Tony Effe (foto Getty Images)

Quanto dicono i pessimi CeStò sulla tragicommedia Tony Effe

Stefano Pistolini

Il caso Concertone di Capodanno è un po' una versione 2.0 dei nuovi (e ben pubblicizzati dal sindaco) cestini di Roma: contenitori semiaperti, dotati di ampie scanalature, dentro i quali la nettezza urbana sostituisce i sacchi di plastica quando non li trova devastati dai gabbiani

Per ragionare sulla misera vicenda del Concertone di Capodanno a Roma, sull’esclusione di Tony Effe e sul ritiro per solidarietà di Mara Sattei e Mahmood, con relativo deflagrare dalle polemiche, si potrebbe partire di lato, così, tanto per capire con chi abbiamo a che fare. Uno spunto può essere, per esempio, l’altrettanto misera vicenda dei CeStò, che solo gli abitanti della Capitale hanno idea di che diavolo siano. Insomma, la scorsa estate il comune di Roma lancia una grande campagna per informare i cittadini dell’esordio dei nuovi contenitori stradali d’immondizia, quelli in cui, passeggiando, si getta l’involucro del ghiacciolo. Entra in scena CeStò, col sindaco Gualtieri nei panni di gioviale testimonial. Alcuni mesi dopo qualsiasi residente dentro il Raccordo anulare vi poteva documentare con orrore la Caporetto dei CeStò, condendo il resoconto con incidenti di vario tipo. I malcapitati cestini, infatti, sono contenitori semiaperti, dotati di ampie scanalature, dentro i quali la nettezza urbana sostituisce i sacchi di plastica. I primi a prendere nota della novità sono stati gabbiani, cornacchie e in genere i volatili che sorvolano la Città eterna. Ci hanno messo un secondo, gli uccelli, a realizzare l’imprevista vulnerabilità dei CeStò attraverso le suddette scanalature. Non ci aveva pensato nessuno. Il risultato è che adesso tutti i CeStò di Roma vengono attaccati dagli eredi del gabbiano Jonathan Livingston a ora di pranzo e ogni contenitore è circondato da una disgustosa marea di rifiuti puzzolenti. Un disastro, prodotto da una palese incapacità di progettazione. 

 

La storia di Tony Effe è uguale. Chiamare il più prolifico reduce della Dark Polo Gang, banda di ragazzacci rap guardati con orrore da qualsiasi padre di famiglia, a cantare “Sesso e Samba” per festeggiare il nuovo anno è stato come rilanciare dei CeStò 2.0 uguali ai predecessori. I furboni che hanno pensato che fosse un’ideona scegliere il titolare del miglior tormentone estivo a impersonare il “cantante di tutti i romani” per lo scadere della fatidica mezzanotte, si sono consegnati al plotone d’esecuzione: i gabbiani della propaganda politica sono piombati sulla questione come sugli avanzi di una pizzetta, hanno gridato alla scandalosa provocazione e hanno rispolverato le inascoltabili rime di Tony, con quel vergognoso profluvio di pupe in calore e rolex tempestati di diamanti, merce satanica se catalogata secondo i princìpi della decenza. Si è urlato che permettere al fomentatore di sottomissioni femminili coatte di recitare le sue peccaminose litanie in coincidenza con lo stappare lo champagne sarebbe stato un vituperio alla città, per non parlare del Giubileo entrante, con quel popò di roba che si porta dietro.

   

I gestori della cosa cittadina a quel punto sono caduti in confusione. Si sono chiesti perché a Sanremo sì, con la sua platea consenziente, e al Circo Massimo no, se insomma lasciar fare il suo numero a Effe, che tanto successo si è visto attribuire dal pubblico – vabbè, ma era estate… – o se per lui quell’arena o lo Stadio Olimpico dovessero essere disponibili solo lontano dalle feste comandate. 

   

Ma intanto ad accendere i falò ci pensavano i difensori dell’intoccabilità dell’Arte, in testa a tutti i colleghi del cantante, dopo opportuno consulto tra i management e attenta valutazione degli scenari. Parola d’ordine: “Censura”, e poi l’appello dell’indiscutibilità creativa e via dicendo, parola di Lazza, Emma e soci. Facile immaginarsi le facce attonite del comitato organizzatore e quella del sindaco esposto sulla pubblica piazza, mentre continuava a chiedersi perché Carlo Conti avesse tanto più presa di lui e perfino l’ardore di mettere sullo stesso palco il vituperato Tony e l’acerrimo nemico Fedez. E tutti a quell’annuncio si fossero fregati le mani pensando che anche stavolta al Festival c’era qualcosa per divertirsi. La tragedia ridicola culmina nell’invito ritirato a Tony Effe, seguìto dalle precipitose scuse del sindaco indirizzate sempre a Tony Effe – insomma, “cerca di capire”. A Roma non si censura nessuno, ma le associazioni gli tempestano il cellulare di minacce, non ha più neanche il tempo di riunire il comitato per l’emergenza CeStò.

 

Ormai il pasticcio era esploso, la ragazza di Tony, l’influencer Giulia De Lellis, ci informa che la musica al massimo si discute, mica si cancella, e tutti a dire che, sì, Tony è un discolo, ma canti quel che gli pare, viste le vendite. E in questo profluvio di ipocrisie incrociate, dove incompetenza, opportunismo e approssimazione si mescolano restituendo l’istantanea di un paese dal perbenismo d’accatto,  emerge il parere di Leonardo Caffo, misterioso filosofo ignoto ai più prima di essere colpito da condanna per maltrattamenti alla compagna, con relative polemiche sulla sua partecipazione a un festival letterario: “Chiunque accetterà di prendere il posto di un collega censurato, è pregato di starmi alla larga”, chiarisce su Instagram, rovesciando il fronte di quelli che al festival letterario non ci sono andati perché c’era lui. 

 

La sequenza finale, alla vigilia del solito Giubileo che metterà sale sulla ferita, descrive un miserabile nascondino tra fatue figurine che si marcano a vicenda, si sorvegliano, si dribblano, s’accusano, spariscono e riaffiorano. Ionesco ci sarebbe andato a nozze. Il sindaco Gualtieri meno, e viene da supporre che stia cogitando se l’invito precipitoso per il 31 al solito Robbie Williams possa mettere tutti d’accordo. Aspetti, sindaco… a suo carico pendono vecchie accuse di molestie sessuali ai danni di un’assistente. Dopo, coi contratti che fanno, ha presente la penale che si ritrova a pagare per lasciarlo a casa?

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