La storia
La vita di Lisa Marie Presley, istruttiva parabola sui danni dello star system
La figli di Elvis Presley pagava il prezzo del cognome, e su di lei imperversa il voyeurismo di cui il padre, protetto da uno status semi-divino, non era mai stato vittima. Lisa era esposta e il suo equilibrio ne risentiva
Elvis Presley è stato radioattivo. Radioattiva la sua musica, che ha contribuito a cambiare, se non il mondo, l’occidente. E radioattiva la sua prossimità, lo stargli vicino, nel perenne psicodramma che è stata la sua vita privata, famigliare, sentimentale. Sofia Coppola ha dedicato un film poco riuscito, “Priscilla”, proprio al tentativo di definire la star come un predestinato troppo concentrato nel percorrere la traiettoria verso lo splendore artistico da saper guardare a un palmo oltre il suo narcisismo, dove annaspava l’umanità della consorte-bambina che aveva desiderato capricciosamente, salvo poi trattarla come un ornamento. Ne è uscito un esercizio estetico, privo della profondità di indagine e anche della crudeltà necessaria ad avvicinarsi alla realtà.
Ma ora spunta un altro documento sostanziale per esplorare questa vicenda e soprattutto le sue conseguenze per le persone più vicine al divo. Si chiama “From Here To the Great Unknown”, che tradurremo “da qui al grande nulla”, autobiografia di Lisa Marie Presley, l’unica figlia di Elvis, scomparsa prematuramente all’inizio dello scorso anno – mentre Priscilla è ancora viva e vegeta. Lisa ha voluto raccontare la propria versione di un’infanzia trascorsa nel bizzarro mondo di Graceland, intervistando le persone che con lei hanno condiviso quell’esperienza che segnerà indelebilmente il resto della sua vita, sebbene il padre passi a miglior vita quando lei ha solo 9 anni. Morta Lisa, il testimone della narrazione è stato raccolto da sua figlia, Riley Keough, che firma il volume con la madre e completa la ricostruzione della tossicità, apparentemente inevitabile, che si genera in un gruppo consanguineo americano allorché il successo e la celebrità irrompono nella sua precedente, e sovente stentata, normalità.
“A volte entravo nella camera da letto di mia madre e la trovavo sul pavimento sola, ubriaca, ad ascoltare la musica del padre, piangendo”, scrive Riley di Lisa. “Ma non ne parlava mai, né sentiva la sua musica da sobria”. Riley, che a sua volta si sta facendo largo a Hollywood (è la protagonista della serie Amazon “Daisy Jones & the Six”), racconta d’aver voluto rispettare l’intento iniziale della madre nello scrivere la propria autobiografia: descrivere il costo della fama e le sue fatali conseguenze sotto forma di eccessi di ogni genere, nemmeno si trattasse di un sortilegio. Lisa è sempre stata un bersaglio prediletto dei media pettegoli d’oltreoceano, contrariamente a Priscilla che aveva avuto il tempo di costruirsi un robusto sistema di difese psicologiche: cronisti del gossip e paparazzi sono sempre andati pazzi per la vita spericolata di Lisa, per i suoi amori, la sua tendenza a esagerare, la sua debolezza con le droghe, i suoi guai con un peso che andava prodigiosamente su e giù. Lisa pagava il prezzo del cognome, e su di lei imperversa il voyeurismo di cui Elvis, protetto da uno status semi-divino, non era mai stato vittima. Lisa era esposta e, come racconta Riley, il suo equilibrio ne risentiva.
I prezzi che pagherà sono carissimi: tra gli 11 e i 14 anni viene molestata dal compagno della madre, l’attore Michael Edwards. A 15 tenta il suicidio dopo che un fidanzatino vende delle sue foto osé. Ha poco più di vent’anni quando, dopo essersi sposata col padre di Riley, incontra Michael Jackson e stabilisce con lui una delle relazioni più surreali dello star system. Non può essere che in una stanza d’hotel a Las Vegas che MJ, forse allucinato dall’essere al cospetto dell’erede dell’icona suprema del pop americano, le chiede di sposarlo. Lei accetta, convincendosi che sia la cosa giusta da fare, per quanto venga a sapere che il futuro sposo è ancora vergine e che a lei tocca il compito di riuscire dove Brooke Shields e Madonna avevano fallito: accompagnare Michael alla scoperta del sesso. Una vicenda a dir poco strana, nel resoconto della quale Lisa però si premura di sollevare Michael delle accuse di pedofilia che l’avrebbero travolto (“avessi visto qualcosa del genere lo avrei ucciso”), confessando invece di non aver mai accettato la prospettiva di fare un figlio con lui. E’ Riley che completa questo quadretto di stravaganze: “A casa erano una normale coppia sposata. La mattina ci accompagnavano a scuola, proprio come una famiglia normale, anche se a volte Michael portava con sé uno scimpanzé”.
Lisa prova a diventare una cantante, ma non è tagliata e alla fine rinuncia e prova a costruirsi una vita normale. Divorzia da Jackson, si sposa una terza volta con Nicolas Cage e poi una quarta con Michael Lockwood, mette al mondo due gemelli, ma il suo mondo si frantuma quando il fratello di Riley, Ben, si suicida. Lisa conserva in casa per due mesi il cadavere del figlio in ghiaccio, nel folle tentativo di elaborare il lutto, col sostegno di ogni possibile additivo chimico. Infine si abbandona al quotidiano disfunzionale che la spedirà al creatore a 54 anni, per le conseguenze di un intervento chirurgico per ridurre dell’obesità, mentre già la demenza le insidia il cervello. Epilogo di una vita assurda spesa nel fragile tentativo di circoscriverne la misura. E questo memoir è una lettura istruttiva per il ritratto che traccia di una grande inadeguatezza: il voluttuoso sistema dello spettacolo americano produce condizioni esistenziali all’ordine delle quali solo una forte dose di saggezza permette una decente sopravvivenza. Altrimenti il naufragio è dietro l’angolo. Per informazioni consultare Puff Daddy e suoi amici dei paradossali, deliranti “white parties”.