Elodie alla scorsa edizione di “X Factor” (foto LaPresse)

Che fine ha fatto la musica. Il business, le tendenze, i “super fan” che rimangono, la sfida dell'AI

Stefano Pistolini

Internet, lo streaming, la rivoluzione degli stili hanno spinto nell’ultimo quarto di secolo la musica pop verso i margini dei nostri consumi necessari, relegandola come una sottocultura del piacere. Un’indagine

Per una volta stiamo sulle generali. Parliamo di musica come fattore del nostro presente, tralasciando i protagonisti e le loro produzioni, ma analizzando gli andamenti nel contemporaneo. Premettendo una riflessione: che posto occupa la musica oggi, in quella scala di valori condivisi che ci aiuta a definire la nostra cultura, in questo luogo e in questo tempo, a confronto con ciò che capitava tempo addietro, ad esempio all’epilogo del Novecento? La sensazione è quella di un trasloco sostanziale dal cuore della descrizione emotiva di un’epoca, alla sua periferia. In quello che si avrebbe la tentazione di definire il “momento d’oro della musica pop”, attraverso una miriade di rivoli espressivi, questi suoni, queste figure e questi canzonieri hanno occupato una centralità connessa alla capacità d’intercettare, descrivere e storicizzare emozioni e pulsioni condivise. La musica ha rappresentato. Il suo valore è stato enorme, il trasporto verso i suoi protagonisti, passionale. I legami che ne sono nati, indissolubili. Ma i cambiamenti nell’ultimo quarto di secolo – la Rete, la fine della musica analogica, il logoramento dei contenuti, la rivoluzione degli stili – hanno spinto la musica pop verso i margini dei nostri consumi necessari, relegandola come una sottocultura del piacere, un corredo del superfluo, fatta salva una nicchia di irriducibili. Oggi la musica pop si configura fisicamente nella forma del suo principale veicolo: lo streaming. E’ un flusso indistinto, continuo, sovraccarico e meticcio, che scorre accanto alla nostra vita. Di tanto in tanto, ciascuno di noi sente il bisogno di alzare il volume e colorare di suoni, spesso casuali, un momento della propria giornata. Difficile sentire ancora, come in passato, il bisogno di ricorrere alla musica per amplificare il nostro sentimento e i nostri desideri. Sembra un costume desueto, superato dai tempi, reso anacronistico e confinato nella famigerata definizione di “classico”. Abbiamo meno bisogno della musica e la musica, in contraccambio, fa meno per noi. Nell’epoca di Taylor Swift e di Elodie è come se fossimo diventati tutti più cinici, meno disposti all’abbandono, al massimo tentati da qualche forma di edonismo. E i suoni non nascono da soli, ma sono il risultato di una temperie psicologica. Per cui, si direbbe, tutto va bene, il mondo è pieno di musica. Ma manca qualcosa. Una musica del senso, oltre quella dei sensi.  

  
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Secondo il più recente Global Music Report dell’IFPI (l’organismo che rappresenta l’industria discografica mondiale), il 2023 ha registrato una crescita sostanziale. I ricavi globali sono aumentati del 10,2 per cento, guidati dagli abbonamenti in streaming a pagamento, cresciuti dell’11,2 per cento, costituendo il 48,9 per cento del mercato planetario. Nel 2023, l’industria musicale globale ha generato un impressionante fatturato di 28,6 miliardi di dollari, segnando il nono anno consecutivo di crescita. Questo crescendo finanziario sottolinea un settore che continua a prosperare in un panorama di rapidi cambiamenti tecnologici e di diversificazione dei consumatori. Al centro di questa crescita ci sono regioni come l’America Latina e l’Asia, che hanno mostrato notevoli aumenti delle entrate, rispettivamente al 19,4 per cento e al 14,9 per cento, cifre che sottolineano la natura diversificata e globale del consumo musicale odierno.


Gli artisti devono utilizzare strategicamente le piattaforme digitali per massimizzare la loro visibilità e il coinvolgimento con il pubblico. I dati del rapporto sottolineano l’efficacia dei servizi di streaming come trampolino di lancio per nuovi talenti, nel solco di artisti come Taylor Swift, Seventeen e Bad Bunny, che raggiungono il successo globale attraverso il marketing su queste piattaforme. Allo stesso modo, le piattaforme di social media sono emerse come strumenti essenziali per costruire una base di fan, con gli artisti che le sfruttano per la comunicazione diretta, condividendo contenuti e promuovendo le nuove uscite. L’analisi del rapporto IFPI sugli artisti di successo sottolinea l’importanza dell’autenticità nell’era digitale. I fan apprezzano le connessioni autentiche con gli artisti: quanti tra loro mantengono la propria autenticità mentre navigano sulle piattaforme digitali, costruiscono basi di fan più fedeli.

 

Un concept di “autenticità” che si estende anche alla loro produzione musicale, con gli artisti incoraggiati a rimanere coerenti con la propria visione artistica, mentre esplorano le opportunità offerte dall’innovazione digitale. D’altra parte, solo un piccolo numero di musicisti guadagna molto dai propri tour, mentre i club più piccoli faticano e spesso stanno chiudendo. Il che equivale a parlare di meno opportunità di esibirsi e guadagnare per gli artisti minori, generando un progressivo verticismo dello scenario.


Che piaccia o no, il business musicale del futuro assomiglierà sempre più alle aziende tecnologiche che lo governano. Il problema è che la tecnologia raramente comprende i contenuti e l’estetica, quindi cresce il timore di un futuro in cui si ascolterà musica sempre più blanda, generata da robot che esistono solo nel metaverso.


Secondo il rapporto di metà anno 2024 di Luminate, l’industria musicale globale ha superato un trilione di stream, al ritmo più veloce mai registrato in un anno solare. Il numero è stato raggiunto 10 giorni più velocemente rispetto al 2023. Ogni giorno l’anno scorso, sempre secondo Luminate, sono state caricate in media 103.500 tracce sui servizi di streaming, superando la media del 2022 di 93.400.  Sebbene più brani possano sembrare un vantaggio per gli ascoltatori, molti di loro finiscono nella spazzatura. Luminate ha analizzato 184 milioni di brani caricati, scoprendo che il 43 per cento di essi, ovvero 79,5 milioni, aveva 10 o meno stream nel corso del 2023, inclusi 45,6 milioni che avevano zero stream. Un numero molto minore – 436.000 brani – è stato ascoltato in streaming un milione o più volte a livello globale, e quasi 50 milioni hanno avuto tra 101 e 100.000 stream.

 
I servizi di streaming musicale rimangono preferiti dai consumatori e quindi sono molto rilevanti per gli artisti. Le piattaforme musicali sono consapevoli della loro posizione sul mercato e continuano a sviluppare i propri servizi. Ad esempio, negli ultimi mesi Spotify ha introdotto nuove funzioni, tra cui una playlist AI. La sua campagna “Wrapped” costituisce un esempio di esperienze che plasmano l’ecosistema dello streaming musicale. Questa funzionalità fornisce agli ascoltatori un riepilogo personalizzato dei brani, dei generi e degli artisti più ascoltati nell’ultimo anno, offrendo una panoramica personalizzata del percorso musicale dell’utente. Questo livello di personalizzazione non solo ha rafforzato il coinvolgimento degli ascoltatori sulla piattaforma, ma fornisce agli artisti preziose informazioni sulle preferenze del pubblico, sulle strategie di marketing e le relative decisioni creative. 

 

Il fenomeno portoricano Bad Bunny è un colosso dello streaming nel 2023, col suo album “Un Verano Sin Ti” (foto LaPresse) 
     

Tuttavia, sulle piattaforme streaming si stanno sviluppando restrizioni che non avvantaggiano gli artisti e i consumatori. Tra queste, le modifiche di Spotify al sistema di pagamento delle royalty, che ora richiede che un brano raggiunga 1.000 stream per qualificarsi per la monetizzazione. A fronte dei 46 milioni di tracce che hanno generato zero stream, solo dieci canzoni hanno generato più di 1 miliardo di stream. Considerando che molti artisti si trovano più vicini al “fondo” dei due estremi, questi cambiamenti privilegeranno i musicisti già affermati. Spotify ha inoltre annunciato che aumenterà nuovamente i prezzi degli abbonamenti. All’origine di questi aumenti, l’avventura che la piattaforma sta intraprendendo nel settore degli audiolibri, dove punta a diventare un serio concorrente di Audible, diversificando l’offerta di contenuti e generando ulteriori flussi di entrate.

 
Intanto resta viva la polemica relativa a quanto queste piattaforme pagano per i contenuti, dove il valore di uno streaming è in media di 0,00173 dollari. Quella misera somma non va direttamente all’artista ma al detentore dei diritti della registrazione, che di solito è un’etichetta discografica, che divide questo reddito con gli artisti in base ai contratti individuali, con una quota tipica per artista tra il 15 per cento e il 50 per cento. La semplice aritmetica mostra che se si vuole fare della musica il proprio lavoro, non basta lo streaming, coi relativi guadagni, per sfamarsi.  Queste piattaforme, dunque, costringono tutti a dipendere da loro senza offrire compensi adeguati. In questo contesto, si sottolinea il ruolo delle “tre grandi” – Spotify, Apple Music e Amazon Music – e il loro status semi-monopolistico.

   
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Intanto l’industria musicale si trova ad affrontare diverse sfide tra cui le frodi in streaming, la pirateria digitale e la minaccia derivante dall’abuso dell’intelligenza artificiale generativa, se non utilizzata nel rispetto dei diritti degli artisti. Ma la traiettoria dell’industria musicale è comunque destinata a una crescita esponenziale, con lo streaming al centro, sostenuta dai progressi tecnologici, dall’evoluzione delle preferenze dei consumatori e da una fiorente scena musicale globale. Si prevede che i ricavi dell’industria globale provenienti dai servizi di streaming continueranno la loro ascesa, con proiezioni che indicano un tasso di crescita del 12-15 per cento annuo nei prossimi anni. Generi originari dell’America Latina, come  Reggaeton, Bachata e Sertanejo, hanno fatto passi significativi sulla scena globale. Questo periodo ha visto gli artisti latinoamericani e caraibici conquistare il pubblico globale: il fenomeno portoricano Bad Bunny è un colosso dello streaming nel 2023, col suo album “Un Verano Sin Ti”. Karol G, figura di spicco nella scena musicale latina, ha sospinto l’internazionalizzazione della musica colombiana. I Caraibi, col loro ricco patrimonio musicale, hanno influenzato la scena globale, con artisti come Rihanna, dalle Barbados o Shenseea e Koffee, dalla Giamaica. Il rapporto prevede che questa tendenza accelererà, con questi e altri generi regionali che acquisiranno ulteriore importanza internazionale.

  

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A fianco di questo strapotere digitale, crescono fenomeni autarchici: nel 2023, gli artisti hanno venduto 11,8 milioni di articoli multimediali fisici direttamente ai propri fan, il 38 per cento in più rispetto all’anno precedente. Tali vendite, effettuate tramite il sito web di un artista o di un’etichetta, anziché in un punto vendita o su un sito musicale, includono 134.000 cassette (leggero calo rispetto al 2022), 3,9 milioni di cd (in crescita di mezzo milione di unità rispetto al 2022); e 6,8 milioni di dischi in vinile (+40 per cento, anno su anno). Nel complesso sono stati acquistati 87 milioni di album fisici tra cassette, cd e vinili. 

  
C’è un’artista che ha totalizzato percentuali surreali in questi mercati: Taylor Swift. Negli Stati Uniti, uno streaming ogni 78 è suo, l’1,3 per cento del totale ascoltato. Il suo tour “Eras” ha superato il miliardo di dollari di entrate già a dicembre. Ha guidato le vendite di prodotti fisici e il suo film “Taylor Swift: The Eras Tour” ha incassato più di 250 milioni di dollari al botteghino mondiale.  Ma in generale è stata una stagione eccezionale per i film musicali: “Renaissance” di Beyoncé ha incassato 43 milioni di dollari al botteghino globale e la riedizione del film-concerto dei Talking Heads di 40 anni fa, “Stop Making Sense”, ha superato i 6 milioni di dollari.

  

Taylor Swift allo stadio Monumental a Buenos Aires, Argentina, 9 novembre 2023 (AP Photo/Natacha Pisarenko) 

 

Un interessante asterisco: la ricerca specifica condotta dalla fondazione Luminate definisce il 18 per cento degli ascoltatori di musica statunitensi come “super fan”, ovvero  coloro che interagiscono con gli artisti e i loro contenuti tramite lo streaming della loro musica, seguendoli sui social media, acquistando album, merchandising e biglietti per concerti.  Questi consumatori iperattivi tendono a spendere il 126 per cento in più per i prodotti degli artisti rispetto agli ascoltatori medi. Oggi i “super fan” costituiscono un target particolare e di grande interesse, a cui guardano, con valutazioni dedicate, tutte le operazioni di marketing dell’industria musicale.

  

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Anche la Fimi (Federazione industria musicale italiana) ha pubblicato il proprio report sul mercato discografico italiano nel 2023, sottolineandone la crescita: +18,8 per cento per un totale di 440 milioni di euro di ricavi, sull’onda lunga della rivoluzione digitale. Sebbene la fascia di ascoltatori della Generazione Z – la più attiva – sia cresciuta all’insegna della musica rap, il rapporto illustra come nel nostro paese questo genere non sia sul podio delle categorie più ascoltate. Il pop straniero è al primo posto (quasi il 50 per cento degli ascoltatori totali), seguito dal pop italiano e dal rock. Cantautori e dance completano la Top 5, seguiti da rap italiano e straniero. Per i giovani tra i 16 e 19 anni, TikTok è il mezzo preferito per avvicinarsi a nuovi generi e nuovi artisti. E la radio è ancora lo strumento di conoscenza più utilizzato, leader nella fascia over 30, per la quale il tempo da dedicare alla nuova musica è dimezzato. Sebbene a trainare l’intero comparto discografico siano Spotify, Amazon Music, Apple Music, secondo il report Fimi 2023 lo streaming audio in abbonamento rappresenta solo il 16.4 per cento del tempo speso a scoprire nuova musica, pur contribuendo a oltre la metà delle revenue totali.


Anche l’industria italiana della musica dal vivo diffonde dati incoraggianti: nel 2023 in Italia ci sono stati più concerti e spettatori rispetto all’anno precedente, come certifica il rapporto Siae 2023. I concerti di musica pop, rock e leggera in Italia hanno superato la quota dei 36 mila eventi (+16 per cento rispetto al 2022). Ed è ancora tutto da calcolare il super-boom del 2024 (stadi esauriti con Taylor Swift, Coldplay, Ultimo) che esalteranno ulteriormente questo andamento positivo, sebbene supportato da investimenti produttivi considerevoli.  Nel 2023 il settore della musica leggera ha incassato in Italia 894 milioni di euro. A contribuire al risultato non è solo l’aumento generale del pubblico, ma anche il considerevole aumento del prezzo dei biglietti: la spesa media è arrivata a 37,7 euro (+16,8 per cento rispetto al 2022). Problemi tutti da analizzare, elaborando possibili soluzioni, restano quelli del secondary ticketing (la rivendita dei biglietti a prezzi speculativi) e delle prevendite sempre più anticipate – anche a un anno di distanza dall’evento – che spingono gli appassionati a sborsare i soldi del biglietto a un lasso di tempo immotivato (se non per i produttori) dal concerto.

  

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L’intelligenza artificiale rimane la sfida più ambigua a cui si accinge l’industria musicale. Le preoccupazioni spaziano in varie aree. Mentre alcuni artisti temono che l’AI possa sostituirli in parte o del tutto, altri temono violazioni del diritto d’autore e imitazioni. Timori in parte fondati, poiché l’intelligenza artificiale può già fare molto, come scrivere melodie e testi “nello stile di”, clonare voci e creare video finti ma realistici. Il suo impatto secondo alcuni avrebbe “democratizzato” la produzione musicale, consentendo ad artisti e produttori di sfruttarne gli strumenti per comporre musica e persino generare testi, riducendo le barriere all’ingresso per nuovi artisti e promuovendo un ambiente creativo più inclusivo. Il problema è se gli sviluppatori di software siano sufficientemente trasparenti riguardo alle fonti di contenuto utilizzate per addestrare i loro modelli e se i titolari dei diritti vengano equamente ricompensati in cambio dell’uso della loro proprietà intellettuale. 

 

Passando dalla teoria alla pratica, ci si può misurare con Suno AI, il software soprannominato il “ChatGPT per la musica”, che si propone come strumento per i non musicisti per creare la propria musica. Basta digitare un messaggio nell’apposita casella, descrivere sommariamente cosa si desidera ascoltare e, pochi istanti dopo, verrà riprodotto una clip di musica dal suono realistico. Attenzione: il risultato è quasi sempre orrendo.  I creatori di Suno presentano la app come uno strumento pensato per dare potere a chi non sappia produrre musica, eliminando lo sforzo umano dal processo di creazione. Ma con Suno ciò che “ottieni” è solo tecnicamente un brano musicale: quella scimmiottatura non ha nulla di umano, né di intelligente e ha tutto di artificiale. Manca l’espressione, la spontaneità e la radice sociale che hanno reso la musica una forza capace di cambiare il mondo. E’ una straziante esaltazione del brutto. Il suo fallimento indica che siamo lontanissimi da una reale presenza intelligente non-umana nella musica. Contesto, personalità, ingegno, individualità sono fattori impossibili da ridurre ad algoritmo. Dunque per ora, state sereni, non c’è nulla da temere dall’AI.

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