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Puccini 2024 - Le opere/7

Oltre "Nessun dorma" c'è di più: la via italiana alla modernità in musica

Mario Leone

Parla il maestro Leone Magiera: "Puccini sceglie una favola perché è estremamente curioso e capace di rintracciare le condizioni per creare qualcosa di nuovo; è stato un tratto tipico del suo percorso artistico". Il viaggio pucciniano del Foglio approda a Turandot

Una chiacchierata con musicisti, interpreti e critici per ognuna delle dodici opere di Giacomo Puccini, nel centenario della morte del compositore. Abbiamo già scritto di “Manon Lescaut” (31 gennaio), “Gianni Schicchi” (16 febbraio), “La Fanciulla del West” (6 aprile), “Le villi” (23 aprile). “La bohème” (11 giugno), “Edgar” (11 luglio).
 



Ha da poco compiuto novant’anni e l’avanzare dell’età accresce l’amore che nutre per la musica. Leone Magiera le ha dedicato la vita come pianista accompagnatore, direttore d’orchestra e didatta. Ha collaborato con i grandi della lirica, sostenendoli in una carriera piena di insidie. Luciano Pavarotti, Ruggero Raimondi, Mirella Freni sono solo alcuni dei suoi discepoli. Con la Freni il sodalizio è anche di vita. I due si incontrano bambini debuttando a dodici anni in un recital vocale che rivela le doti di entrambi. Poi tanti concerti, il matrimonio e infine una separazione avvenuta senza rancori.
 

Con Magiera continuiamo il nostro viaggio pucciniano approdando a Turandot, l’opera più misteriosa e irrisolta. “Puccini sceglie una favola – dice il maestro – perché è estremamente curioso e capace di rintracciare le condizioni per creare qualcosa di nuovo; è stato un tratto tipico del suo percorso artistico”. Percorso che  inizia nel 1883 con Le villi e si conclude proprio con Turandot, un lavoro svolto in una fase di grandi cambiamenti dove i compositori sono alla ricerca di nuove strade. “All’inizio della sua carriera, Puccini ha come riferimenti Verdi e Wagner. Lentamente la sua attenzione si sposta su Prokofiev, Bartók, Debussy, Stravinskij dai quali prende alcune scelte stilistiche, riproponendole in chiave ‘italiana’. Proprio all’inizio di Turandot abbiamo una sovrapposizione di due tonalità differenti oppure l’utilizzo di tempi come il 7/4 che appartengono allo stile dei compositori prima citati. Le rivelo anche un aneddoto. Puccini era molto incuriosito dalla ricerca musicale di Arnold Schoenberg e decise di incontrarlo per ascoltare il Pierrot Lunaire. Non troviamo nulla di Schoenberg nella scrittura pucciniana ma il Lucchese conosceva bene quel che accadeva attorno a lui”.
 

Le grandi novità e le difficoltà che Puccini introduce l’hanno reso ostile a tanti artisti che hanno evitato di eseguire le sue opere. “Turandot ancora di più – continua Magiera – è vocalmente la partitura più difficile delle dodici scritte. La parte della Principessa è complessa anche espressivamente perché deve rivelarsi fredda e distaccata all’interno di una costruzione motivica fortemente espressiva. Calaf era evitato come la peste da tanti tenori. Lo stesso Pavarotti l’avrà cantato due volte”. Eppure quando si cita “Big Luciano” risuonano le note del “Nessun dorma”, e a tal proposito Magiera ci dona una chicca: “Il ‘vincerò’ finale in partitura è breve ma da subito i tenori l’hanno allungato a dismisura per fare spettacolo. Puccini, seppur a malincuore, non ha mai censurato questa prassi, forse consapevole che anche il tenore aveva bisogno del suo momento di gloria!”.
 

Ogni frase di Magiera nasce da una conoscenza enciclopedica del repertorio ma soprattutto dall’esperienza. “Una volta chiesi a Claudio Abbado il perché non dirigesse Puccini e lui mi rispose: ‘C’è della musica che mi interessa di più’”. Un giudizio ingeneroso che rivela un atteggiamento tipico di quegli anni. “Un vero e proprio movimento contro Puccini – dice il pianista – capeggiato dal critico musicale Fausto Torrefranca. Quando ho iniziato a insegnare in Conservatorio, il mio direttore impediva alle classi di canto di eseguire musica pucciniana”. La storia come sempre è maestra e allora a Magiera chiediamo di delinearci la sua produzione ideale per Turandot: “Corelli nei panni di Calaf; Mirella Freni, Liù e Birgit Nilsson, Turandot (quando cantava lei, sembrava ci fossero cinquanta soprano sul palco). La regia l’affiderei a Damiano Michieletto che non penso l’abbia ancora curata”. E la direzione? Il maestro si fa schivo e allora noi l’anticipiamo: Leone Magiera.

Puccini 2024 - Le opere

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