La recensione
"Maestro" di Bradley Cooper e le difficoltà nel fare una biopic su Leonard Bernstein
Il film, dal 20 dicembre su Netflix e in questi giorni in anteprima in alcune sale italiane, racconta la vita del direttore d'orchestra e compositore americano in ogni sua sfaccettatura, dalla musica all'amore
Quello del biopic è un genere cinematografico complesso. Ricostruire la biografia di un personaggio realmente esistito e conosciuto a livello internazionale può rivelarsi operazione rischiosa e poco esaustiva sotto tanti punti di vista. Quale taglio dare al lavoro? Quali aspetti della vita personale e artistica sottolineare? Quale l’attualità di un personaggio? Sono domande che si sarà posto Bradley Cooper, regista, sceneggiatore e protagonista del film “Maestro” dal 20 dicembre su Netflix e in questi giorni proiettato in alcune sale italiane per poche anteprime. La pellicola è dedicata a Leonard Bernstein e (volendo molto semplificare) ai suoi due poli: quello personale – affettivo e quello musicale. Il film non segue le normali “regole” dei lavori biografici ma sembra più orientarsi verso il racconto di una grande storia d’amore.
Cooper è un Bernstein pressoché perfetto, a volte quasi si fatica a distinguerlo dall’originale. Voce roca, sigaretta perennemente accesa (persino nella sala d’attesa di uno studio medico), vitalità contagiosa. Uno studio durato oltre sei anni che gli ha permesso di reincarnare uno dei personaggi più influenti della cultura musicale, e non solo, del XX secolo. La vita di Lenny è un susseguirsi di eventi e il regista decide di saltare di qui e di là. Dal punto di vista musicale, l’esordio nel 1943 quando sostituisce Bruno Walter alla guida della New York Philharmonic. L’esecuzione della Seconda Sinfonia di Mahler nella Cattedrale di Ely. Scene dai musical, squarci di prove, momenti al pianoforte per comporre e feste musicali. Poi c’è la vita privata, quella vissuta con Felicia Montealegre Cohn (una Carey Mulligan da Oscar), sposa e madre dei suoi figli. Donna amata da Bernstein ma anche tradita dalle esperienze omosessuali che il direttore consuma con giovani avvenenti. Il film si concentra soprattutto sulla storia tra i due, entrambi artisti, tenaci e profondamente legati uno all’altro. Cooper non sguazza nei meandri della vita sregolata di Bernstein ma cerca di indagare questo suo tratto “panamoroso”: "Amo troppo, cosa posso dire?" afferma in un passaggio del film. Una personalità il cui desiderio esplosivo avvolge, nel bene e nel male, le persone che vi gravitano attorno. La moglie prima di tutto, impegnata a salvaguardare i figli tenendo in piedi un rapporto che deve affrontare la lontananza, gli sbalzi umorali di Lenny, le voci sulla sua nemmeno troppo celata bisessualità.
Il regista insiste sugli aspetti “privati” facendo così una scelta legittima che probabilmente sottrae forza e lustro a un uomo che ha avuto un impatto enorme su tanti ambiti della cultura americana, come compositore, direttore d’orchestra, presentatore e autore televisivo, vincitore di dischi d’oro e di platino, apparso sulla copertina di Time e Newsweek e vincitore di Grammy ed Emmy.
Il film non approfondisce quanto Bernstein abbia “parlato” al pubblico colto e non, di adulti e di bambini. Una esuberanza figlia della conoscenza illimitata della musica e non solo, comunicata a chiunque con una forza primordiale. La pellicola trascura gli attacchi subiti da Bernstein a opera di ignoranti esponenti dell’avanguardia che consideravano la sua produzione inferiore. Gente intollerante che rifiutava della musica scritta per essere semplicemente ascoltata, dal tratto originale e riconoscibile, non priva di arditezze armoniche senza mai scadere in estremismi senza senso, lui che era accademicamente inappuntabile e mai manieristico. Con le dovute differenze Bernstein ha rappresentato per l’America quello che Karajan è stato per l’Europa. Peccato che ancora oggi a oltre trent’anni dalla sua morte in pochi abbiano colto e coltivato i suoi insegnamenti; il puntare sull’educazione dei più piccoli; evitare la divisione della musica in generi; usare la musica come chiave d’accesso e risposta alle domande della contemporaneità. Rimangono le sue incisioni, l’integrale delle Sinfonie di Mahler (un vertice insuperato); i filmati delle prove, numerosi altri concerti. Poi gli scritti, le trasmissioni televisive e ora il film “Maestro”, un lavoro riuscitissimo ma troppo poco “musicale” se il protagonista è Leonard Bernstein.