Sfera, ma basta
Un nuovo album ben strutturato e persino con qualcosa da dire. Ma con un pessimo tempismo
Tempismo e suoi diversi prodotti. Il film della Cortellesi veleggia verso incassi favolosi, diverte e commuove il pubblico con la storia di Dè e le sue casarecce variazioni “La La Land”, ma soprattutto con la struggente ricostruzione di come inizi il riscatto di una donna (una per tutte), dal sotto-minimo sindacale del diritto al voto, verso un cielo di conquiste ancora non tutte conquistate. Poi il film s’imbatte nell’omicidio di Giulia e si trasforma – casualmente? No: l’autrice ha raccontato una storia di violenza maschile diffusa e consolidata nella nostra società perché ha creduto fosse il momento giusto per farlo. E il terrificante fatto di cronaca s’è infilato dentro al suo successo e ai discorsi circostanti, come fosse la prova della moltiplicazioni che insegnano alle elementari. Soluzione e prova – insomma il film si trasforma nel contrappunto di una vera tragedia. Probabile che in futuro ricorderemo così, annodate, la Giulia trucidata e la Delia che a bocca chiusa assapora la rivincita sul maschio stronzo, che non si sa come e quanto durerà.
Tempismo nell’industria dello spettacolo, dunque. Esce il nuovo disco di Sfera Ebbasta, quinto della sua produzione, dopo anni di silenzio. Nel frattempo Sfera è diventato un padre trentenne, sono trascorsi otto anni dal suo esordio, cinque dall’incolpevole coinvolgimento nella brutta storia del Lanterna Azzurra di Corinaldo e intatto è rimasto il suo esplosivo potenziale commerciale, se è vero che “X2VR” (reprise di “XDVR”, “per davvero”, l’album d’esordio a cui intende ricollegarsi) ha spaccato i record di streaming, facendo di Sfera uno dei dieci artisti più ascoltati al mondo al momento dell’uscita. Un altro grande successo, per un prodotto che contiene però ingredienti che a loro volta vanno in reazione con le cronache in modo assai diverso.
Con ordine: “X2VR” è davvero un buon disco, prodotto con assodata sapienza da Charlie Charles, pigmalione e compare artistico di Sfera finalmente tornato a lavorare con lui, e da Drillionaire, spin doctor di Lazza e molti altri. In un certo senso Sfera è diventato la versione classica di se stesso, rappa e trappa con sapienza, è un virtuoso dell’autotune (!), sorregge con disinvoltura una struttura complessa come l’album con la sua partizione in atti diversi, dimostrando di avere abbastanza musica e cose da dire per dare un senso compiuto all’operazione. Che poi arricchisce, com’è naturale che faccia l’autonominato re di Cinisello, anzi di Ciny, con una sfilza di partecipazioni della vecchia e nuova scuola, un dream team con Marra, Guè, Elodie, Tedua, Lazza, Paky, Geolier, Simba e altri.
Poi ha delle cose da dire, isolabili in due grandi contenitori: il discorso della rivincita e l’amplificazione del sé. Nel primo caso Sfera ricama da tante angolazioni sullo stesso argomento: lui, contro i pronostici, ce l’ha fatta, ha avuto un successo straordinario, ha un “bank account” da leccarsi i baffi, ha sovvertito un’adolescenza difficile a un passo dal mondo dello spaccio e della criminalità, ed è diventato a modo suo un modello. Se ce l’ha fatta lui ce la possono fare altri, e lo declama nel discorso introduttivo: “Pensano che ostento quello che ho. Che ostento i miei risultati perché voglio fare il figo. Ma in realtà io spero solo di motivare quei ragazzi che come me non hanno mai avuto niente”. Ok.
Poi c’è l’altra parte, quella in cui Sfera indossa, sebbene abbia appena cantato “io non sono più quello di prima”, i panni del trapper per pronunciare la narrazione di genere: soldi, oro, fama & invidia (“Ti amano finché sei povero / …/ solo perché ce l’hai fatta un po’ ti odiano”), con le donne ai suoi piedi, adoranti oggetti del culto (“Dice che vuole i miei figli, glieli schizzo tutti in face”). Ci si può arrampicare tra precisazioni poetiche, ipotesi di stilizzazione, ricostruzioni del vissuto, descrizioni dell’immaginario condiviso, ma la sostanza è quella: Sfera piace, è l’artista prediletto di legioni di fans, tocca argomenti sensibili per coetanei e dintorni, come quello del “farcela”, ma nel repertorio continua a esporre un repellente rapporto con le donne e una sua inaccettabile descrizione – per quanto riconducibile a un filone che viene da lontano nello spazio e nel tempo, l’America, il gansta’ e via dicendo.
Il problema è il tempismo: quelle frasi, quei riferimenti, quei concetti, espressi oggi, diventano sale su una ferità aperta e stuzzicano un comune senso del pudore che parrebbe sia in via di riscoperta. La questione, in un certo senso, stritola Sfera come artista, anche se non penalizza il suo successo, che transita attraverso altre sintonie empatiche col suo pubblico. E l’impasse tocca a Sfera perché il suo disco è uscito adesso, ma sarebbe potuto toccare a un altro dei suoi colleghi, se abbastanza famosi da fare notizia. Ne nasce una questione scomoda, che tira in ballo il senso di correttezza, l’ipocrisia, la decenza di ciascuno di noi. Sfera Ebbasta continua a dire il suo e lo fa in modo suggestivo. Ma la realtà bussa alla sua porta, e invoca una presa di responsabilità. La percezione è di due mondi che non si toccano, ma soprattutto che non si amano. E della sensazione di impotenza di chi si sente in mezzo e non sa che pesci pigliare. Proposte in merito?