensi che il teatro sia un museo e che debba rassicurare e non scuotere: un’idea legittima ma, dai risultati, si direbbe sterile. E infatti alla Scala anche la parte musicale suonava un po’ démodé, con una direzione di Andrés Orozco-Estrada corretta ma incolore e, a parte qualche parca variazione dei cantanti, anche lei del tutto ignara di quel che è successo negli ultimi quarant’anni nel modo di eseguire Mozart (orchestra un po’ imprecisa, per inciso). In scena, meglio gli uomini delle donne: Luca Micheletti, Figaro, è l’unico a metterci un po’ di pepe autentico e Ildebrando D’Arcangelo, il Conte, ha ancora una gran voce. La Contessa di Olga Bezsmertna esibisce una signorilità un po’ affettata (del resto, non nasce contessa, sciura mia: nasce Rosina) e qualche suono metallico; la tessitura della parte mi sembra bassa per Benedetta Torre, la cui Susanna è ben cantata ma non diventa mai il vero motore di questo turbinio erotico; Svetlina Stoyanova è un buon Cherubino e i comprimari sono validi, specie Andrea Concetti come Bartolo, anche se non si capisce perché arruolare all’estero una Marcellina così scarsa (insopportabilmente leziosa anche Barbarina, comunque).
Ora, il teatrone fa benissimo a tenere in repertorio uno dei suoi spettacoli più gloriosi e a rimetterlo ogni tanto in scena, tanto più che le sette recite, fino al 20, sono esaurite, i turisti escono felici e contenti (però, dopo aver abbondantemente disturbato fra selfie, entrate e uscite abusive e altre rotture di scatole: le maschere sono tanto carine ed educate, ma ogni tanto ci vorrebbe anche il poliziotto cattivo) e insomma il botteghino giubila. Se invece la Scala crede davvero che Mozart, nel 2023, si faccia così, allora abbiamo un problema.