grazie dei fior
Sanremo in surplace. Una prima serata morbida e inoffensiva
L'ultima edizione a guida Amadeus fatica e non decolla. Se non succede qualcosa sarà dura arrivare a sabato sera. Più brutti del solito anche gli spot pubblicitari. Le canzoni? Qualcosa di buono c'è
Verificata regola televisiva: non è detto che se lo rifai, ti va bene un’altra volta. Sanremo 2024 somiglia all’edizione precedente, ma lo smalto è diventato opaco e lo show non decolla, mentre Amadeus si ripete e sembra un disco incantato. Il mondo va avanti e perfino l’Italia, arrancando, cambia, un po’ ogni giorno. Lo sforzo prodotto dalle ultime edizioni del Festival per rincorrere una società musicale con la quale era da tempo separato in casa, ha prodotto risultati interessanti e qualche stupore, ma si volatilizza se la macchina va in surplace. Che è lo stile con cui il direttore-conduttore ha deciso d’affrontare l’ultimo giro di pista, per tanti motivi, compreso l’esaurimento della proposta e l’allestimento di un’uscita di scena morbida e inoffensiva, prudente anticamera del prosieguo di una carriera tv – ovviamente morbida e inoffensiva. Un sapore da fine stagione che fa rimpiangere i Ferragnez e sperare in qualche sorpresa in contropiede, sennò a sabato ci arriviamo col Prozac.
Comunque, in diligente rassegna: antica, ma destinata a istantanea popolarità Clara; aggraziato ma un po’ spompato Sangiovanni, l’eterna promessa mai sbocciata; perenne e coerente Fiorella Mannoia, con un flamenco-folk intonato alla De André; a lavorare, subito e senza condizionale, i La Sad, progetto su cui la procura dovrebbe indagare; un concentrato di difetti italiani (acconciatura, vocalità strozzata…) Irama e la sua perla nel pugno; nella peggiore versione possibile Ghali, fasciato in un pigiamino griffato da stilisti sadici; i Negramaro rilanciano la grandeur salentina, con Giuliano al record di vibrati e il solito sound melò; Annalisa non si meritava un pezzo così brutto (Morgan l’aveva predetto); Mahmood invece ha un buon brano dei suoi, ma lo canta male e deve rifarsi; Diodato ha classe e porta con sé un po’ di Hollywood, o almeno di Las Vegas (però, quel balletto…); Loredana Bertè è sgangherata, ma la canzone le somiglia e va bene così; brilla Geolier, prima luce nitida del Festival; Alessandra Amoroso ha denunciato legioni di haters, eppure è una dignitosa interprete leggera, come Emma del resto, ma nessuna delle due fa sognare; The Kolors rifanno “Italodisco” con un titolo diverso, peccato che ascoltarli faccia venir voglia di tornare a leggere i classici; Angelina Mango ha molto hype, canta una cumbia scritta con Madame e Dardust e sta al Festival come Pietro Castellitto sta al cinema italiano (ovvero molto bene); Il Volo resta uno degli eterni enigmi dello spettacolo italiano; BigMama si batte contro il body shaming, ma musicalmente non va oltre stereotipi; Ricchi e Poveri e Nek e Renga sono il vecchio che ritorna e non c’era bisogno; Mr Rain va in scena alle 00.50 e non supera la prova, meglio i Bnkr44 che sono una boy band ruspante e meglio ancora Gazzelle che fa una delle sue piacevoli ballate non-sanremesi; Dargen D’Amico ripropone un martello alla “Dove si balla” stavolta con un testo drammatico che stride con un look inutilmente demenziale; alle ore piccole transitano Rose Villain, Santi Francesi, Fred De Palma, Maninni e Alfa tutti trasparenti e inoffensivi, mentre ha un guizzo Il Tre con il motivetto sulla sua città – mica male.
Più brutti del solito anche gli spot pubblicitari. E comunque la prima serata è stata dura. Per farcela di nuovo, non basta un Fiorello così così. Siamo valorosi abbonati di lungo corso: dateci qualcuna delle illusioni incluse nel canone.