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I (bon)gusti musicali di Napoleone

Alberto Mattioli

L'imperatore francese mostrò più volte interesse per le melodie tristi e ben cantate. Aveva intuito l'importanza della musica, e perfino in esilio all’Elba fece allestire un teatro

"L’amministrazione dell’Académie Impériale de musique [vulgo: l’Opéra, ndr] prenderà tutte le misure necessarie per dare La mort d’Abel il 20 marzo, il balletto di Persée et Andromède il lunedì di Pasqua, Les Bayadères quindici giorni dopo, il balletto delle Sabines alla fine del mese di maggio, Sophocle e Armide durante l’estate e Les Danaïdes in autunno”. La stagione del 1810 è fatta e il cartellone arriva da Napoleone in persona. Bonaparte sovrintendente e direttore artistico, con scelta di soggetti, librettisti, compositori, cantanti. Perfino durante la cattività balneare all’Elba, l’Imperatore in disgrazia si preoccupa di far allestire un teatro a Portoferraio, di cui, notizia di pochi giorni fa, sono appena finiti i restauri. E nemmeno così piccolo: 65 palchi.

 

Però, si sa, l’imperatore era italiano e, quanto a gusti musicali, era molto più Buonaparte che Napoléon. Adorava le melodie tristi e ben cantate, e molti testimoni lo descrivono nel suo palco al teatrino delle Tuileries mentre si sdilinquisce fino alle lacrime ascoltando il suo castrato preferito, Girolamo Crescentini, sospirare l’aria “Ombra adorata aspetta” dal Giulietta e Romeo di Zingarelli, poi maestro di Bellini a Napoli (però Crescentini faceva credere a tutti di averla scritta lui). Napoleone aveva sentito Crescentini in Italia e tanto gli era piaciuto da portarselo a Parigi e decorarlo con l’ordine della Corona ferrea, l’equivalente della Legion d’onore per il Regno d’Italia, con scandalo generale perché veniva di solito attribuita per meriti militari, non canori. E qui fu grandioso il celebre contralto Giuseppina Grassini, altra cantante che il Napo ammirava e non solo per ragioni artistiche (lei, perfettamente bipartisan e anche un po’ zoccola, dopo Waterloo divenne l’amante del duca di Wellington). In un salotto parigino dove si biasimava la medaglia a un castrato, la Grassini se ne uscì con questa battuta: “Mais vous oubliez sa blessure!”, voi dimenticate la sua ferita.

 

Erano i tempi in cui il pubblico italiano, dopo i divieti illuministi e politicamente corretto di una pratica perfettamente logica come quella di evirare ragazzini per preservarne la voce, accoglieva gli ultimi castrati con urla di “Evviva il coltello!”. Sempre da buon italiano, Napoleone detestava i cantanti francesi, in anni in cui imperversava ancora la cosiddetta “école du cris”, di cui l’Opéra si sarebbe sbarazzata soltanto con Rossini. Così un musicista-memorialista spiritoso benché tedesco come Johann Friedrich Reichardt racconta dell’allora Primo console che accoglie a Saint-Cloud la troupe dell’Opéra venuta a cantargli la Proserpine di Paisiello ordinando con fiero cipiglio: “Spero che non strillerete com’è vostra abitudine”.

 
Però l’Opéra è, politicamente, troppo importante. I libretti rigurgitano di allusioni alle glorie imperiali e le apparizioni del sovrano sono attentamente calcolate. A parte quella del 31 luglio 1810 al Triomphe de Trajan, mattonata di Lesueur e Persuis che il principe di Clary-Aldringen, buon intenditore in quanto tedesco, trovava “noiosa e cattiva”.

 

Napoleone e Maria Luisa arrivano alla fine del secondo atto e mancano quindi clamorosamente proprio la scena del trionfo. Nessun problema: si rialza il sipario, il trionfo viene replicato e il pubblico “coglie con trasporto tutte le allusioni che la presenza delle Loro Maestà rende così naturali e così frequenti”, come scrive viscido il Mercure de France. Succede anche che Spontini scriva un Fernand Cortez a sostegno dell’intervento in Spagna: come Cortez interrompe i sacrifici umani degli aztechi, così Napoleone sbarazza gli spagnoli dell’Inquisizione e degli altri relitti medievali. Però, quando la campagna di Spagna inizia ad andare male per finire peggio, il Cortez diventa inopportuno e sparisce dal cartellone dell’Opéra. E quando, nel ’14, Alessandro entra a Parigi, l’ingrato tenore Lays interrompe una rappresentazione della Vestale (sempre Spontini) per intonare dei couplets a maggior gloria dello zar, “Ce prince auguste / A le triple renom / De héros, de juste / De nous rendre un Bourbon!”. Napoleone aveva capito l’importanza della musica. Basta leggere la sua lettera dell’8 termidoro anno V, alias 26 luglio 1797, agli ispettori del Conservatorio di Parigi: “Di tutte le belle arti, la musica è quella che ha più influenza sulle passioni, quella che il legislatore deve incoraggiare di più. Un pezzo di musica morale, fatto da un maestro, tocca immancabilmente il sentimento, e ha più influenza di un buon libro di morale, che convince la ragione senza influenzare le nostre abitudini”. Genny e i suoi fratelli ci pensino.

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