Puccini '24 - Le opere/12
Dramma in convento. La clausura, la maternità negata. Come “Suor Angelica” fa piangere Damiano Michieletto
Dopo il “Tabarro” e “Gianni Schicchi”, il Trittico si chiude con un'opera che esplora argomenti intimi toccando le corde della commozione. Un dramma in cui Puccini ci fa immergere con delicatezza e sensibilità rare. Un insegnamento fondamentale per l'opera lirica
Una chiacchierata con musicisti, interpreti e critici per ognuna delle dodici opere di Giacomo Puccini, nel centenario della morte del compositore. Abbiamo scritto finora di “Manon Lescaut” (31 gennaio), “Gianni Schicchi” (16 febbraio), “La Fanciulla del West” (6 aprile), “Le villi” (23 aprile), “La bohème” (11 giugno), “Edgar” (11 luglio), “Turandot” (29 agosto), “La rondine” (17 settembre), “Il tabarro” (3 ottobre), “Tosca” (21 ottobre), “Madama Butterfly” (14 dicembre)
Nella stagione 2015/2016 il regista Damiano Michieletto debuttava al Teatro dell’Opera di Roma con il Trittico di Giacomo Puccini, proponendo una lettura moderna che ha evidenziato i legami tra i tre atti unici del compositore lucchese. “Quando si mette in scena il Trittico – spiega Michieletto – è necessario offrire al pubblico un filo conduttore capace di legare questi tre momenti, individuando temi ricorrenti. Uno è certamente quello della genitorialità: nel Tabarro troviamo la morte di un figlio; in Gianni Schicchi, il sogno di averlo, e in Suor Angelica il tema della maternità negata. E’ un viaggio – prosegue il regista – in cui Il Tabarro rappresenta il momento drammatico e mortifero, Gianni Schicchi quello comico e spensierato mentre Suor Angelica incarna il momento lirico, quello delle lacrime”. Michieletto è convinto che le tre partiture possano essere rappresentate separatamente, “sebbene il loro senso si comprenda appieno solo nell’insieme, come accade osservando una pala d’altare”.
Soffermandosi su Suor Angelica, il regista non ha dubbi: “E’ un’opera che affronta tematiche molto profonde: la maternità negata, il rifiuto del corpo, la clausura come imposizione e non come scelta. Argomenti intimi che Puccini esplora con una sensibilità straordinaria, toccando le corde della commozione”. Nella produzione presentata quasi dieci anni fa al Teatro dell’Opera, Michieletto ha raffigurato il convento come una prigione in cui le suore subiscono l’aggressività delle superiori. In questo contesto, Suor Angelica percepisce l’ambiente come un luogo di penitenza, espiazione e sofferenza, segnato da violenze fisiche e psicologiche. La prima e più dolorosa è l’obbligo di vivere lontana dal figlio, nato fuori dal matrimonio. Una colpa che la società e la sua famiglia le fanno pagare con l’isolamento e il rifiuto.
“E’ un’opera che riesce a farmi piangere – confessa Michieletto – pensi al momento in cui Suor Angelica passa dall’esaltazione per la possibilità di rivedere suo figlio alla devastazione della notizia della sua morte. La perdita di un figlio prima dei genitori è qualcosa di terribile e innaturale e forse mi colpisce ancor di più perché sono un padre. Quando Suor Angelica intona Senza mamma, Puccini ci immerge in quel dramma con una delicatezza e un’umanità rare, caratteristiche uniche della sua scrittura”.
Il finale dell’opera lascia spazio a diverse interpretazioni. Da un lato, rappresenta il momento del distacco definitivo; dall’altro, sembra evocare un ricongiungimento estatico, uno spiraglio di luce nel buio di una vita segnata dal dolore. “Non vedo ambiguità – osserva Michieletto – ma piuttosto una trasfigurazione di qualcosa di non umano: dopo una vita di sofferenze per una presunta colpa morale, la mano del figlio arriva a liberarti. Con questo, Puccini ci ricorda che per vivere veramente bisogna abbandonare ogni resistenza”.
Alla fine di questo percorso tra le opere pucciniane, chiediamo a Michieletto cosa ci lasci Giacomo Puccini: “Dal punto di vista musicale, sicuramente la capacità di andare dritto alle ferite, toccando ciò che fa più male e commuovendo chi ascolta. Non si può poi dimenticare il modo magistrale in cui ha tratteggiato le protagoniste dei suoi lavori. Dal punto di vista teatrale, siamo davanti a un grandissimo uomo di scena che ha dedicato la vita al palcoscenico, cercando costantemente storie e drammaturgie. Questo è un insegnamento valido anche oggi: trascurare la parte narrativa, come hanno fatto tante avanguardie, è un errore. D’altronde, cos’è l’opera lirica se non il racconto di una storia attraverso il canto e la musica?”.