sabato 14 a Spring Attitude

Danza al termine della notte (del medio oriente). Gli Acid Arab tornano a Roma

Enrico Cicchetti

"La libertà di essere e di pensare" e la fratellanza internazionale del popolo della notte. Ma tranquilli: nulla di troppo concettuale, in un epoca di scontri sull'identità e di sovranismi. "All'inizio siamo caduti in tutti i cliché, ma il pol. corr. ci ha risparmiato le accuse di appropriazione culturale". Quattro chiacchiere con Guido Minisky

Mentre il medio oriente è in subbuglio, con la guerra a Gaza, i talebani che vietano alle donne persino di cantare e le iraniane che rischiano la pelle per un ciuffo fuori posto, c'è un collettivo di musicisti francesi che invece prende spunto dalle sonorità di quel mondo per fare ballare i giovani, da Londra a Orano, da Istanbul a Berlino fino al Cairo. Sono i parigini Acid Arab (da leggere rigorosamente à la francese), pionieri della musica elettro-orientale e uno dei gruppi d'oltralpe più programmati all'estero, soprattutto nel Maghreb e in medio oriente oltre che in Europa. Fondono il raï e la gasba algerina, le danze sufi e l’acid house di Chicago. Sabato, per il secondo anno di fila saranno a Roma, negli Studi di Cinecittà, per un dj set nell'eclettico festival Spring Attitude (inizia oggi ed è ormai alla sua tredicesima edizione, forte delle 23 mila presenze dello scorso anno e con una scaletta internazionale sempre ricercata ed eterogenea).

Gli Acid Arab hanno fondato un'estetica e forse persino un genere, anche se in un'epoca di scontri sull'identità nazionale e di sovranismi, i dj Guido Minisky e Hervé Carvalho - i due polmoni di questo duo a ritmo ternario, che oggi è un collettivo in costante evoluzione - ci tengono a sottolineare che non c'è nulla di troppo concettuale nel loro approccio, ma è tutto manifesto. "Musica impegnata? Non abbiamo mai cambiato idea su questo: non c'è bisogno di etichettarsi, di dirsi antirazzisti o di ribadire banalità come 'la musica è un ponte per unire culture'. Sarebbe ridondante. E' semplicemente ciò che facciamo e il modo in cui lo facciamo a dimostrarlo, se mai ce ne fosse bisogno", dice al Foglio Guido Minisky. "E poi non è certo un gruppo musicale a potere cambiare il mondo. Speriamo piuttosto di accendere qualche scintilla, anche solo facendo stare insieme le persone, facendole conoscere e ballare". Gli Acid Arab, insomma, rivendicano piuttosto "la libertà di essere e di pensare, che passa attraverso la musica", non importa su quale riva del Mediterraneo ci si trovi. Parlano se mai di quella sotterranea fratellanza internazionale che unisce la gente della notte, dell'edonismo danzereccio che riunisce tutti nel suo caldo abbraccio, da Parigi a Beirut. "Inizia tutto con un festival su un'isola al largo della Tunisia, il Pop in Djerba. Hervé e io siamo stati inviati lì nel 2012 e vista l'alchimia creata da quella combinazione, nell’autunno dello stesso anno abbiamo organizzato un party a Parigi, incentrato su quelle sonorità", spiega il dj. La scintilla è un parallelo equilibristico: quello tra lo stato di trance di alcune tradizioni arabe e la ripetitività ipnotica della tekno".

 

Ma forse proprio Parigi è una chiave: forse un gruppo come gli Acid Arab non avrebbe potuto nascere altrove. "Per noi non poteva che essere Parigi, perché siamo di lì", prosegue Minisky. "Parigi sono gli album africani dei Talking Heads (la cui carriera si conclude proprio nella capitale francese con la registrazione di 'Naked', ndr), Parigi è l'immigrazione nordafricana, è la grande comunità turca, siriana e curda del X arrondissement, sono i canali tv per pakistani, le radio che passano soltanto musica araba. Ma in fondo di posti così ce n'è dappertutto, dalla Romania alla Danimarca. La nostra vera fortuna è stata emergere in un momento nel quale non c'era ciò che facciamo ancora oggi. Anzi, forse la nostra vera fortuna è stata quel nome geniale". Com'è nato? "Semplicemente perché Naila, la grafica alla quale abbiamo presentato l'idea per il flyer della prima serata, per sintetizzare i concetti che le abbiamo proposto, ha accostato quelle due parole". E luce fu.


Certo, due che si chiamano Minisky e Carvalho, cognomi dalle radici russe e portoghesi, non sono proprio le prime persone a cui pensare se si tratta di atmosfere mediorientali. Come evitare di cadere nei cliché? “Nei clichè ci siamo caduti eccome! Abbiamo fatto manifesti con donne velate, indossato nei live abiti maghrebini... Ma erano gli esordi, stiamo parlando del 2012/2013. L'accusa di 'appropriazione culturale' non ci è mai stata mossa", spiega Minisky, che racconta come gli Acid Arab abbiano fatto in tempo a rettificare le proprie ingenuità prima di trovarsi sulle spalle il peso di quello che il pol. corr. sarebbe diventato solo pochi anni dopo. "Quando la questione è comparsa eravamo già oltre”. C'è poi anche il fatto che Minisky e Carvalho - che vengono presto affiancati da Pierrot Casanova e Nicolas Borne e poi dal tastierista Kenzi Bourras - hanno collaborato con una schiera di musicisti e artisti che dall'oriente provengono davvero e che lo conoscono, che sanno cosa dire e come muoversi. Dal trio di nigeriano Les Filles de Illighadad che fanno blues-tuareg ad artisti come Rachid Taha e Sofiane Saidi, da Omar Souleyman fino al gruppo israeliano A-Wa, tra gli altri. "Li troviamo talvolta sfogliando i social, a volte per conoscenze comuni. Per esempio tutti i cantanti algerini, che sono la maggioranza, erano nel giro di Kenzi, il nostro tastierista. Altre volte ancora ci incontriamo per caso".
  

"Certo, è verissimo che il mondo arabo sono gli uomini nei caffè e le donne in casa. Ma non pensiate che in casa non facciano delle grandi feste", aggiunge Minisky. Ok, ma è vero pure che poi ci sono l'Iran e l'Afghanistan di cui sopra. "Sarebbe bello invitare artisti da questi paesi, collaborare con loro e farli venire qui. Per ora non è mai capitato. Domani, chissà".

  

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti