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suono e attitudine

Il funk arabeggiante di Bassolino: un inno al Neapolitan Power di Pino Daniele & Co

Stefano Pistolini

L'album d’esordio del pianista e produttore partenopeo è un lavoro-concept sulla sua città. La trama musicale richiama uno dei momenti più fecondi per la città sul golfo, ovvero quel jazz-funk anni Settanta incarnato da James Senese e gli altri

Tra i tanti fermenti in arrivo da una scena napoletana che via via ritrova energia e riprende dinamica, vale la pena di dare un ascolto a Bassolino, progetto musicale del pianista e produttore partenopeo Dario Bassolino (nessuna parentela con l’ex sindaco, ma la dichiarata consapevolezza che utilizzare quel cognome provochi inevitabili associazioni, rimembranze e flash), che prende la forma di un notevole album d’esordio, “Città Futura”, lavoro-concept sulla sua città. In un certo senso era prevedibile che, correndo in parallelo ai successi nazionali di Geolier e Liberato e alle originali nuove proposte di Nu Genea e Thru Collected, prima o poi prendesse forza la riscoperta e il revival di uno dei momenti musicali più fecondi della città sul golfo, ovvero quel jazz-funk anni Settanta che andò sotto il nome di Neapolitan Power, contando su esponenti di punta come James Senese, Enzo Avitabile, Tony Esposito, gli Osanna di Danilo Rustici e Elio D’Anna e naturalmente il capofila Pino Daniele.

Bassolino si muove con competenza e familiarità in questo scenario, rendendolo ulteriormente inclusivo nella scaletta di “Città Futura”, grazie alle partecipazioni vocali di LNDFK, alias la brava Linda Faki – di cui ci siamo occupati di recente – ospite in “’E Parole”, e di Gennaro Canaglia, il neomelodico che interpreta il brano più sorprendente dell’album, “Malavita”, un disco-funk arabeggiante e orchestrale, tra Isaac Hayes e Mario Merola. Prodotto insieme a Paolo Petrella, “Città Futura” trabocca di ritmiche brasiliane, blues metropolitano e jazz elettronico, in uno smagliante arabesco di retrofuturo partenopeo, all’origine del quale lo stesso Bassolino colloca dichiaratamente la propria passione per le produzioni culturali della Napoli anni Settanta, impregnate com’erano di citazioni americane striate di spirito popolare dei vicoli, mescolando estetica proto-gangsta ed echi di un’Italia vicina/lontana, che s’inoltrava nel decennio più buio del Dopoguerra. A teatro “La Smorfia” di Troisi, Arena e Decaro imboccava la strada di una nuova farsa per descrivere l’arte di sopravvivenza e la perenne aspirazione alla felicità d’una città martoriata e goduriosa, la stessa raccontata realisticamente dai romanzi “fotografici” di Luigi Compagnone (a cui Bassolino dedica “Napoli Visionaria”, brano d’apertura di “Città Futura”) e per molti versi incarnata da una figura dimenticata, a cui Bassolino rende omaggio: Pino Mauro, pseudonimo di Giuseppe Mauriello, cantante e interprete delle sceneggiate teatrali – “’O fuorilegge”, ”’A Mafia”, “Capobanda”, “Calibro 9”, “’O motoscafo”… – quasi sempre nel ruolo dell’antagonista di Mario Merola, ma anche consulente di Carmine Coppola per le musiche de “Il Padrino” (per il quale sfiorò la possibilità d’entrare nel cast, nel ruolo che alla fine sarà di James Caan) e infine travolto da una storia di droga da cui uscirà riabilitato, ritrovando un attimo di meritata popolarità come personaggio “stracult”.

La figura di Mauro contiene in sé proprio quella mitologia partenopea di cui Bassolino si vuole fare qui esploratore e interprete, perseguendo palesemente una dimensione visuale della propria musica, nel solco di ciò che seppe fare Pino Daniele musicando “La Mazzetta”, il film di Sergio Corbucci nel 1975. E a questo scopo utilizzando strumentazioni e suoni d’epoca, ricorrendo a sonorizzazioni ambientali come le voci di Piazza del Mercato, rispolverando le ritmiche che ne hanno reso freneticamente ballabili le atmosfere funky-disco e organizzando il lavoro come lo storyboard d’un documentario sulla Napoli pulsante e turbolenta dei musicisti di strada. Formatosi nella scuderia di Nicola Conte e Pellegrino, Dario Bassolino con “Città Futura” pone le basi della riscoperta e del rilancio di un suono e di un’attitudine. Ora lo scavalcamento dell’archeologia e del gusto del revival da “serata speciale” va incanalato verso altri esperimenti, per i quali non ci sarà che l’imbarazzo della scelta nell’individuare collaborazioni proficue e incisive. 

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