Checco Zalone & De Gregori, un duo meno improbabile di quanto si possa credere
I due artisti sono arrivati alla decisione di fare insieme qualcosa che andasse oltre l’ospitata a un concerto: hanno realizzato un album conceputo musicalmente insieme
Che questo matrimonio fosse da farsi era nell’aria già da un po’, perché i due interessati è un pezzo che si annusavano. Il mistero glorioso, ovviamente, stava nella forma che l’evento avrebbe potuto avere, dal momento che Francesco De Gregori e Luca Medici/Checco Zalone sono lo yin e lo yang della canzone italiana, collocabili a due (rispettabili) estremi della nostra scrittura autorale, dove in un caso si fa opera, e nell’altro, operetta. Conoscendoli, invece, la risposta non era difficile: era, ed è, tutta questione di musica, fattore passionale che occupa punti diversi nella personalità dei due – sterminato territorio espressivo per Francesco, e competente passione al servizio del proprio accesso alla popolarità per Checco, uomo dei record del nostro cinema.
Comunque, arrivati alla decisione di fare insieme qualcosa che andasse oltre l’ospitata a un concerto, ma che assumesse forma fissa e impegnativa come quella di un disco da presentare al pubblico e al suo giudizio, De Gregori e Zalone hanno optato per la scelta naturale: realizzare un album serio e concepirlo musicalmente insieme, affidando a Checco le mansioni per le quali è versato, quelle del pianista dotato di una non comune qualità tecnica e un gusto sofisticato. E lasciando De Gregori fare l’ultimo De Gregori, quello delle rivisitazioni – canoniche o inattese – del proprio repertorio (assodati portenti come “Pezzi di Vetro”, “Rimmel”, “Falso Movimento”, ma anche “Atlantide” che arriva dal 1976 di “Buffalo Bill” e “Storia di Pinocchio”, che tanto tempo fa scrisse con Andrea Carpi per la serie tv con Nino Manfredi), insieme a incursioni nei canzonieri di altri grandi, ossia Pino Daniele (“Putesse essere Allero”), Paolo Conte (“Pittori della Domenica”) e Antonello Venditti (“Le Cose della Vita”).
Sono tutte, le une e le altre, esecuzioni sontuose, in cui la collaborazione tra i due artisti assume una forma compiuta e una liquida reciprocità, improntata a un approccio “a togliere”, a suonare e a orchestrare poco, con delicatezza, Francesco cantando con la competente nonchalance che adesso è la sua cifra e con la tastiera di Checco composta, attenta, verrebbe da dire sollecita. Restano altri tre episodi nella scaletta di “Pastiche”, questo il titolo dell’album, e sono quelli per i quali la curiosità s’infittisce: prima di tutto due famosi pezzi di Zalone, onnipresenti nei suoi show e amatissimi dai fans, come “La Prima Repubblica” e l’esilarante “Alejandro”, perché qui, finalmente, si poneva il problema dei duetti vocali. Il risultato è una scommessa sicura – a giugno verificheremo la bontà della formula in concerto a Caracalla – perché in questo caso è l’aplomb di De Gregori e la sua vocalità classica (“Francesco ha l’orecchio assoluto”, ci disse una volta sorridendo Giovanna Marini, “difficile che sbagli una nota”), a mettersi al servizio della scrittura sarcastica di Zalone, ma senza snaturarsi, giocando al clown bianco e creando un duo assurdo e divertente. Infine l’episodio che i fedeli seguaci affronteranno con più emozione, ovvero l’inedito di De Gregori che, come tanti colleghi, da un po’ ha centellinato la scrittura, privilegiando le modulazioni delle cose fatte, all’accanimento in cerca della novità (qui si aprirebbe un discorso che prima o poi ci piacerebbe fare). “Giusto o Sbagliato”, che ha anticipato di qualche giorno l’uscita dell’album, fin dalle prime note è un pezzo che espone dei valori che lo collocano tra le migliori cose scritte da Francesco: è una riflessione in musica su come lui abbia preso il mondo, le decisioni importanti come l’esistenza di tutti giorni, dal momento che ha avuto la ventura d’affrontarlo negli strani panni del cantante. La canzone brilla della luce che hanno le sue cose speciali, uno smalto nobile attribuito al pop, con lo spessore di un’espressione musicale complessa condensata in tre minuti, con dentro una storia e delle vicende di contorno, dei personaggi visibili, non banali, vivi. “Giusto o Sbagliato” è così: per cui la si ascolta, ci si entra, si discende nel pensiero, ci si specchia nei sentimenti e, quando finisce, ti resta addosso. E’ la magia che fa sì che certe canzoni, senza che te ne accorgi, acquistino il potere e il piacere di accompagnarti per tutta la vita.