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rinascite artistiche e non

“One Hand Clapping” dei Wings, la nuova vita che McCartney si è inventato

Stefano Pistolini

Il documentario mostra che formidabile band avesse assemblato l'ex Beatles, imboccando la strada di un rock’n’roll elettrico e grintoso, nel quale spiccavano le sue performance di vocalist e la sua maestria di scrittura

Nel 1974 Paul McCartney ha 32 anni e un colossale passato dietro le spalle, col naufragio dei Beatles lontano quasi un lustro e il fardello delle responsabilità dello scioglimento che ancora gli viene addossato, con conseguente esilio scozzese, sull’orlo di un esaurimento nervoso. L’effetto per Paul è la scoperta della famiglia come salvifico rifugio dalle polemiche e, consumato il lutto, il repentino avvio d’una nuova carriera solistica che ribadirà come per lui vivere senza musica sia impossibile. Seguono cinque album a raffica, colmi di ottime nuove composizioni e di altre più trascurabili e quindi l’idea di rimettere su una band, come fanno i ragazzini dopo che ne hanno appena sciolta un’altra. L’iniziativa si evolve nel girovagare su un autobus in giro per il Regno Unito, con cani e bambini a bordo e con un partner fedele come Denny Laine, reduce dai Moody Blues, per una serie di apparizioni in sperduti locali della provincia.

Sono questi gli esordi dei Wings, la band di Paul e Linda, e all’inizio la stampa non è generosa: c’era bisogno di far saltare per aria un’istituzione nazionale come i Beatles, che dava lustro alla musica inglese, per lanciare questa confraternita semi-dilettantistica, con tanto di consorte timidamente impegnata alle tastiere e cori? Paul però aveva saputo dimostrarsi più forte delle critiche e con “Band on the Run” era arrivato il successo mondiale e il ritorno sulla cresta dell’onda, mentre gli altri tre Beatles inforcavano strade più accidentate, a cominciare dal compare di scrittura John che, tra errori e stravizi, finiva per consegnarsi nelle fauci produttive di un Phil Spector in via di smobilitazione. Paul a questo punto ha già riallineato i punti: vuole completare il line-up della band coi musicisti giusti e ripartire suonando ai quattro angoli del pianeta, coronando il sogno che cova, ovvero quello di “rifarlo”, di tornare a essere un musicista on the road come agli inizi, condizione che gli è stata negata dall’isterismo alla base del trionfo dei Beatles. E’ a questo punto, esattamente mezzo secolo fa (brividi), che a McCartney viene un’idea che inizialmente è solo un abbozzo: individuati i due musicisti utili a completare l’organico dei Wings in Jimmy McCulloch, enfant prodige della chitarra in stile Mick Ronson, e Geoff Britton, batterista dall’approccio ruvido nel solco di Keith Moon, Paul conduce la compagnia negli amati Abbey Road Studios, ritrova il fidato Geoff Emerick al mixer, e per l’occasione convoca un regista (sebbene uno improvvisato, perché fino ad allora si era occupato di carta stampata), tale David Litchfield, a filmare le session, come era stato fatto in occasione di “Let it Be”, canto del cigno dei Beatles (la cui registrazione diverrà l’oggetto di “Get Back”, la megaserie video curata da Peter Jackson). Il proposito è registrare uno special tv, che offra ai fans uno sguardo ravvicinato sulla sua nuova creatura musicale, convincendoli della bontà della sua intuizione: basta con il corpaccione stanco dei Fab Four e via alla ricerca di energia nuova con un progetto originale.

Del documentario non se ne farà più nulla, archiviato sull’onda del successo dei Wings come band da concerto e per la rapida dissoluzione della formazione, con Britten che lascia il gruppo per fare l’attore di kung-fu e McCulloch che opta per unirsi agli Small Faces, salvo andare incontro a una tragica morte per overdose a 26 anni. Del resto alcuni spezzoni girati da Litchfield, venuti alla luce qualche anno fa in un dvd, non appaiono ispirati, centrati su insistiti primi piani dei musicisti e dei loro strumenti. Invece adesso, dopo che per decenni le registrazioni di quei sei giorni di studio sono state materia da bootleg, McCartney ha deciso di restituire loro dignità, ripubblicandole rivisitate dal punto di vista sonoro, con una convincente scaletta di 32 pezzi, che include brani dei Wings, pezzi della sua produzione solistica e qualche agra rimembranza beatlesiana, come una versione di “Long and Winding Road” che si evolve in “Lady Madonna”. Ma il valore del documento, intitolato “One Hand Clapping”, è principalmente quello di dimostrare che formidabile band Paul avesse a quel punto assemblato, imboccando la strada di un rock’n’roll elettrico e grintoso, nel quale spiccavano le sue performance di vocalist e la sua maestria di scrittura.  L’atmosfera delle session è carica di voglia e di buon umore, i nuovi acquisti fanno a gara per aggiungere qualità, Paul dirige le operazioni come un gioviale band leader.

Perfino la partecipazione di Linda gode del tocco vago ed elegante che la distinguerà nella sua partecipazione all’attività live del marito e, nel complesso, i Wings appaiono una band di razza, al passo col gusto di quel lontano 1974. La scaletta non si discute, scivolando da “Jet” a “Live and Let Die”, da “Maybe I’m Amazed” a “Let Me Roll It”, ma il valore primario di questo ascolto è la capacità di raccontare un’impresa umana non di poco conto: quella messa in atto da McCartney nell’atto di reinventarsi, staccandosi da trascorsi ingombranti e ritrovando un entusiasmo genuino. Un sentimento contenuto tutto nella magica, infallibile formula di quattro ragazzi e una ragazza seduti in circolo in una sala d’incisione, coi registratori che girano e una fila di classici del rock’n’roll che ti s’incolonnano nella testa, spingendoti a muovere le mani, avvicinarti al microfono e tornare a intonarli. Nemmeno fossero inni alla vita. 

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