Ezio Bosso raccontato da Francesco Libetta, che lo eseguirà a Roma

Mario Leone

C’era il coraggio del musicista di fronte alla malattia. La musica c’è ancora. La sua eredità nel concerto "Lighting Bosso" all'Accademia di Santa Cecilia. Un omaggio che intreccia minimalismo e polifonia, su un pianoforte unico al mondo

Raccontare Ezio Bosso, la persona e l’artista, è complesso. Collocarlo nel panorama musicale lo è ancora di più. In vita ha diretto e divulgato tanta musica. Numerose anche le composizioni che attingono al minimalismo e alla tonalità come pure ai loro esatti contrari. Da pianista ha quasi sempre proposto la sua musica; un amore, quello per la tastiera, interrotto dall’avanzare di una malattia insidiosa e invalidante. Musica e malattia sono elementi inscindibili nel percorso umano e artistico di Bosso. I problemi neurologici limitavano molte possibilità espressive e interpretative tipiche del corpo.


Tanti colleghi, anche illustri, hanno arrischiato paragoni stilistici: Bosso come Ludovico Einaudi o come Allevi. Meglio Bosso direttore, pianista o compositore? Chi scrive non ha tutti gli elementi e le sicurezze per blindarsi in una risposta granitica. E forse troppe certezze, quando si parla di arte, non sono il terreno migliore su cui costruire un ragionamento più strutturato. Partiamo da un dato di fatto: Bosso ha fatto bene alla grande musica perché l’ha studiata, l’ha amata ed è riuscito a farla amare. L’artista piemontese non si è mai appuntato etichette, missioni o meriti particolari. E’ stato sé stesso, non censurando una ricerca umana e artistica originale, lontana da logiche di mercato. E’ stato apprezzato, altre volte criticato ma in entrambi i casi non pienamente capito. 

 

L’unico modo per scandagliare i meandri di un artista resta quello di partire dalla sua produzione, dal suo lascito. Così ha fatto il pianista di origine pugliese Francesco Libetta. Tecnica trascendentale (provate a guardare su YouTube alcune sue esecuzioni degli studi di Chopin trascritti da Godowsky e capirete di cosa parliamo), spiccato pensiero filosofico, curiosità e simpatia che non guastano. Abbiamo incontrato Libetta in una trattoria romana a pochi giorni dal concerto “Lighting Bosso” – From Bosso to Libetta’s transcriptions”, appuntamento inserito nella stagione da camera dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia per martedì 28, alle 20.30, nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica. “Bosso era un personaggio con esperienze musicali diverse e di alto livello che non è facile comprendere e individuare nel solo risultato finale delle sue partiture. Quello che propongo in concerto non è un percorso ma una specie di mappa dove si segnalano la polifonia bachiana e il lessico del minimalismo di Glass pur con un’atmosfera espressiva che Glass non tocca mai. Accostare questi e tanti altri elementi, mettendoli in dialogo con partiture di vari autori, genera una sorta di ricomposizione: si parte da alcune premesse per poi giungere a un risultato completamente nuovo”.

  
I compositori con cui la musica di Bosso dialoga sono infatti diversi: Beethoven, Gluck, Ravel… Quella di Bosso ha delle particolari difficoltà. “Per capire che cosa succede con le sue partiture utilizzerei l’esempio del repertorio barocco. Lo spartito dà l’idea dello scheletro ma non dell’aspetto. Bosso era l’interprete della sua musica e non annotava tantissime cose perché quel codice era per lui tutto inteso. Per fortuna ci sono le registrazioni con le quali si può risalire alle intenzioni dell’autore e alle sue scelte. Le incisioni ci permettono di conoscere il suo modo di utilizzare quelle partiture; non è possibile leggere lo spartito e realizzarlo come si fa normalmente”. Libetta suonerà la musica di Bosso con uno strumento molto particolare, il “Borgato Grand Prix”, il pianoforte più lungo mai costruito, una delle eccellenze italiane nel mondo. “Utilizzo il Borgato – continua il pianista – perché in questo concerto la fisicità del suono è decisiva. La lunghezza del pianoforte non conferisce più volume ma rallenta il naturale decadimento del suono. Un’esperienza unica ma complessa da gestire”.

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