È ora di far uscire la musica di Any Other dalla sua nicchia cult

Stefano Pistolini

Il terzo disco di Adele Nigro, indie senza compromessi: la sua è una traiettoria tipica per chi in questi anni abbia avuto la tentazione d’avventurarsi nella produzione musicale, transitando per le vie della creatività autonoma, girando alla larga dai compromessi commerciali e dai talent

È un fatto che le ragazze della nuova canzone italiana siano più attive e produttive delle controparte maschile. Il discorso vale per le debuttanti assolute, ma i nomi e le personalità da tener d’occhio sono tanti e ciò che mettono in circolo è sovente contraddistinto da sorprendente qualità. Una figura su cui è ora di soffermarsi è Adele Nigro, trentenne veronese trapiantata a Milano, conosciuta nell’ambiente musicale sotto la sigla Any Other, con la quale ha pubblicato tre album: il primo nove anni fa, “Silently. Quietly. Going Away”, dalle sonorità tipicamente indie-punk, il secondo, già più ricercato, “Two, Geography” con la 42 Records, etichetta importante per la musica italiana del terzo millennio, per la quale a inizio 2024 è arrivato anche il suo terzo lavoro, “Stillness, Stop: You Have a Right to Remember”. Otto brani in mezz’ora che la collocano in un posto particolare, ovvero molto in alto, tra i valori della nostra musica del presente. 

Prima di passare all’ascolto, conviene fare un po’ di storia di Adele, per vedere come sia arrivata a un risultato tanto gratificante: la sua è una traiettoria tipica per chi in questi anni abbia avuto la tentazione d’avventurarsi nella produzione musicale, transitando per le vie della creatività autonoma, girando alla larga dai compromessi commerciali e dai talent, lasciando scorrere il proprio fare musica nei dintorni di una percezione “artistica”. In questo ambito il primo segreto di Fatima è il principio della collaborazione, ovvero il rifuggire dalla solitaria contemplazione delle proprie magre prospettive, convogliando sforzi e idee con il supporto delle migliori anime gemelle. Che è proprio ciò che fa Adele, e nel suo caso il perfetto partner-in-crime si chiama Marco Giudici, polistrumentista e produttore indie, anch’egli in cerca di una sua dimensione di sopravvivenza musicale senza compromessi. Marco è stato l’ombra e il sostegno di Adele nella realizzazione dei primi lavori, aiutandola a portarli a compimento (un’opera, questa, di reciproco soccorso, dal momento che Any Other, a sua volta, è diventata la spalla su cui Giudici ha potuto contare per il suo progetto solistico Halfalib), nel contempo dando il via a un lungo percorso di perfezionamento tecnico e compositivo, imparando a suonare nuovi strumenti e approfondendo la concettualità alla base dell’armonia e degli arrangiamenti. Inoltre Adele ha trovato il modo di valorizzare la sua crescente competenza musicale mettendosi al servizio di altri artisti, come Andrea Poggio – al fianco del quale abbiamo avuto la ventura di vederla live,  in un concerto in cui spiccava proprio una fertile complicità – e poi anche Generic Animal, Myss Keta e soprattutto Colapesce-DiMartino, di cui Any Other è divenuta membro fisso della band che li ha accompagnati in tour, con specifici compiti solistici. 

Si arriva così, dopo dieci anni di lavoro musicale, a questo terzo album che ci ha impressionato tanto intensamente. Qualche reference: Sharon Van Etten, Julia Holter, St. Vincent. Nelle interviste Adele si sente in dovere di citare come spirito guida Jim O’Rourke, un  campione della produzione indie americana, per il suo eclettismo e la capacità d’essere all’altezza di qualsiasi sfida. Ma “Stilness…” prima di tutto ci mette di fronte a una vocalità di livello assoluto, magnificamente padroneggiata nella modulazione e timbricamente di grande intensità. Adele canta bene, trasmette emozioni e racconta passioni. Il tutto sempre rigorosamente in inglese (ottimo, peraltro). La cosa ha incontrato diverse critiche: “Se Any Other cantasse in  italiano, nel giro di pochi mesi diventerebbe un boom nella nostra scena musicale”, si scrive da più parti. Ma la sua reazione al riguardo, una volta tanto, è diversa dalla norma: “A me piace cantare in inglese, è questa la lingua grazie alla quale riesco a esprimere ciò che mi sta a cuore e allora, semplicemente, perché no? Io canto in inglese. Voi ascoltatemi così”. Una presa di posizione che ci piace, contemporanea e che trova conferma in ciò che si ascolta. 

I testi di “Stillness” sono fotogrammi intimi, costellati di sentimenti forti: “Non ti sto chiedendo di uccidermi con dolcezza. Il mio è un ordine: non devi proprio uccidermi”, canta Any Other nel brano d’apertura “Stilness, Stop,” facendo il verso a “Killing me Softly”, famoso ballad di Roberta Flack del 1973. E’ lei stessa a spiegare: “Uccidermi significa costringermi a nascondere delle parti di me stessa non accettate all’interno di un rapporto, in particolare il mio essere queer” (Adele è anche membro del collettivo di dj Queer Macete). “Se l’altra persona non vuole vedere quella cosa di te, di fatto ti uccide. Perciò, se mi vuoi, il pacchetto è questo”. Non scherza Any Other, e il modo in cui dà forma musicale alle sue elucubrazioni è stupefacente. Gli arrangiamenti sono essenziali, al limite del minimalismo, ma non rinunciano a respiri armonici e di tanto in tanto fanno perfino capolino degli assoli della sua chitarra. Ora bisogna fare in modo che Any Other esca dalla nicchia cult che è la sua comfort zone. Per lei c’è un pubblico, in primo luogo femminile e ventenne, pronto ad ascoltarla e amarla. Un talento così non va sprecato e non è giusto che rimanga un segreto solo per i bene informati.