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Oksana Lyniv, la bacchetta Ucraina
La direttrice del Teatro comunale di Bologna svetta fra le grandi direttrici d’orchestra del mondo. Il culto per Wagner, Putin come Wotan e gli artisti schierati. Intervista
Dal febbraio del 2022, Oksana Lyniv è tornata in Ucraina una sola volta, “per ragioni personali”, e anche per fare visita all’orchestra dell’Opera nazionale di Lviv, per noi che viviamo in terre sicure la Leopoli dell’omonima scuola matematica degli anni Trenta, oggi patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco. Voleva assistere alla Nona Sinfonia di Beethoven diretta da Keri-Lynn Wilson, un’altra delle star femminili della bacchetta di cui il mondo va popolandosi a dispetto di quello che afferma Beatrice Venezi sulla discriminazione che colpirebbe le musiciste belle e brave come lei: di recente una rivista internazionale ha elencato le trenta direttrici d’orchestra più famose del mondo, includendovi Speranza Scappucci. Nessuna di loro ha ancora conquistato il podio dei teatri lirici più importanti degli Stati Uniti, il paese che ci insegna l’inclusione, ma in Europa e soprattutto in Australia e Canada, la Wilson appunto, vanno forte. Nella classifica, di Venezi non c’è traccia ma ai primi posti si piazza appunto Oksana, quarantenne-e-qualcosa, prima donna direttrice al Festival di Bayreuth in un secolo e mezzo di storia, dal 2022 direttrice musicale del Teatro comunale di Bologna, con il suo visino pulito da brava collegiale, i capelli sempre legati e per niente Bioscalin, le ballerine con le fibbie di cristallo che indossa per dirigere e che, ovvio, vede solo lei. Dopo l’invasione di Putin, suo padre, musicista come tutta la famiglia, ha formato un coro che intona cori patriottici nelle città ucraine, e d’altronde, se per millenni buccine e tamburi hanno seguito gli eserciti e ne hanno ritmato e scandito le marce, c’è un motivo che per i Lyniv è ben chiaro.
Lo scorso febbraio, forse per via di quell’ingenuità modello Camp David che ogni tanto coglie invece gli uomini di buona volontà in tutto il mondo, le Wiener Festwochen invitarono Oksana a dirigere un doppio concerto per la pace con Teodor Currentzis, la star di origine greco-russa che pochi mesi fa riempì di ragazzi in deliquio quello spazio di ambizioni sfrenate e abbonati pigri che è la sala santa Cecilia dell’Auditorium di Roma. Forse, oltre alle buone intenzioni, c’era anche una certa voglia di fare notizia. Oksana pose l’aut aut, fece notizia lei. Celebrò la vittoria con un comunicato di felicitazioni su scala mondiale indirizzato tanto al festival quanto a sé e ai suoi musicisti, looking forward for the important event: lo scorso 2 giugno, a Vienna, ha eseguito il Kaddish Requiem “Babyn Jar” di Yevhen Stankovich, mentre il “War Requiem” di Benjamin Britten che avrebbe dovuto essere diretto da Currentzis dieci giorni dopo è stato annullato. “Non credo che chi fa musica debba fare politica, e non ritengo nemmeno corretto che si debbano escludere dalle esecuzioni alcuni artisti solo perché russi, come sta accadendo in questi anni in Ucraina e come è successo altrove con Cajkovskij”, puntualizza al telefono. Però, aggiunge, la musica è un’arma molto potente e Currentzis non ha mai preso una chiara posizione sulla guerra, mentre altri artisti “come Valery Gergiev intrattengono rapporti stretti con Putin. E su questo punto bisogna invece operare una distinzione netta”. Intuisco che si tratta di una prova d’esame e osservo che Cajkovskij era di origine ucraina. Sembra contenta. “Infatti, e bisogna dirlo. Sua madre era francese, mentre la famiglia del padre era cosacca ucraina. Scrisse una ventina di opere ispirate al paese, ‘Mazeppa’, per esempio. Prokofiev, invece, era nato in Ucraina e nelle sue lettere si definisce ‘un figlio delle steppe ucraine’, mentre Shostakovich era noto oppositore della dittatura. Le sue sinfonie sono come una testimonianza contro il regime stalinista. Per me è molto importante parlare dell’identità delle due nazioni, ma anche dei punti di convergenza e di scambio tra queste due culture”.
Prima donna direttrice al Festival di Bayreuth in un secolo e mezzo di storia, dal 2022 direttrice musicale del Teatro comunale di Bologna
Lei stessa deve il primo grande salto nella carriera a Kirill Petrenko, attuale direttore artistico della Berliner Philharmoniker, russo di Omsk e da diversi anni naturalizzato austriaco. Se si volessero elencare gli artisti fuggiti dai regimi che si sono succeduti a Mosca dalla Rivoluzione del 1917, non basterebbe questa pagina. Al Festival di Spoleto che ha inaugurato ieri sera con l’“Ariadne auf Naxos” di Richard Strauss, e dove oggi si terrà un incontro dedicato alla lunga direzione artistica di Giorgio Ferrara costellato di registi, scenografi e costumisti come Andrée Ruth Shammah, Bob Wilson, Gianni Quaranta e Maurizio Galante, si sta lavorando al restauro conservativo dei costumi e dei documenti dell’allestimento di “Raymonda” del quale in questi giorni ricorrono i sessant’anni, primo lavoro di Rudolf Nureyev in Italia dopo la spettacolare richiesta d’asilo all’aeroporto di Parigi del 1961, quando si buttò fra le braccia della polizia con uno di quei suoi balzi di tigre chiedendo asilo. Come prevedibile, la maestra Lyniv, che non si fa i problemi nostri con le desinenze ed è ben felice di essere chiamata direttrice, è una fan di Arturo Toscanini e ne condivide lo spirito: “Quando arrivò negli Stati Uniti dopo lo schiaffo dei fascisti”, (fra l’altro, gli venne assestato proprio al Comunale di Bologna) “che cosa fece per prima cosa? Formò un’orchestra e suonò musica italiana e tedesca, Wagner. L’arte è come la religione, o almeno dovrebbe esserlo. Al servizio del bene. Un musicista non è solo la sua esecuzione, non è solo strumento. Per me è importante che questo sia chiaro, e cioè che l’arte mostri la propria rilevanza innanzitutto umana. Le opere di Mozart, di Beethoven, di Mahler ci insegnano questo: l’umanità e i suoi valori più alti”.
Sono le otto di sera di un venerdì di giugno e Oksana Lyniv risponde da un numero di telefono tedesco in un discretissimo italiano, imparato, come tanti suoi colleghi, dalle opere di Rossini e di Puccini che, precisa, sono il fondamento del repertorio ucraino. Dice di aver scoperto Wagner relativamente tardi, perché la sua insegnante non lo riteneva un musicista fondamentale: “Per puntiglio, mi misi a cercare un’incisione qualunque”. Seguirono folgorazione, studi approfonditi “sulla simbologia della sua opera” e un certo spirito da groupie che la porta a cercarne le tracce ovunque. Sul profilo Instagram di Oksana compare una foto recente dov’è seduta in braccio alla statua che La Spezia gli ha dedicato dopo un soggiorno estivo nel lontano 1853, dove si trovò abbastanza bene da scrivere ispiratissimo alla moglie Minna degli effetti magnificanti dello sciabordio delle onde sul suo spirito: ancora l’altro giorno, ho verificato, gli spezzini dibattevano su una rivista locale sul nome della locanda che l’aveva ospitato, ovviamente tutte scomparse. Ride. “Quando sono in qualche città che ha accolto uno dei miei compositori preferiti vado sempre a visitare i palazzi e le strade dove hanno vissuto”. E’ felice che lo stato italiano abbia deciso di preservare Sant’Agata dalla dissoluzione, e anche alle Roncole di Busseto, dice, è stata più volte. A vedere che cosa oltre alla casa colonica, alla targa e a quei quattro mobili non si sa. Comunque, il genius loci.
“Non credo che chi fa musica debba fare politica”, ma la musica è un’arma potente, e il collega Currentzis “non ha mai preso una posizione sulla guerra”
Ha chiesto di spostare la chiacchierata sul tardi perché voleva ascoltare le prove di Simone Young, collega australiana che questa estate eseguirà la Tetralogia per gli adepti al culto di Wotan e Brunhilde, gente che torna nel tempio tutti gli anni e che può stare seduta per sei ore su uno strapuntino senza bere e senza mangiare. Voleva capire come la formazione orchestrale voluta da Wagner, che elenca puntigliosamente partendo dai “sedici primi violini” alle “sei arpe, gli otto corni”, insomma quel genere di poderosa concentrazione di suono in continuum che associa al compositore anche chi non assisterebbe mai a una sua opera, possa produrre nel golfo mistico primigenio e che in originale si chiama però mystischer Abgrund, abisso mistico, l’equivalente letterario della mise en abyme e che spiega anche perché in tutta Europa, dalla Francia all’Italia, i più grandi sostenitori di Wagner furono i poeti: la traduzione vista Vesuvio non rende l’idea, ma ormai sarebbe difficile cambiarla. A Bologna, l’esecuzione integrale della Tetralogia diretta da Lyniv, che è iniziata un paio di settimane fa e si protrarrà per i prossimi due anni, si tiene in forma di concerto, il che significa due cose: la prima, evidente, è che un’orchestra disposta su un palco produce un suono diverso rispetto a un’uguale formazione che si esibisce nella buca o golfo che sia. La seconda è un’osservazione mia, ed è che i bolognesi debbono rivaleggiare senza dubbio con i wagneriani delle panche. La scelta di non avere mezzo costume, zero scenografia, e abbandonate da decenni le pur orride traduzioni in italiano di un tempo, che comunque non hanno aiutato granché la comprensione di Wagner (a Palermo, dove soggiornò per l’intero inverno del 1881, girano ancora aneddoti sulle sue esecuzioni al pianoforte ripetute più volte nella stessa sera e con una buona dose di perfidia alle signore esauste in sete e aigrettes che chiedevano “quando sarebbe arrivata la melodia”), impongono un’assoluta concentrazione sulla musica, e dunque qualche rischio.
Studi approfonditi su Wagner e “sulla simbologia della sua opera” e uno spirito da groupie che la porta a cercarne le tracce ovunque. Come a La Spezia
Sulla prima esecuzione di Lyniv si è levata qualche voce critica, che avrebbe voluto “saperne di più” sulle sue intenzioni e la sua interpretazione. Domanda capziosa, risposta ovvia: la politica. “Wagner voleva fare della sua epopea un monito per la sua generazione e quelle successive, l’oro del reno è la ricchezza della natura, che è donata a tutti. Appropriandosene, rinunciando all’amore, che è l’amore per l’umanità e per il suo bene, solidarietà e comprensione dell’altro, Alberich rompe il patto con l’ordine naturale” delle cose, con il flusso benevolente della vita. L’anello del Nibelungo, osserva, è una saga di “inganni continui, reciproci”, in cui neanche gli eroi sono immuni dalla manipolazione, e solo alcuni personaggi femminili (“a dispetto di chi crede che Wagner fosse un misogino, scrisse perfino testi che potrebbero essere considerati femministi”) sanno tenere testa al male, ribellarsi a un’autorità maschile maligna e a una brama di potere distruttiva. Il Ring “mette in scena la malvagità umana e la sua faticosa capacità di redenzione”.
“A dispetto di chi crede che Wagner fosse un misogino, scrisse perfino testi che potrebbero essere considerati femministi”. La Tetralogia a Bologna
Lungo tutta la vicenda, osserva, “tanti avrebbero l’opportunità di restituire l’oro alle figlie del Reno, ricomponendo l’ordine primigenio, eppure nessuno lo fa, nemmeno Wotan-Odino”, il re degli dei, che “infrange la stessa legge chiamato a difendere”. Aspetto il seguito: “Putin è come Wotan”, dice infatti: “Un uomo che dovrebbe tutelare il suo popolo”, proteggere la pace, e che “invece ha scatenato una guerra trascinandolo in un abisso di esilio, isolamento, disperazione e vergogna”.
Nel giorno dell’aggressione, Oksana stava registrando la “Sinfonia del Nuovo Mondo” di Dvorak: il mondo nuovo, osserva, “non può diventare realtà, materializzarsi, se non si è pronti a lottare, a essere solidali per la libertà in Europa”. Due anni fa, Lyniv dichiarò alla stampa mondiale che Putin sarebbe stato esautorato dal suo stesso popolo, scrisse lettere aperte e lanciò appelli per il cessate il fuoco e il ritiro. Non è successo, l’Ucraina combatte una battaglia che sembra non finire mai, fra aiuti a corrente alternata e numerose sotterranee volontà di desistenza fra gli alleati, ma proprio per questo la “musica deve continuare. Non deve averla vinta il silenzio”.