Musica e regime
Furtwangler a 70 anni dalla morte: la grandezza sul podio, i compromessi col nazismo
Il direttore d’orchestra continua a suscitare controversie. E proprio per questo forse occorre astenersi da giudizi perentori: non avremo mai tutti gli elementi per un verdetto definitivo. Ci resta un uomo, la sua arte e uno dei capitoli più oscuri della storia dell’umanità
Sono trascorsi settant’anni dalla morte di Wilhelm Furtwängler e la figura di questo direttore d’orchestra continua a suscitare controversie. Parlare di lui significa addentrarsi in un terreno scivoloso, anche se molti ritengono di possedere giudizi definitivi, supportati da motivazioni apparentemente solide. Partiamo dalle certezze, quasi delle ovvietà: Furtwängler è stato un musicista e direttore d’orchestra “totale”, capace di influenzare profondamente la musica del XX secolo. Adorno descrisse il suo primo incontro con lui come un’esperienza penetrante, quella con un uomo capace di vivificare la musica, dando corpo e anima a ogni singola nota. Nonostante una tecnica direttoriale non sempre impeccabile o chiaramente leggibile, Furtwängler ci ha lasciato interpretazioni che spesso rasentano la perfezione. Il suo carisma gli permetteva di guidare gli orchestrali verso territori inesplorati, splendidi e remoti, in particolare nell’ambito del repertorio tedesco per il quale rimane tuttora un punto di riferimento imprescindibile.
C’è però anche l’aspetto del rapporto tra Furtwängler e il regime nazista e quest’anniversario riapre un dibattito spinoso. Sono stati scritti saggi e condotte ricerche ma un giudizio unanime su questa complessa vicenda non è mai stato raggiunto. Nel 1933 Furtwängler fu nominato vicepresidente della Reichsmusikkammer, una carica che lo legava formalmente al regime benché egli dichiarasse sempre di considerarsi un artista “apolitico”, interessato esclusivamente alla musica. Le sue presenze a eventi ufficiali del regime sono ben documentate, anche da video e fotografie. Allo stesso tempo, il direttore si schierò apertamente in difesa di Paul Hindemith, il cui lavoro era stato bollato come “degenerato” e si adoperò per aiutare musicisti a migrare o nascondersi. Cercò inoltre di evitare che le leggi razziali venissero applicate alla Filarmonica di Berlino. Nel processo di denazificazione fu dichiarato innocente ma la sua posizione non è stata mai chiarita del tutto, malgrado le sue parole: “Sapevo che la Germania era in una situazione terribile; io mi sono sentito responsabile per la musica tedesca, ed è stato mio compito farla sopravvivere a questa situazione, per quanto ho potuto. La preoccupazione che la mia musica potesse essere usata dalla propaganda ha dovuto cedere a una più grande: quella di preservare la musica tedesca e farla ascoltare al popolo tedesco”.
Negli ultimi anni, alcuni intellettuali tedeschi hanno definito Valerij Gergiev “il Furtwängler di Putin”, una comparazione che appare approssimativa e che mette a confronto situazioni profondamente diverse. Restano però aperte domande irrisolte: l’arte può davvero essere separata completamente dalla politica, come sosteneva la cultura romantica? Daniel Barenboim, che conobbe Furtwängler all’età di undici anni e fu da lui definito “un fenomeno”, ha sempre sostenuto l’idea che la musica non possa essere separata dalla realtà: “Attraverso la creazione musicale è possibile imparare molto sull’umanità, sulle relazioni e sulle paure”.
Forse, nel caso di Furtwängler occorre astenersi da giudizi perentori: non avremo mai tutti gli elementi per un verdetto definitivo. Ci resta un uomo, la sua arte e uno dei capitoli più oscuri della storia dell’umanità. Un giorno forse scopriremo come sono andate davvero le cose. Nel frattempo, ci uniamo alle parole dello scrittore Giorgio Vigolo di cui quest’anno ricorrono i centotrent’anni dalla nascita. Parlando del direttore tedesco, Violo lo definiva: “Quel tipo di uomo completo sempre più raro ovunque, e fra i musicisti introvabile”. Un giudizio valido anche oggi.