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(foto Ansa)
la 75esima edizione della kermesse
Se Sanremo fosse solo le voci e le canzoni
Le vere incognite stanno nel gran contorno, tanto più adesso, con la venerabile manifestazione che passa al filtro dei social. Una guida intanto ai trenta meno uno che rimetteranno in scena lo psicodramma chiamato Festival
Festival, festival, festival. Lo sappiamo: le vere incognite non stanno nelle canzoni o nelle performance, ma nel gran contorno, che di anno in anno è una commedia dell’arte capace di rinnovarsi nelle invenzioni e di deflagrare nelle gaffes. Figuriamoci adesso, che una consistente percentuale del pubblico assisterà alla venerabile manifestazione attraverso il filtro dei social, incaricati di registrare le turbolenze, le tendenze, i venti di approvazione o di antipatia, o soprattutto le insofferenze telluriche verso chi si renderà protagonista di chissà cosa. Ma in mezzo, appunto, si canta, a tappeto, per una settimana, in una Babele di voci, esecuzioni, inediti e cover, ospiti, duetti, presentatori, featuring, partecipazioni, improvvisate. La barra della gestione-Conti è sistemata rigorosamente al centro, con la precisa volontà di non scontentare, non offendere (l’editto: rapper sì, ma solo se faranno i bravi), offrire a tutti motivi sufficienti per assistere e per resistere il più a lungo possibile alla kermesse. Pronostici inutili, ma poi davvero conta granché chi vince? O forse la lezione appena imposta al mondo da Kanye West e dalla consorte nuda ai Grammys, capaci di sbaragliare gli ascolti con un culo, anziché con una canzone, ancora non ci ha insegnato niente? Loro, comunque, cantano. In trenta, meno uno, rimettono in scena lo psicodramma chiamato missione-Festival. Dopo il quale, si dicono convinti, che niente sarà come prima. E noi seguiamoli, almeno con la coda dell’occhio.
ACHILLE LAURO: “Incoscienti giovani”
L’uomo che chiama “Senato” il suo pubblico è ormai un veterano sanremese alla quarta partecipazione, a partire dal 2019 con la “Rolls Royce” che fece girare la testa ai cacciatori di sensazioni (senza contare l’anno in cui mise in scena quei tableaux vivant, al culmine del suo delirio decadente). Stavolta si presenta ripulito nel look e con un’attitudine che sfiora perfino allusioni culturali, dribblando i gossip trash e dopo una partecipazione a X-Factor di cui è stato la novità più brillante. Se il remake funziona, Achille da qui potrebbe imboccare una nuova vita artistica tutt’altro che prevedibile.
BRESH: “La Tana del granchio”
Ventottenne venuto su nell’area di Genova, è uno dei veterani, anche se tra i meno emersi, della solida e rispettata scena del rap genovese, che da oltre un quarto di secolo prosegue il proprio coerente percorso (Tedua, Izi). A Sanremo arriva con una ballata che sarà sicuramente scarna e senza orpelli, come la musica che lui ha prodotto fin qui, nella logica autarchica e intransigente delle proprie radici artistiche. Con sullo sfondo la silhouette del padre fondatore di tutti coloro che fanno musica seriamente da quelle parti, il beneamato Fabrizio De André.
BRUNORI SAS: “L’Albero delle noci”
Calabrese, esordiente a dispetto delle 47 primavere, titolare di un solido culto di ammiratori della sua scrittura ironica, pungente e sempre dentro le cose della vita nell’Italia di oggi. Brunori punta forte sul 2025: nei giorni di Sanremo pubblica il suo nuovo album, realizzato in stretta collaborazione con uno bravo come Riccardo Sinigallia e poi ha in programma due notti rispettivamente al Circo Massimo di Roma e all’Arena di Verona che hanno tutta l’aria della consacrazione definitiva come membro del gruppo di testa del nostro cantautorato.
CLARA: “Febbre”
Varesina, 25enne, nel 2023 ha vinto Sanremo Giovani con “Boulevard”, partecipando alla scorsa edizione di Sanremo con “Diamanti Grezzi”, finita solo 24esima. In catalogo ha qualche altro singolo, ma la sua popolarità è legata all’interpretazione di Giulia Crazy J, detenuta con la passione del rap, nella serie Rai “Mare Fuori”, prediletta dai ragazzi italiani. Poi è modella, testimonial di brand di intimo e presenza social, in diligente adesione al canone dei personaggi pubblici anni Venti. Gruppone dal quale, a dispetto di una bellezza non comune, per ora fatica a distinguersi.
COMA COSE: “Cuoricini”
Terzo Sanremo per i milanesi Coma Cose che prima si facevano chiamare rispettivamente Edipo e California, fanno coppia fissa anche nella vita, si mandano messaggi nelle loro canzoni e ormai sono un duo da quasi dieci anni. Ci hanno messo un po’ ma alla fine Fausto e Francesca sono riusciti a trovare un posto fisso nel gradimento dei ventenni, perché quasi sempre i loro pezzi funzionano, la chimica non difetta mai e hanno un modo di presentarsi stiloso e disincantato che contribuisce a far loro prendere anche il Festival per il verso giusto.
ELODIE: “Dimenticarsi alle 7”
Quarto Sanremo anche per Elodie, recente protagonista di una prodigiosa scalata nel gusto del pubblico mainstream, che la prossima estate arriverà a spalancarle le porte di San Siro e dello stadio Maradona di Napoli. In sostanza ha fatto definitivamente presa la sua capacità di gestire con sapienza un’immagine che assortisce un sex appeal deciso e sfrontato, una seria disciplina del lavoro, una vita vissuta pericolosamente e l’intenzione di non adombrare più le proprie ambizioni, offrendosi come modello di ruolo per migliaia di ragazze che sognano un giorno di diventare Elodie.
FEDEZ: “Battito”
Pietra di tutti gli scandali della parte bassina del pop italiano, Fedez cala su Sanremo con un problema serio da risolvere (e lui coi problemi ci litiga più che risolverli): come fare in modo che il suo passaggio al Festival sia soltanto un evento musicale, al tempo stesso cavalcando e controllando l’onda gossip che lo seguirà minuto per minuto. Servirà un team di professionisti di livello a condurre in porto degnamente l’opera, sempre che lui si assoggetti alla regola, cosa che di recente spesso non gli è andata affatto. Nel Festival sarà il suo terreno di gioco, o di autodistruzione.
FRANCESCA MICHELIN: “Fango in Paradiso”
A un passo dai trent’anni Francesca torna per la terza volta al Festival portandosi dietro la fastidiosa etichetta di talentuosa eterna incompiuta. Eppure qualità e pedigree della ragazza di Bassano sono di ottima fattura: un trionfale debutto a X-Factor, di cui poi sarebbe divenuta affettuosa conduttrice, un’attività musicale frenetica, contraddistinta soprattutto da collaborazioni di ogni genere, continuamente richiesta dai colleghi per il motivo più elementare: ha una gran voce e sa usarla bene. Se solo il suo personaggio riuscisse a bucare quel velo di ritrosia che l’avvolge…
FRANCESCO GABBANI: “Viva la vita”
Il 42enne toscano Gabbani è uno che a Sanremo vince: gli è successo tra le Nuove Proposte nel 2016 con “Amen” e di nuovo l’anno successivo tra i Big, con il tormentone “Occidentali’s Karma”. Lui dice che è perché partecipa solo quando ha la canzone giusta, insomma con il colpo in canna, ostentando il pragmatismo del personaggio che non s’è mai tolto di dosso l’aplomb da intrattenitore da serata estiva sul litorale: uno che sa come si fa e vale il prezzo del biglietto. Anche se quell’aura speciale che hanno in dono le vere stelle, lui la conosce, l’intuisce, ma non la possiede.
GAIA: “Chiamo io chiami tu”
Prodotto confacente del marketing musicale anni Venti, Gaia Gozzi, 27enne emiliana di Guastalla, ha percorso tutte le strade disponibili per fare della musica pop una carriera: otto anni fa era sul palco di X-Factor, poi ha tentato con “Amici” e qui ha trionfato, nel ‘21 ha debuttato a Sanremo e nel frattempo ha fatto da vocalist in un bel po’ di produzioni. Quisquilie di fronte alla vera fonte della sua celebrità: è lei a duettare con Tony Effe in “Sesso e Samba” il pezzo che ha posto tanti problemi di coscienza agli intellettuali italiani. Da lì al paradiso, il passo è breve.
GIORGIA: “La cura per me”
Qualche romano avanti con l’età Giorgia la ricorderà pischella, quando cantava nell’onesta formazione di r’n’b del padre. S’era all’imbocco dei favolosi Novanta, a metà dei quali Giorgia è già una star che stravince Sanremo cantando a ugola spianata “Come saprei”. Da lì, una carriera di primo piano, grandi piazzamenti al festival, 10 milioni di dischi venduti, un certo mercato all’estero. Fino a una dignitosa mezz’età, entrando nella quale Giorgia ha l’umiltà di rimettersi in gioco da host di X-Factor. Continuando a stendere tutti, ogni volta che si trattava di intavolare un gorgheggio.
IRAMA: “Lentamente”
Concittadino di Gabbani (entrambi carraresi) Irama è un altro di quelli che sa cosa sia la gavetta, che poi, in chiave contemporanea e nazionale, si traduce in onorevoli partecipazioni a Sanremo Giovani, ad “Amici”, arrivando fino allo status di habitué di Sanremo, di cui calca il palcoscenico per la quinta volta. Anche per lui vale la ricetta del fritto misto, che include pop leggero, gocce di trap e rap, ritmi all’ultima moda, latini inclusi. La formula funziona: certi suoi brani superano i 100 milioni di streaming, anzi sembrano fatti della materia stessa che ha generato lo streaming.
JOAN THIELE: “Eco”
Provenienza tutta diversa per Alexandra Joan, 29enne da Desenzano, con trascorsi da musicista di strada e ascendenze colombiane per parte di padre. Ha girato l’Europa con la sua chitarra e ha intinto i panni nella musica alternativa, prima di rientrare in patria e finire sotto l’ala produttiva di uno in gamba come Mace, collaborando anche col grande Venerus. Al debutto a Sanremo ha però già in bacheca un alloro importante come il David di Donatello 2023 per la migliore canzone originale, “Proiettili”, scritta per la pellicola “Ti mangio il cuore”, una storia di mafia diretta di Pippo Mezzapesa.
LUCIO CORSI: “Volevo essere un duro”
Lucio, personaggio di culto della nostra buona musica indie, è di quelli che sul serio rischiano di approfittare di Sanremo per incrinare il soffitto di cristallo che fin qui ha ingabbiato la sua carriera. I suoi tre album sono ricchi di pezzi pregevoli e di vocalità originale, magari quando non cade troppo in un menestrellismo alla Branduardi (e quel duetto con Topo Gigio nella serata delle cover ci incute un certo timore). Piacerà a chi guarda Sanremo di traverso e cerca disperatamente un appiglio per ribadire la propria diversità, dietro la quale continuare a covare illusioni.
MARCELLA BELLA: “Pelle diamante”
Gran faraona, dopo essere stata ingiustamente bersaglio dai persecutori della sana canzone italiana, quella verace e senza pretese, Marcella torna a Sanremo nei panni della nonna graffiante, diciannove anni dopo l’ultima volta. Altro che talent show: lei, catanese purosangue, viene dal Festival degli sconosciuti di Ariccia, scoperta da Teddy Reno, in quell’altra Italia in cui si cantava di “Montagne verdi”. Nel ricordo di Gianni Bella, talentuoso fratello e compositore, sarà commovente vederla salire per la decima volta su un palco che conosce a menadito e che saprà come domare.
MASSIMO RANIERI: “Tra le mani un cuore”
Dall’uber-ecumenico Carlo Conti, Massimo è stato convocato, insieme a Marcella, a incarnare la continuità e il riconoscimento per il pubblico avvinto ai leggendari show del sabato sera. Con Al Bano e Morandi, Ranieri è il superstite d’una vecchia guardia professionale, competente e umile. Ha tatuati nelle corde vocali i segni d’un paese cresciuto insieme alle sue melodie e va accolto con la devozione dovuta ai guru assoluti. Era già qui a 17 anni, quando c’erano Modugno e Tony Renis, ha fatto otto festival e ne ha vinto uno con “Perdere l’amore”, canzone che non si discute, ma si ama.
MODA’: “Non ti dimentico”
Band-delfino, capace d’inabissarsi e periodicamente riemergere, di solito in coincidenza con una nuova edizione del festival. Hanno esordito tra i Giovani vent’anni fa e adesso tornano in gara tra i Big per la quarta volta, sempre agli ordini del vocalist-leader Kekko Silvestre, con un nuovo album pronto e – anche loro – con una serata a San Siro pronta sbigliettare. Modà è sempre rock supermelodico, che per alcuni di noi è arsenico puro, ma continua ad avere romantici estimatori, disseminati tra gli autogrill di provincia e le metropolitane della mattina presto.
NOEMI: “Se t’innamori muori”
Correva il lontano 2008 quando Noemi, ex cantante-bambina, partecipava all’edizione numero 2 di X-Factor, facendo una discreta strada, ma senza arrivare in fondo. Eppure Noemi è una delle poche voci uscite dal talent più amato dagli italiani che abbia saputo costruirsi una carriera solida, collocata nella fascia mediana della canzone popolare, orecchiabile e appena un po’ moderna. Per lei Sanremo è il salotto di casa, giunta all’ottava partecipazione, stavolta col conforto di avere in tasca un pezzo scritto da Mahmood e Blanco, due che il Festival hanno saputo metterlo al guinzaglio.
OLLY: “Balorda nostalgia”
Altro rapper di scuola genovese, come il collega Bresh, ma con corredo di studi seri al Conservatorio. Solita trafila: Sanremo Giovani e una partecipazione ai Big del Festival 2023 che ha lasciato il segno con il pezzo “Polvere”. Poi, anche per lui, come ormai tendenza conclamata, un progressivo slittamento dal rap verso un cantautorato piuttosto intimista, malinconico e radiofonico, coinciso col trasferimento a Milano. Personaggio di nicchia, ma con un bel seguito nella fascia dei ventenni, che gli permette di programmare agevolmente un imminente tour nei palasport.
RKOMI: “Il ritmo delle cose”
Il trentenne milanese Mirko Martorana è un grosso calibro della nostra scena rap commerciale, quella che tiene presente i parametri di presentabilità dei contenuti per non incorrere in scomuniche d’alcun genere. Nell’ambiente ha mantenuto intatta la propria reputazione, anche all’indomani della partecipazione a un’edizione di X-Factor nelle vesti di giudice, e questa è per lui il secondo Sanremo, mentre procede la sua evoluzione musicale in direzione indie-funk. Una mutazione che non incide sul personaggio di ruvido e spontaneo figlio della periferia, cresciuto facendo i mestieri più umili.
ROCCO HUNT: “Mille vote ancora”
Ha trent’anni anche Rocco, l’ex-ragazzo prodigio del rap napoletano che undici anni fa cominciava a costruirsi una carriera vincendo la categoria Nuove Proposte del Festival 2014. Nel frattempo è divenuto uno dei padrini accertati della ricca scena napoletana, riuscendo a convivere agevolmente con l’avvento di celebrati campioni locali come Geolier e Capoplaza, mantenendo un rispettabile equilibrio tra street credibility e palese dimensione commerciale, messa in musica collaborando ecumenicamente con Gigi D’Alessio, Elettra Lamborghini o Clementino.
ROSE VILLAIN: “Fuorilegge”
E’ straordinaria la credibilità che Rosa Luini, la milanese 35enne tornata dalla California per reinventare Milangeles, s’è assicurata nel lasso di tempo trascorso dall’ultimo Festival. La sua figura poteva sembrare artefatta e costruita, ma poco alla volta s’è rivelata frutto d’una materia estranea alla casistica discografica nostrana, ma coerente col canone con cui si costruiscono le star in America. Torna all’Ariston con gli astri dalla sua parte, reduce da un’estate nella quale ha aperto i concerti italiani dei Coldplay, proponendo al pubblico un personaggio atipico, spiritoso e ovviamente sexy.
SARAH TOSCANO: “Amarcord”
Diciannovenne di Vigevano proveniente da un sentiero ormai frequentatissimo: vincitrice di Amici 2023, da quel momento onnipresente nelle rassegne di lancio dei nuovi talenti, oggetto del lavoro di un nutrito team produttivo (sono sette le firme sotto il brano con cui partecipa al Festival). Dice che il suo modello è Dua Lipa e il suo suono per ora va in quella direzione, nell’attesa di trovare un’auspicabile definizione personale. Per ora ha solo una dimensione radiofonica ma è giovanissima e, come chiunque esca dal laboratorio-talent, il suo destino pare legato alle scelte di chi la produce.
SERENA BRANCALE: “Anema e core”
Barese, 35enne, è l’unica vera musicista di estrazione jazz-funk che partecipi a Sanremo 75, con all’attivo collaborazioni con Mario Biondi, Willie Peyote ed Enzo Gragnaniello. Ha una seria cultura musicale, fatta di conservatorio e polistrumentismo e una gran voce che declina usando con disinvoltura anche il dialetto della sua città. All’attivo ha un Sanremo Giovani di dieci anni fa, quando alla guida, guarda caso, c’era di nuovo Carlo Conti, che evidentemente crede in lei al punto da riproporla. Candidata ai riconoscimenti qualitativi, può farsi largo nella scena del pop sofisticato.
SHABLO FEAT. GUÈ, JOSHUA, TORMENTO: “La mia parola“
Shablo, argentino, 44 anni, è un veterano della scena hip hop, dj, produttore e collaboratore storico del Club Dogo. Arriva scortato da due glorie consacrate del rap milanese come Gué Pequeno e Tormento dei Sottotono e da un giovane rampante come Joshua in rappresentanza della new generation. Sarà ovviamente l’occasione di celebrare il suono e lo stile dell’old school, con un pezzo in cui riaffiora il ritratto della metropoli grigia e dura, per le strade della quale solo la comunanza e la condivisione della parola ritmata possono salvarti. Un invito a nozze per gli inguaribili nostalgici.
SIMONE CRISTICCHI: “Quando sarai piccola”
Personaggio storicamente “laterale” della nostra scena, col suo gusto per gli sconfinamenti nel teatro e nella scrittura. 47enne, romano del Tuscolano, vince Sanremo nel 2007 con “Ti regalerò una rosa” e sembra destinato alla serie-A cantautorale, salvo sfilarsi da un ambiente di cui non riesce a far propri tanti meccanismi commerciali e promozionali. Simone si sente più a suo agio sul palco del 1° maggio che su quello dell’Ariston, che comunque quest’anno torna a calcare per la quinta volta, dichiarandosi rappresentante della “riserva indiana” della musica italiana.
THE KOLORS: “Tu con chi fai l’amore”
I napoletani Kolors ci hanno impiegato tempo ad acquisire credibilità come esponenti di un genere che da noi era popolarissimo nel Novecento ed è atipico oggi: il puro gruppo pop. Loro lo sono nel modo migliore, testimonianza ne sia la cassa dritta di Ibiza quanto la sfilza di tormentoni di cui sono titolari. E poi Stash, il vocalist, è un tipo straordinario, con una gran faccia e l’allure della popstar naturale. Il bello è che anche loro arrivano da “Amici”, vinto alla grande nel 2015, confermando il dato che Maria De Filippi sta alla nostra discografia, come Brian Epstein ai Beatles.
TONY EFFE: “Damme ’na mano”
Dalla Dark Polo Gang al contro-concerto al Palazzo dello Sport a Capodanno, Tony Effe è stato un protagonista trasversale di un decennio della scena creativa italiana, quella che rifiuta di farsi domare e insiste, nel suo caso anche a trent’anni suonati, a veicolare contenuti giudicati “impresentabili”. Il fatto è che lui continua a dimostrarsi più forte delle critiche che vogliono smentirlo, sa farsi amare e quel che la sua voce roca pronuncia nei rap viene capito da un sacco di ragazzi. Perciò siamo di fronte all’incarnazione della polemica, pura materia prima sanremese.
WILLIE PEYOTE: “Grazie ma no grazie”
Il quarantenne torinese Willie invece è l’emblema del rap presentabile, a sua volta spesso scomodo e “contro”. Al Festival è venuto quattro anni fa, vincendo il premio della Critica e in questo lasso di tempo ha rafforzato la reputazione di portatore di un ironico pensiero critico, in certi momenti perfino politico, o meglio post-politico, in controtendenza con un genere sovente incapace di modularsi. Intanto ha ampliato lo spettro espressivo, aggiungendo al rap tanto suono indie ed escursioni in territori diversi, compresa la letteratura classica, che l’ha spinto a ispirare questo brano al Cyrano de Bergerac.
EMIS KILLA: “Domani” (ritirato)
E, finalmente, il convitato di pietra di Sanremo 75, magnifico nel ribadire come il Festival sappia sempre essere magico specchio del nostro paese. E allora, nell’epoca del “passo indietro” rituale, il 35enne Emiliano da Vimercate ha annunciato il ritiro dalla manifestazione, a causa dei suoi presunti collegamenti con l’inchiesta sulle curve milanesi del calcio. A essere cattivi si spolvererà il famoso “si nota di più se vado o non vado”, d’altro canto c’è l’amarezza dei fans di quello che sarebbe stato il performer più estremo del Festival. Ciliegina? Rondodasosa, star di San Siro e cattivissimo conclamato, si è auto-annunciato come suo sostituto, ma difficilmente avrà il lasciapassare. Probabile si sia scordato di avvisare Carlo Conti, l’invincibile guardiano della potabilità del Festival.