Musica non minore
Il grande cantautorato esiste ancora: Andrea Poggio ne è solo un esempio
La sua forza sta in una scrittura raffinata, molto distante dall'assenza di ricerca linguistica della maggioranza della nostra nuova musica. Ricorda un po' Battiato, ma anche Francesco Bianconi (e Beck)
Conviene non perdere d’occhio la nutrita pattuglia di cantautori considerati “minori”, solo in quanto ricevono promozione e inviti di ben più scarsa qualità e quantità rispetto ai consolidati “grandi”. Non tutti nascono De Gregori, eppure questo panorama della musica italiana è costellato di figure interessanti quanto appartate, che poi magari di colpo hanno la ventura di salire un bel po’ più in alto, dopo lungo apprendistato. Vale per Giovanni Truppi, per Lucio Corsi e vale per Andrea Poggio, un personaggio che merita un’attenzione superiore a quella che ha ottenuto finora, dopo la recente uscita del suo secondo album solista, “Il Futuro” e le date che sta facendo in giro per l’Italia, come support act di qualche attrazione (spesso Baustelle), o da solo in piccoli club. Ci è capitato di vederlo in concerto a Roma: un’anima lunga con un completo color aragosta, accompagnato da due polistrumentiste nerovestite e dotate di intonatissime, angeliche voci, Adele Any Other e Arianna Pasini (a sua volta fresca di debutto discografico con “Burrone”). E’ stata una bella sorpresa, che vale la pena di esplorare: Andrea è un quarantenne avvocato di Alessandria trapiantato a Milano, con una lunga militanza musicale con una competente band pavese chiamata Green Like July, titolare di tre album tra il 2005 e il 2013, ambiziosamente registrati durante altrettante residenze americane nel Nebraska, a casa di Bright Eyes, cantando in inglese e dunque puntando a una circolazione internazionale.
Alla fine del sodalizio, Poggio ha continuato da solo, caratterizzando ancora di più la sua prerogativa principale, ovvero una vocalità educatissima, capace di sottili modulazioni, adesso in italiano, anzi in un italiano còlto, con un’ampiezza di vocabolario perfino bizzarra, in crepuscolare controtendenza rispetto alla diffusa banalità e all’assenza di ricerca linguistica della maggioranza della nostra nuova musica. Andrea Poggio si colloca esattamente all’estremo opposto: “Il Futuro”, che segue sei anni dopo l’esordio “Controluce”, ha avuto una lunga gestazione, collaborazioni di rilievo e registrazioni divise tra Milano e Bristol. Il suono è quello di un easy minimalismo elettronico che, tra echi anni Ottanta, riveste di morbidezze la vibratile vocalità di Andrea, per la quale possono essere indicate reference al Franco Battiato degli inizi, a Garbo, al Paolo Conte più soave (avvocati piemontesi, no?), ma anche a Francesco Bianconi e, nei momenti più giocosi, perfino alle peripezie del Gruppo Italiano (e poi vogliamo aggiungere anche un lontano paragone a Beck).
La forza di Andrea sta in una scrittura raffinata, cosparsa di un’ironia secondaria rispetto a certi canoni della canzone italiana sofisticata, con un costante impegno descrittivo nell’edificare delicate atmosfere personali, fotogrammi dell’istante e résumé psicologici di come sono andate, o di come sembrano, certe cose. Un lavoro interessantissimo, nonostante qualche periodico eccesso manieristico, che ben si accorda con il personaggio che Poggio propone con naturalezza, un dandy dai vaghi toni aristocratici, dall’eloquio selezionatissimo e una snobistica visione estetica, distaccata dalle cose del mondo. Una figura inevitabilmente inattuale, avviata però meritatamente a divenire personaggio di culto, che forse potrebbe bastare al titolare dell’impresa, in attesa di un colpo di fortuna. Già, per permettere a un artista di questo genere e alle sue giuste aspirazioni di trovare soddisfazione e una maggiore visibilità deve succedere qualcosa d’inatteso, come azzeccare, anche inconsapevolmente, un tormentone, o vedersi identificare come modello di ruolo di qualcosa che ancora non c’è. Non è dato sapere se questo destino è dietro l’angolo del percorso di Andrea Poggio, trasformandolo, chessò, in un Fabio Concato o in un Sergio Caputo contemporaneo, ma quello a nostro parere sarebbe il posto che merita nella nostra scena. Ovvero, nella nostra scena immaginaria, perché poi la nostra scena di oggi è tutt’altro, e il titolo di “attrazione” viene accordato a personaggi di tutt’altro genere. Ma qui il discorso si allontana, mentre nella fattispecie ci interessa segnalare alla vostra attenzione questo artista e la sua musica. Se vi piacerà, il resto viene da sé.