I Post Nebbia sono Carlo Corbellini (voce e chitarra), Giulio Patarnello (tastiere), Andrea Cadel (basso) e Giovanni Dodini (batteria). Foto di R. Michelazzo 

padania calling

Padova, la Chiesa, la musica oltre Sanremo. Intervista-spritz con i Post Nebbia

Luca Roberto

Il nuovo disco sulla montagna colonna sonora perfetta dell’assalto a Roccaraso. La voglia di rimanere indipendenti: "Siamo contrari all'idea che si debba fare musica per tutti". Il bisogno di raccontare il nord-est. Chiacchierata-reportage assieme a una delle band italiane più apprezzate dalla critica

Quando si arriva a Padova bisogna fare lo sforzo di uscire dal lato meno battuto della stazione. Di qua c’è il centro, di là c’è l’Arcella, filari di palazzi e ville e parrocchie che alcuni descrivono come “la Caracas di Padova”. Senza l’Arcella non esisterebbero i Post Nebbia. “Ma più che Caracas è un normale quartiere residenziale. A parte qualche spacciatore e qualche prostituta”, spiega seduto di fronte a una bionda media e a uno spritz Campari Cynar, molto padovano, Carlo Corbellini, 25enne dai lunghi capelli biondi che dei Post Nebbia è voce autore e mente. I Post Nebbia sono una delle band italiane più apprezzate dalla critica musicale. Così precoci e con già quattro dischi, uno più concettuale dell’altro, all’attivo. A Sanremo quest’anno li si dovrebbe addirittura avvistare, ma in gara giurano di non volerci andare mai. Quando li incontriamo sono reduci dal concerto all’Hall di Padova, il primo vero e proprio ritorno a casa. A vederli suonare c’erano anche genitori, zii, cugini. “Come sempre, non ci hanno dato grandi soddisfazioni”, scherza Carlo nel quartier generale di Dischi Sotteranei, la loro casa discografica Arcella-based, dove Michele Novak, il loro manager tuttofare, segue personalmente le diverse attività dell’etichetta. Al muro ha appeso, con uno scotch, un post-it con tutti i 25 artisti del roster. Oltre ai Post Nebbia ci sono anche nomi come Jesse The Faccio, Visconti, Coca Puma, Gaia Morelli, Laguna Bollente e Planet Opal. Tra le proposte più interessanti dell’indie italiano. 

 

Decidiamo di addentrarci un po’ più nell’Arcella, e cominciamo la chiacchierata-aperitivo alla Casetta Zebrina, dentro il Parco Milcovich in cui Dischi Sotterranei organizza il festival “Arcella Bella”. L’ultimo disco dei Post Nebbia si chiama “Pista Nera”. E’ una riflessione su quanto stia cambiando il rapporto delle masse con la montagna. Potrebbe essere la perfetta colonna sonora per la vicenda dei tiktoker napoletani che invadono Roccaraso. Nella canzone conclusiva Notte limpida si chiedono: “Alla fine della pista cosa c’è? Un modo per risalire e farla in un modo diverso o solo un lurido parcheggio?”. “Il nostro è un disco disgustato e preoccupato. Cerca di puntare lo sguardo sul generale disfacimento delle cose. Ma se non avesse dentro anche un po’ di speranza, forse non produrrebbe neanche questo disgusto”, spiega Corbellini. “E’ un disco che parla di montagna, anche se ci siamo arrivati un po’ per caso. Una forte fonte di ispirazione è stata la Trilogia della Galassia di Asimov. E poi il fatto che ci siamo chiusi in montagna a registrare. Costava meno di una sala prove”. In realtà la vicinanza alla montagna è più che altro una questione di famiglia. “Il mio bisnonno era un farmacista, l’ultima persona davvero ricca della famiglia. Era originario della Valtellina ma si trasferì in Friuli, dove comprò un appezzamento di terreno e costruì un rifugio, prima bombardato dai cosacchi e poi ricostruito”. Sulla copertina del disco invece è ritratto Jacopo Linussio, “un imprenditore illuminato di Tolmezzo, inventore degli sci Lamborghini. E’ stato anche un alpinista della madonna, morto centenario dopo essere stato il più vecchio scalatore del Cervino, a 85 anni. Il suo motto era: con passo lento e regolare”. E’ proprio questa conoscenza della montagna che a Corbellini nel disco fa assumere uno sguardo disincantato. “Fosse per i montanari, spianerebbero tutto. Per fare gli schei devono fare una fatica immane. La visione romantica della montagna ce l’ha soprattutto chi viene dalla città”. I cambiamenti climatici sono un tema ricorrente del disco ma per il tour, rifuggendo la retorica, i Post Nebbia hanno deciso di stipulare un accordo con un brand come Dr. Martens e con Etifor dell’Università di Padova, per riuscire a monitorarne l’impatto ambientale e compensare le emissioni di CO2. “Con questi dati andiamo dalla comunità della Val di Fiemme e piantiamo un numero corrispondete di alberi”, spiega Corbellini. “Qualcosa di molto più concreto rispetto alle cazzate sulla transizione green, che dal punto di vista industriale non è praticabile”. 


“Siamo contrari all’idea che si debba fare musica per tutti. Abbiamo detto no alle major per avere una realtà discografica costruita intorno a noi”


Sul piano musicale, dopo la parentesi mistico-religiosa del precedente “Entropia Padrepio”, “Pista Nera” suona come il loro vero primo disco rock. “Diciamo che abbiamo seguito una traiettoria più oscura, meno luminosa, lasciando da parte gli accordi un po’ più beatlesiani. Quando fai un disco, fai sessanta date in giro per l’Italia, poi nel disco successivo cerchi di lavorare in antitesi rispetto a quello che hai già fatto. Il prossimo, chissà, sarà più rilassato e con più accordi”. Sono sempre stati etichettati come i Tame Impala italiani, “ed è innegabile che i loro dischi mi abbiano aperto la mente”, riconosce Corbellini. “Ma ho sempre un po’ sofferto questa semplificazione. Alla fine direi che abbiamo un sound tutto nostro. C’è sempre bisogno di una fase di abbattimento e uccisione dei propri idoli”. Tra le fonti di ispirazione italiane, Corbellini cita “Dellera, bassista degli Afterhours, poco conosciuto ma geniale. Di robe italiane ho cominciato ascoltando i Verdena, i Calibro 35. Mentre nell’ultimo anno ho ascoltato tantissimo Dell’Impero delle Tenebre del Teatro degli Orrori, un disco bellissimo”. Altro gruppo apprezzatissimo: gli australiani King Gizzard and The Lizard Wizard, definiti “operai del rock perfetti per l’epoca della pubblicazione continua di dischi. Ne sfornano più di uno all’anno”. Giovanni Ansaldo su Internazionale ha detto che potrebbero scrivere la colonna sonora di un film di John Carpenter. “Ma in quanto a riferimenti cinematografici, il mio preferito è Fellini”, confessa il leader dei Post Nebbia.   

 

A proposito di dischi, il prossimo sarà quello che porterete a Sanremo? E qui Corbellini è categorico: “Mai”. In effetti “Pista nera” è la prosecuzione di un rapporto, quello con Dischi Sotteranei, che nel corso degli anni ha portato i Post Nebbia a dire no ad alcune offerte delle major discografiche. “Sono molto contrario all’idea che si debba fare musica per tutti”, dice Corbellini dando un sorso alla sua birra, raccogliendo tra le dita il tabacco per rollarsi una sigaretta. “Io Sanremo lo guardo, non è che mi metto a fare il talebano. Penso che quest’anno ci sia anche gente valida come Lucio Corsi, Joan Thiele. Ma mi preoccupa un po’ che sia tornato al centro della scena musicale italiana. Quando ero piccolo Sanremo era per vecchi, poi è come se lo avessero cambiato quel tanto che bastava per prendersi anche una parte della scena indipendente. Oramai gran parte dei soldi vengono da lì. E la musica, anche quella che beneficiava delle dinamiche create da YouTube e Spotify, è come se tendesse a un’omologazione nazional popolare che possa piacere alla casalinga di Voghera. Noi però facciamo musica alternativa, veniamo dalla musica alternativa e crediamo sia meglio per noi restarne al di fuori. Alla fine, in tutti gli altri paesi europei c’è un mercato discografico che si sviluppa pur senza Sanremo”.   


“Ci hanno etichettati come i Tame Impala italiani ma è una semplificazione. Abbiamo sviluppato un suono tutto nostro”


Nella scelta dei Post Nebbia di restare indipendenti ha pesato senz’altro la possibilità di avere, come spiega Corbellini citando uno slogan invecchiato bene, “una realtà costruita intorno a te, come Banca Mediolanum di Ennio Doris. Alla fine non è nemmeno una questione di principio, ma di convenienza. Nelle major vieni trattato giustamente come un prodotto da cui estrarre profitto, ma non è che con gli anticipi diventi ricco. A quel punto tanto vale aprirsi un capannone qui dietro e mettere su un azienda di piastrelle: farei molti più soldi. Per questo il nostro è un discorso a lungo termine: preferiamo crescere piano, un disco alla volta”. In generale per la band l’esigenza è anche quella di far conoscere una proposta musicale che forse è legata proprio a Padova, al Veneto, al nord Italia. “Penso che specialmente stando in Pianura Padana abbiamo molto più a che fare con l’Europa continentale, a livello climatico e culturale rispetto a quanto può essere vero a Roma o Napoli. E quindi penso che sia interessante relazionarsi con l’estero. Portando un’immagine dell’Italia che non hanno. Quando vai a suonare in Germania, in Francia, magari si aspettano la band italiana che fa cose melodiche alla Eros Ramazzotti. Ma siamo un paese che ha anche dei lati bui a livello storico, politico, urbanistico e ambientale. Ed è in parte quel lato che vorremmo riuscire a raccontare”. 

 

Mentre sorseggiamo il nostro aperitivo, in sottofondo suonano le campane del santuario di Sant’Antonio di Arcella. La presenza capillare di chiese a Padova è un riferimento costante nelle canzoni dei Post Nebbia, soprattutto nel terzo disco Entropia Padrepio. Una canzone si chiama Viale Santissima Trinità e percorre idealmente l’intreccio di strade che portano alla parrocchia che svetta nel quartiere dove Corbellini è cresciuto. “Vengo da una famiglia abbastanza singolare perché atea”, spiega allora il frontman della band. “Eppure a scuola di musica ci sono andato in parrocchia. Una presenza urbanistica così capillare della Chiesa qui a Padova, in Veneto, è controintuitiva rispetto alla volgarità e alle bestemmie che permeano la nostra cultura. Solo qui in Arcella ci sono chiese ogni 300 metri: Sant’Antonio, la Santissima Trinità, San Bellino. Sono parrocchie che hanno confini precisi con i parroci che vanno casa per casa in zone ben specifiche”. Il vero controllo del territorio. Per dire quanto sia pivotale il rapporto col culto cattolico in città, basti citare una pagina interna della cronaca del Mattino di Padova nei giorni della nostra visita: “Ossessionata dal frate, lo perseguita. A processo”. 


Padova e il rapporto con la religione: “Sono cresciuto in una famiglia di atei, ma ho iniziato a fare musica in parrocchia. Qui la Chiesa è ovunque”


Ma quel che allargando la visuale racconta questo rock psichedelico padano dei Post Nebbia è anche, forse, un pezzo di Veneto contemporaneo. Lo scrittore Francesco Maino nel romanzo d’esordio con cui ha vinto il premio Calvino dipingeva la regione come una grande placca di Cartongesso dove ci s’è arricchiti, dagli anni ‘80 in poi, grazie alle imprese edili. “In Veneto credo ci sia una filosofia imprenditoriale che porta a lucrare sulle più basse pulsioni dell’uomo”, ragiona Corbellini. “Una volta qui a parco Milcovich si ruppe un cesso chimico. Venne un’azienda di spurgo e mi ricordo che chiedemmo all’imprenditore perché facesse questo lavoro. La risposta fu ’scolta, dove xè  a merda xè i schei’. Questo rappresenta un po’ il pensiero della classe industriale veneta. Gente che veniva dalla miseria più totale e fino a 50 anni fa non aveva niente. A differenza della Lombardia, dove c’è un’imprenditoria che ha obiettivi forse più alti, qui in Veneto è come se si fosse creata una borghesia che non ha bisogno di validarsi andando a teatro, frequentando il mondo dell’arte. Da una parte fa simpatia, ma dall’altro dice molto dei limiti di questa ricchezza. Certo poi non è che ci si può lamentare troppo. Si vive bene, i servizi funzionano. E anche una città come Padova offre dal punto di vista musicale, artistico, molto di più di città di pari dimensioni in altre zone d’Italia”. Erano sempre i Post Nebbia, nel primo disco, a cantare: “E’ destabilizzante realizzare, che forse non si sta poi così male”. Ma com’è stata plasmata la regione da quindici anni di regno di Luca Zaia? “Io credo che sia stato molto intelligente. Il Veneto è una regione democristiana. Non è che se arrivi a prendere il 74 per cento vuol dire che il 74 per cento dei veneti è di destra. In più essendo liberale su alcuni temi ha sottratto voti alla sinistra, che oramai non pensa più ai lavoratori ma si occupa solo di diritti civili”, racconta Corbellini, che da un paio di anni si è trasferito a Torino. Anche la retorica della resistenza al ritorno dei fascismi, il leader dei Post Nebbia non se la beve. “Mi sembra che questa destra sia più diplomatica di quanto ci si aspettasse. Poi certo, sono anche convinto che esporsi pubblicamente sia utile fino a un certo punto. Lo farei se vedessi all’orizzonte un pericolo vero. Anche se questa è l’epoca in cui ti viene mostrato solo quello che già ti interessa”. 


“Pista nera” come racconto della montagna: “Solo chi viene dalla città ha una visione romantica. I montanari spianerebbero tutto”


Quando oramai inizia a farsi buio e una lieve pioggerellina bagna l’aperitivo, chiediamo a Corbellini come s’informi lui che nella canzone Kent Brockman, citando il mezzobusto dei Simpson, descrive in maniera impietosa l’informazione televisiva italiana. “Ho quest’abitudine di guardare i telegiornali mentre pranzo. Forse dovrei smettere”. Sul rapporto con la tv e col trash insisteva il secondo disco “Canale Paesaggi”, uscito poco prima della pandemia. In “Luminosità alta” canta “la pubblicità di una macchina vuole insegnarmi a vivere. Sembra che vogliano vendermi il segreto della felicità”. “La mia non è tanto una critica quanto un’osservazione. Credo che sui media italiani si segua un metodo asettico che però, forse, toglie l’empatia rispetto alle storie che vengono raccontate. Più in generale mi piacciono molto i documentari di Adam Curtis della Bbc sulla dissoluzione dell’Unione sovietica”. Tra le altre letture che cita c’è Infinite Jest di David Foster Wallace, “mi ha devastato e per un po’ non ho letto più nulla”.

 

Prima di salutarci, in uno dei pochi giorni di pausa di un tour che si protrarrà per tutta l’estate in tutta Italia, chiediamo cosa ne pensi un venticinquenne dichiaratamente di sinistra, che fa musica in Italia, dell’ossessione per il politicamente corretto? “Tutte queste politiche per prevenire i discorsi di odio quando le piattaforme fanno un po’ quello che vogliono le trovo ridicole. In generale non sono contro la messa in discussione di una certa cultura. Ma riconosco che le politiche delle big company siano dettate per lo più dall’esigenza di prevenire cause legali. Ho visto il documentario che ha fatto la Disney sui Beatles, hanno inserito persino un disclaimer sul fumo. Credo sia esagerato”. Non ci resta che tuffarci nel quartiere che ha fatto da sfondo alle loro canzoni. Percorrendo viale Santissima Trinità, che finisce sull’omonima parrocchia, sembra davvero di figurarsi la scena: “Ci sono i vecchi con le candele e tu non puoi scappare dai valori della comunità. Arriva un pullman di calabresi, qualcuno ha visto Gesù dentro al parcheggio della pizzeria. Ti senti nudo senza la croce io muoio dentro ogni volta che cerco di capire cosa sono. Sono un maiale con la carota appesa in fronte al suo naso, per vivere basta una prospettiva”. Poche ore prima erano stati almeno in 500 a cantarlo. Solo a pochi chilometri da qui.

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  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.