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emulazioni

In America, piccole orchestre provano il “modello Netflix” per riempire le sale

Mario Leone

Perché non abbonarsi anche alle stagioni di musica classica? Se lo è chiesto la St. Paul Chamber Orchestra, in Minnesota. Ma anche in Italia esistono dei casi simili

La nostra vita è costellata di abbonamenti: per le piattaforme di streaming video e musicale, per le app per il fitness e la cura della persona, e resistono anche gli abbonamenti a palestre, circoli sportivi e quotidiani. Insomma, pagando una cifra apparentemente modesta, addebitata mensilmente sul conto corrente, si accede a una vasta gamma di servizi pensati per l’utente e le sue necessità. Un lento stillicidio (quanti abbonamenti sfuggono al nostro controllo?) che ben si adatta ai ritmi frenetici della quotidianità. In qualsiasi momento hai a disposizione tutta la musica, le serie tv e il coach online. Un’ampia libertà di scelta che appaga quel recondito desiderio di controllo che spesso ci caratterizza.

 

Perché non abbonarsi anche alle stagioni di musica classica? Se lo è chiesto la St. Paul Chamber Orchestra, in Minnesota, che già da qualche tempo sperimenta il cosiddetto “modello Netflix” (così lo definisce il New York Times). L’organizzazione è semplice: paghi una quota mensile e hai diritto ad assistere ai concerti quando vuoi e quante volte desideri. Come accade con la palestra o con un servizio di streaming, alcune persone partecipano spesso, altre quasi mai. In ogni caso, l’orchestra beneficia di entrate costanti e il pubblico ha il pieno controllo del proprio calendario, con la possibilità di decidere anche all’ultimo momento di assistere a un’esibizione.
Ovviamente ci sono delle condizioni. Questo tipo di abbonamento viene messo in vendita dopo le “solite” prelazioni: c’è ancora un pubblico che desidera il suo “storico” posto, quel giorno e a quell’ora. Si tratta per lo più di spettatori di una certa età, legati a una routine che è parte integrante della vita di una sala da concerto. La seconda condizione riguarda i posti: in genere c’è un’area riservata a chi possiede l’abbonamento flat e i numeri variano a ogni spettacolo. L’iniziativa registra un aumento dei giovani in sala e un’apertura ai concerti di musica contemporanea che vengono “provati” perché inclusi nell’abbonamento. Il modello, riproposto anche dall’Arkansas Symphony Orchestra, porta a un minor incasso (i costi oscillano tra i 10 e i 50 dollari mensili), per stessa ammissione dell’amministratore delegato, ma riempie le sale, stimolando gli orchestrali.
In Italia? Qualche mese fa è stato presentato il Libro bianco sui consumi culturali degli Italiani, una rilettura delle rilevazioni dell’osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, realizzato in collaborazione con Swg. “Dopo il Covid – ci dice il presidente Carlo Fontana – c’è stata una ripresa molto forte delle presenze agli spettacoli dal vivo (soprattutto nella musica pop) ma si è verificata una caduta degli abbonamenti. La precarietà che il Covid ha messo a nudo non facilita programmi a lungo termine: l’abbonamento a una stagione lo è”. Il pubblico non vuole vincoli fisico-spaziali di lunga durata e quindi opta per soluzioni open. Qui da noi il fenomeno non è ancora presente, oltreoceano riguarda piccole istituzioni. “Il ‘modello Netflix’ è tutto da approfondire – continua Fontana – vanno rivisti strutturalmente gli accordi sindacali, le stagioni e i piani economici. Senza dimenticare che la contrazione e l’invecchiamento del pubblico ‘della classica’ ha radici più profonde. Nelle nostre scuole non si studia la storia della musica e del teatro e la musica d’arte è la sorella minore anche nei palinsesti televisivi”.

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