Il Foglio Weekend

Il diavolo veste Tony. Il trapper romano e il caso del concerto di Capodanno

Michele Masneri

Amato, griffato, censurato. Ecco chi è Nicolò Rapisarda. Trentenne romano, molti tatuaggi e poche interviste, voleva solo soldi. E’ il trappista della Ztl

Tony Effe ha il raffreddore. Ma no, sta benissimo, solo con questa mega cit. vogliamo ricordare l’epoca in cui i divi si facevano intervistare, non come oggi, che al limite parlano coi podcast, giammai coi giornali figuriamoci cartacei. Tony Effe è provato, fanno sapere però dal suo staff. Il trapper o trappista è scosso, dicono i suoi, dalle defatiganti questioni dei giorni scorsi. Ripassone, o recap, delle note vicende: prima viene invitato al concertone di Capodanno a Roma al Circo Massimo, poi una misterioso comitato di “donne del Pd” e “donne di Azione” protestano, per i testi sessisti delle sue canzoni, e a quel punto il comune lo disinvita. Lui se ne sta buono buono ma nel frattempo fioccano le cancellazioni di altri cantanti in segno di solidarietà; Mahmood, Mara Sattei, tanti altri. Poi, man mano che passano i giorni, Tony Effe fa sapere che farà un altro concerto, ma all’Eur. E ancora nelle ore che passeranno tra la scrittura e la pubblicazione di questo pezzo sicuramente sarà successo altro. Insomma, non ci eravamo ancora ripresi dalle polemiche per la partecipazione poi cancellata del philosophe à la mode Leonardo Caffo alla fiera dei libri di Chiara Valerio, ed ecco un altro caso che scuote le coscienze. Non era ancora terminata la kermesse identitaria di Atreju proprio al Circo Massimo che ecco quest’altro raduno divisivo.

 

E chissà se ci sarà una app ormai che consiglia gli artisti in base a un algoritmo a quale evento partecipare, e a quale soprattutto non andare, protestando per  la “censura” ricevuta da altri artisti; e a quale fare solo il firmacopie (altra cit). Ormai a ognuno sono consentiti i quindici minuti di censura. Però certo questa vicenda che sta tenendo impegnate le meglio menti della nostra generazione qualche riflessione la merita: intanto sul personaggio di Tony Effe medesimo, un po’ Tony Manero un po’ Little Tony, idolo tamarro dei nuovi giovani, tatuaggi fin sugli occhi, celebrità della mutanda, testi scurrili ma aria in fondo da tenerone come spesso succede. Intanto, vorremmo dire, c’è una grande differenza tra trappisti romani e trappisti milanesi. Se si è trasferito da qualche tempo nel capoluogo lombardo, Tony Effe rimane legato, legatissimo alla capitale dove è nato, nel 1991, che ora lo rinnega. Romano del rione Monti ma trasferito al nord, Effe è il Totti della trap, è il nuovo simbolo della mascolinità un po’ tossichella del GRA; dopo la svolta internazionale e fluida di Damiano dei Maneskin, è rimasto lui a presidiare i maschi un po’ incel, insomma quelli non fluidificati. Ma dicevamo le differenze: se i trapper milanesi vengono dalle periferie, anzi banlieue come vuole il retequattrismo che pretende Milano infuocata polveriera, Sferaebbasta è di Cinisello, Babygang e Simba La Rue sono di famiglie rispettivamente marocchina e tunisina. Invece a Roma siccome arrivare nelle banlieue si fa fatica perché l’Atac è quello che è, la rivoluzione non si può fare perché il venerdì c’è sciopero e dunque abbiamo i trapper col permesso Ztl. 


Tony Effe, nome d’arte di Nicolò Rapisarda, è infatti centro storico, è primo municipio, nello specifico rione Monti. Ci ricordiamo di quando un giovane Tony girava per il quartiere insieme a Side Baby, suo partner nella Dark Polo Gang, fondamentale formazione trap oggi disciolta. E forse il cambiamento musicale di questi cantanti accompagna la trasformazione pure del quartiere da avamposto bohémien a friggitoria diffusa, passando dai “Cani”, gruppo riflessivo e hipster dei Duemila che cantava “I Negroni che guardavi dall’alto e mescolavi / A fine giugno maturità e aperitivo a Monti / A casa poi scrivevi i tuoi racconti ” proprio alla Dark Polo (“Perché la morte mi sta cercando / Rione Monti è dove cazzo abito”). Del rione anche erano anche Dylan Thomas Cerulli (forse figlio di una delle mamme di Azione Roma, con quel nome, Dylan Thomas) e Arturo Bruni in arte Side Baby, trasteverino ma monticiano d’adozione.

 

Baby, altro prodotto non di periferie ma di un centro storico versione Nanni Moretti, figlio infatti dello sceneggiatore e regista di sinistra, area Virzì, Francesco Bruni, e di Raffaella Lebboroni, che faceva una delle indimenticabili lesbiche milanesi del “Ferie d’agosto” primo e indimenticabile. Altra cosa che definisce la romanità di Tony Effe, che lo rende un meraviglioso personaggio da Alberto Sordi, fase “Americano a Roma”, o “Sceicco bianco”, è la sua indolenza e pigrizia (più che di sessismo in Rete ci sono infatti diverse critiche alla sua svogliatezza, durante le esibizioni e nelle prove, “non si muove, si vede che non gli va”, scrivono. Fa il minimo). E’ poi musone come certi baristi romani, che per strappargli il sorriso te li devi conquistare al centesimo cappuccino. Poi non è cattivo. E’ solo che la cordialità lo affatica. Il trapper pigro è una notevole maschera dei nostri tempi. 


Se i trapper milanesi sono più orientati come direbbe Landini – subito censurato da Fdi – alla “rivolta sociale”, i romani invece puntano al soldo, alla figa, alla griffe, in un neo-vanzinismo del disimpegno. E non è vero come molti dicono che la F del nome derivi dal suddetto organo o da Fendi, per via della mania delle firme che attanaglia opera e vita di queste moderne celebrità poi testimonial e cantori di borselli e vestiti e scarpone e ciavatte, in un metrosessualismo che poi contrasta coi testi e le pose neo-buzzurre (ah, la beauty routine!) bensì da Tony Fornari, che è il personaggio interpretato Rapisarda nella miniserie televisiva per Rai 1 “Tutti per uno” a fine anni Novanta, dove Tony interpreta un piccolo malato, figlio di Marina Suma, a cui gli amici organizzano una colletta per farlo curare all’estero. 

 

Se con la gloria della Dark Polo arrivò una serie oggi su Tim Vision, che raccontava vizi e stravizi e vita quotidiana della band sempre nel rione Monti, con factory a via Labicana, da piccolo il futuro trappista, figlio di un orafo e di una casalinga, famiglia normale del centro come tante altre, faceva anche l’attore di serie televisive, come ha raccontato ad Alessandro Cattelan. E uno che da grande, pur coi tatuaggioni e le rime truculente e la mutanda calata sulle ventitrè, sceglie di chiamarsi col nomignolo del sé bambino su Rai 1, o è molto perverso e va in giro ad ammazzare tutti con la motosega, o è un tenerone. Propenderemmo per questa seconda ipotesi. Anche i costanti riferimenti al sesso sembrano più da cartoon che da Arancia meccanica: Tony è contento del suo pisello (l’ha detto in un altro podcast, “mi piace proprio, vuoi vederlo?”, ed è contenta pure della sua vagina la sua ex Taylor Mega, l’ha detto qualche giorno fa a Belve (“la vuoi vedere?”). In entrambi i casi non si è proceduto alla visura, però anche in questa sessualità esibita queste creature in generale fanno tenerezza. 

 

Ma parlando di Fendi, ci si chiede piuttosto se Miu Miu, evocata tante volte nel celebre singolo di Tony, sarà contenta di questo accostamento  (“Miu Miu, Courchevel/ Tony, comprami la borsa/ Portami a ballare con te/ Estate a Saint-Tropez/ Voglio andare su uno yacht/ E fumare prima di farlo a tre”)? Mica è facile la vita oggigiorno per i brand, quando buoni e cattivi cambiano in un attimo. Cioè ci chiediamo: ma Prada, intesa come spa anche quotata, che controlla il marchio appunto Miu Miu, sarà più o meno perplessa sul caso Tony Effe rispetto alla LVMH che controlla la Christian Dior che veste Chiara Valerio? Dopo aver organizzato book club sofisticatissimi su scrittrici come Alba de Céspedes, il brand milanese di Miuccia Prada come si porrà con le liriche del nostro tenero tatuato romano? Gli manderanno abitucci gratuiti o invece soffriranno in silenzio? E la località sciistica di Courchevel avrà picchi o cadute di immagine? Quanti utenti e follower di Tony (con le possibilità, si intende) avranno prenotato nella bella stazione savoiarda, invece delle solita Cortina (o, al peggio, al Terminillo? Oppure, un weekend lungo in Valditara, sempre per restare in land of censura...).

 

Cortina o Courchevel, Tony poi non fa mistero di amare i soldi. In una delle rare interviste (al podcast “Passa dal BSMT”) perché i trapper non danno interviste ai giornali ma ai podcast, l’abbiamo già detto, ha sottolineato: “Non abitavo in una casa popolare, ma comunque in un appartamento di 90 metri quadri. Poi magari vedevo persone che c’avevano la piscina a Capalbio, così anch’io volevo la piscina a Capalbio. Io ero un povero del centro”. Qui, altro slittamento, Capalbio come Courchevel, e servirà finalmente il caso Tony Effe a ridefinire una nuova geografia dei luoghi di vacanza più veritiera, contro giornali e telegiornali pigri che continuano a dipingere la località submaremmana come un buen retiro di intellettuali scalzi e non la nuova meta per Lamborghini e Ferrari e ciabatte Balenciaga che è diventata ormai da anni? Ma restando a Capalbio, proprio lì anni fa ho conosciuto a casa di amici Side Baby, cioè Arturo, ragazzo sensibile. Adesso cerco di parlare con lui, ma anche lui non vuole parlare coi giornalisti, noi di podcast non ne facciamo, e allora c’è sua mamma impietosita  che risponde a qualche mie domanda e fa da tramite, e chiedo a Side Baby via mamma se Tony sia sessista e quello risponde via mamma “manco per niente”, anzi con un’espressione più colorita (è pur sempre trapper). Un giorno, è chiaro, bisognerà scrivere una storia della trap italiana raccontata dal punto di vista anzi pov delle mamme. 

 

Che poi Side Baby ha una bambina e ha messo su famiglia, mentre Tony sta a Milano con Giulia De Lellis, che pure è romana anzi di Pomezia, e l’ha difeso rispondendo alle censure del Circo Massimo con un post su Instagram citando un passo di Robert Frost (“Qualcosa non va, qualcosa manca, in chi vuole far tacere uno che canta”); dopo Dylan Thomas, ecco Robert Frost. 

 

Ma Tony ama i soldi, si diceva, e ha fatto la mossa più giusta: farà appunto un suo concerto privato la sera di capodanno al PalaEur, mossa neoliberista e zerocalcarea. Via dal concertone di Stato! La cosa più giusta del resto l’ha detta Vladimir Luxuria al Foglio: se qualcuno paga per andarlo ad ascoltare, bene, ma se il comune fa campagne contro la violenza di genere, non ha senso. Ma allora, benedetti figlioli, datevi come Tony al privato. Perché se alla fine è sempre questione di “soldi pubblici” non si va da nessuna parte: Arianna Meloni sgrida Report perché prende soldi pubblici, Caffo non può fare Più libri più Liberi perché si fa “coi soldi pubblici”, se tutto è fatto coi soldi pubblici, poi dopo succedono queste cose e nessuno è più libero di fare niente. Gualtieri peraltro ha avuto il suo momento Chiara Valerio, si occupa di troppe cose, le cose gli andavano troppo bene, le metropolitane hanno ricominciato a passare, e poi il posizionamento quotidiano sulla segnaletica non stradale ma della virtù è un’arte defatigante, prendere posizione sulla polemica quotidiana del momento, quando le polemiche del momento diventano dieci al giorno serve l’intelligenza artificiale.  Così, ecco la fuga nel privato di Tony. Ma è impossibile. Siam pur sempre a Roma. Il privato è pubblico o almeno in partecipazione. E sui giornali ieri facevano sapere che Eur spa ha sentito il comune ecc. ecc. Anche sul concerto privato dell’Eur infatti il comune ha detto la sua, del resto Eur Spa è partecipata del Campidoglio. Dunque anche il trapper a Roma è statale o non è. 


E non è questione di destra o di sinistra, come del resto la censura. La censura, sempre più patetica e quotidiana, riguarda tutti. Ha una bella faccia la destra a bollare come “bigotta” la sinistra col suo pol. corr. Quando il massimo che esprime è un bigottismo da casalinga di Voghera basica anni Trenta, e le leggi per cui se ti sei fumato una canna anche un mese fa sei un “drugat”. Gli unici che non incontrano censure sono peraltro proprio i  politici. Non ricordo chi l’ha detto, ma nel colossale imbroglio del “non si può più dire niente” gli unici che sono autorizzati a dire tutto e il contrario di tutto, qualsiasi vaccata da rinnegare il giorno dopo, sono proprio loro. Nel frattempo, censurando tutti gli altri. Forse, c’è un disegno; non contenti di dilagare in palinsesti televisivi sempre più inguardabili e infatti inguardati, adesso  vogliono anche entrare nel business del “live”, come vecchie glorie i cui diritti d’autore non bastano più. Dunque boicottano i cantanti. E censurandoli vogliono sostituirli, con alterni risultati. Come ha ricordato su Rolling Stone Alberto Piccinini, la eurodeputata di Fratelli d’Italia Elena Donezzan è riuscita qualche tempo fa a far annullare i concerti di Simba e Nicky Savage in due discoteche dalle parti di Castelfranco Veneto in quanto anche lì latori di testi violenti e sessisti. Ma Durazzan è nota soprattutto perché in una vecchia puntata della Zanzara cantò Faccetta nera! 
Ma vogliamo dargli questa possibilità?Mettiamo i politici a cantare? Se la politica deborda, consapevole di essere l’unico show business in Italia, perché non far salire loro sul palco, a fare freestyle nei concerti “coi soldi pubblici”? Poi certo bisogna essere capaci. Elly Schlein sul palco degli Articolo 31 è già salita, e al Pride ballava proprio “Sesso e samba” di Tony. Arianna Meloni ha provato ad Atreju, ma senza autotune è peggio di Fedez. Del resto mamma Meloni, che ora fa le candele profumate, l’ha confessato: era Giorgia che da piccola sognava di fare la cantante. Il trapper o rapper semplice siciliano Giovanni Fausto Meloni invece è stato cacciato da X Factor. Non è parente ma  si attende comunque puntata di Report: fino alla prossima censura. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).