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Contrasti e ambizioni

Carlo Conti lancia la bomba: i Pink Floyd insieme al Festival. Motivi per dubitarne

Stefano Pistolini

Una frattura insanabile, vecchie ferite, due mondi che si sono sempre più allontanati tra loro: la storica lite tra David Gilmour e Roger Waters potrebbe finalmente ricucirsi sul palco dell'Ariston, anche se le tensioni fra i due non hanno mai smesso crescere 

Sarebbe interessante sapere se in Inghilterra, patria dei Pink Floyd, sono al corrente che nell’Italia culla dell’arte c’è un famoso presentatore televisivo convinto d’essere in grado di camminare sulle acque, almeno su quelle del pop, metafora paragonabile all’impresa a cui pare dedito in queste settimane, ovvero far riunire, in occasione del suo ritorno da direttore del Festival di Sanremo, David Gilmour e Roger Waters, le due anime del vecchio gruppo in perenne, torrido e inscalfibile contrasto da tempo immemore. Il feroce fronteggiamento tra i frontmen superstiti di quella che fu la band capofila della psichedelia britannica è una storia vecchia che si è trascinata nel tempo, fino a diventare una faida un po’ patetica tra due anziani signori di 78 (Gilmour) e 81 (Waters) anni, ancora misteriosamente annodati alle rivalità del passato.

Per cui verrebbe da pensare a un espediente promozionale del noto conduttore Rai, a caccia di attenzione in vista del suo avvento post Amadeus. Ma c’è da credere che, se lo sostiene con tanto entusiasmo, qualche chance Carlo Conti deve pensare di avere, al di là del carnet di assegni in bianco che l’azienda potrebbe affidargli per realizzare la missione impossibile. Quel che è certo è che il brand Pink Floyd continua a tirare eccezionalmente in Italia e anche nel resto del mondo, se è vero che la settimana di concerti romani di David Gilmour con la sua band al Circo Massimo di Roma ha fatto registrare 90 mila presenze (la metà provenienti dall’estero) per gli unici concerti previsti prima del trasloco oltreoceano del chitarrista, in tour per presentare un campionario del greatest hits della band e soprattutto i brani tratti da “Luck and Strange”, il suo dignitosissimo album di inediti appena arrivato nei negozi. A sancire la statura dei Pink Floyd come venerabili sempreverdi nel catalogo amenities del vecchio rock arriva anche la notizia della finalizzazione della cessione dei diritti del catalogo musicale della band (non delle relative liriche, che restano appannaggio degli autori), acquisito dal colosso giapponese Sony per 400 milioni di dollari, di cui beneficeranno Waters, Gilmour, il batterista del gruppo Nick Mason e gli eredi del trapassato tastierista Richard Wright e del mitico inventore del progetto, l’indimenticabile Roger “Syd” Barrett. Si tratta dell’ultimo episodio nella campagna miliardaria d’investimenti messa in atto dai potenti fondi finanziari attorno alle produzioni delle superstar musicali del Novecento, culminata in acquisizioni straordinarie come il miliardo di dollari pagato, sempre da Sony (con un’iniezione di 700 milioni di dollari dal gruppo private equity Apollo), per far propria la musica dei Queen e che nel contempo ha visto passare di mano dozzine di repertori dei miti del vintage pop, da Springsteen a Michael Jackson.

Nell’occasione, Gilmour si è affrettato a far sapere d’aver acconsentito all’affare non per sete di guadagni, ma per mettere fine “a tutte le liti provocate dalle decisioni comuni”. Insomma per cancellare una volta per tutte qualunque territorio comune con coloro che in gioventù condivisero l’antica avventura musicale, della quale lo stesso Gilmour non entrò a far parte dall’inizio, ma solo dopo che l’amico Barrett cominciò a dare segni di instabilità psichica, culminata nell’incapacità di esibirsi dal vivo, di comunicare coi compagni e con la necessità di venire sostituito nel ruolo di chitarrista. Oggi la band non esiste più da un quarto di secolo abbondante e le ruggini che la corrodono rendono impensabile una sua sia pur occasionale reunion, sebbene i suoi album e le sue canzoni non smettano di scintillare nelle cronache del rock-nostalgia. Il nodo della discordia sta nella caratterialità tempestosa di Roger Waters, l’anima dark più esoterica, ma anche più intellettualmente vivace del gruppo, periodicamente responsabile di esternazioni provocatorie sui grandi temi del dibattito internazionale, che includono un appassionato sostegno a Vladimir Putin e al dittatore venezuelano Maduro, l’ostilità nei confronti delle ragioni dell’Ucraina e feroci commenti anti israeliani. “Non posso che girare alla larga da un uomo che sostiene attivamente i genocidi e le tirannie e si concede determinate affermazioni nei confronti della comunità lgbt o più in generale delle donne”, fa sapere Gilmour. “Niente può convincermi a condividere un palco con lui”, aggiunge, facendosi interprete della diffusa opinione pubblica che bolla Waters come una specie di fascista misticheggiante, obnubilato da fantasie paranoiche. Altro che dissing tra trapper: qui vanno in scena monumentali icone del rock che, a dispetto del look da gentiluomini di campagna, si scambiano colpi micidiali, nel nome di un astio incancrenito. Una frattura insanabile, vecchie ferite, due mondi che si sono sempre più allontanati tra loro, come d’altronde accade nelle migliori famiglie. Almeno fino al giorno in cui Carlo Conti ha reso noto un piano d’intervento per ricucire lo strappo che fa soffrire milioni di fans come lui, che quando risuonano le note di “Wish You Were Here” si sentono investito da una torma di malinconici ricordi.