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Puccini 2024 - le opere/9

Lo sguardo pessimistico di Giacomo Puccini nella più sociale delle sue partiture

Mario Leone

Nel Tabarro, il compositore non imita nessuno, "ma offre una sintesi originle della propria ricerca musicale", dice Virgilio Bernardoni, fra i suoi massimi esperti. Un soggetto ripreso dal teatro della paura di fine '800, capace però di ripensare le strutture narative tipiche con nuovi modelli, ben lontani dalla tradizione

Una chiacchierata con musicisti, interpreti e critici per ognuna delle dodici opere di Giacomo Puccini, nel centenario della morte del compositore. Abbiamo già scritto di “Manon Lescaut” (31 gennaio), “Gianni Schicchi” (16 febbraio), “La Fanciulla del West” (6 aprile), “Le villi” (23 aprile), “La bohème” (11 giugno), “Edgar” (11 luglio), “Turandot” (29 agosto), “La rondine” (17 settembre).

 


 

Nel maggio del 2023 il Saggiatore ha pubblicato un volume interamente dedicato a Giacomo Puccini, realizzato da Virgilio Bernardoni, uno dei massimi esperti del compositore lucchese. Si tratta di un testo musicologico, un’introduzione alle opere pucciniane, un grande scrigno fatto di aneddoti e racconti su quel Puccini geniale, sperimentatore e così profondamente coinvolto nelle istanze del suo tempo. Virgilio Bernardoni ha il piglio dell’accademico: pondera ogni parola e cerca di coinvolgere il lettore in una serie di processi di cui ha ben chiare origini, sviluppo e conseguenze. Lo contattiamo chiedendogli di approfondire la prima delle tre opere (Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, ndr) che formano Il trittico pucciniano. “Quando Puccini compone Il Tabarro – risponde Bernardoni – la storia è in un momento di grande complessità: il Primo conflitto mondiale sta modificando le vite di molti e sta cambiando anche il modo di Puccini di leggere la realtà. Il suo sguardo pessimistico sul mondo, testimoniato dagli scritti dell’epoca, si proietta nella partitura del Tabarro, la più sociale, direi, tra quelle da lui composte”.


Siamo nei bassifondi di Parigi, su un barcone ancorato nelle acque della Senna, dove si consumano gli ultimi scampoli della storia d’amore tra l’anziano Michele e la sua giovane sposa Giorgetta, ormai innamorata del giovane Luigi. “Il soggetto non è così originale – continua Bernardoni – perché prende spunto da quel teatro della paura degli ultimi anni dell’Ottocento concentrato su un’umanità marginale, impotente, che non lotta, e precipita nella spirale della catastrofe”. Così è per i protagonisti dell’opera: Michele cerca di recuperare il rapporto con la moglie, ricordandole i giorni felici, quando, prima della perdita prematura del figlio, si stringevano nel suo tabarro. “Chi non ha speranza vive nel passato; tutti i protagonisti del Tabarro vivono soltanto di sogni nostalgici, ma questi impulsi non sono il motore di un riscatto bensì una sorta di palude in cui essi affondano lentamente”. Il dramma si consuma in breve tempo: la pipa accesa di Michele trae in inganno Luigi che pensa sia il segnale che lo chiama all’incontro con l’amata. Sale sul barcone e trova Michele. La situazione ormai è chiara e, accecato dalla rabbia, Michele strangola il giovane, avvolgendolo poi nel suo tabarro. “Siamo di fronte – dice Bernardoni – a una sorta di post-verismo moderno, dove i protagonisti sono guardati sia narrativamente sia musicalmente dall’esterno. Le opere del Trittico si sviluppano in ‘luoghi chiusi’, quasi isolati da mondi altri che però si vedono e si sentono”.


Nel Tabarro questa dialettica diventa musicale. “C’è una distinzione tra il colore dell’orchestra e i suoni concreti che arrivano dalla città; non semplici effetti, ma fattori musicali strutturali per la narrazione. Una sorta di contrappunto tra la musica dell’azione (riferita soprattutto alla catastrofe umana) e la musica dell’altrove (riferita invece a sogni e nostalgie)”. Quella del Tabarro è una musica che fonde Stravinskij e Debussy, rielaborati a un livello completamente nuovo. “Puccini non imita nessuno – spiega il musicologo – ma offre una sintesi originale della propria ricerca musicale”. Un percorso che il Lucchese terminerà con Turandot, sviluppandosi su una costruzione musicale che Bernardoni definisce “a campate” stilisticamente eterogenee fra loro integrate. “E’ questo, a mio avviso, il contributo che Puccini offre al Novecento: un continuo ripensare le strutture narrative e il modo di rappresentare il melodramma, attraverso schemi narrativi e modalità sceniche che non fanno più riferimento alla tradizione”.

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