sanremo 2025

Standing ovation e lacrime: l'onda emotiva (e la rivincita) di Cristicchi al Festival

Stefano Pistolini

La mamma anziana e malata, che non ci sta con la testa ma che è lì a rappresentare la tua storia, offrendoti di specchiarti in lei, è un tema che ha presa immediata, tocca corde sensibili, provoca tremiti di dolore e tenerezza

Il caso Cristicchi è una delle cose interessanti emerse da un’edizione del Festival improntata alla disciplina fino ad apparire narcotizzata, cristallizzata nella rappresentazione tutta estetica, con appiccicose venature di volemose bene (e dunque una narrazione distopica della nostra Italia, dilaniata tra ciò che si vede al Festival, e ciò che si percepisce là fuori, per strada). 
Dicevamo Cristicchi: personaggio a sé nel panorama italiano, anche solo quello cantautorale, nell’ambito dei quale ha debuttato salvo poi sfilarsi dal gruppo, isolarsi in una sfera personale, vagamente sdegnosa, votata a utilizzare linguaggi altri oltre la canzone, letteratura e teatro (uno spettacolo su San Francesco, ad esempio), dichiarandosi avulso allo scenario nazionale del momento.

Eppure, a fianco al rigore a cui Cristicchi ha voluto ispirare la propria produzione, il rapporto col Festival di Sanremo per lui è stato intenso e foriero di risultati: nel 2006 arriva secondo nella categoria Giovani, salvo l’anno successivo vincere a sorpresa il vero Festival con “Ti regalerò una rosa”, in quella che sembra di una consacrazione popolare che invece non arriva mai, sebbene gli capiti a più riprese di frequentare Sanremo. Quest’anno finalmente il ritorno in stile con “Quando sarai piccola”, pezzo dedicato alla madre malata di Alzheimer, e stavolta succede qualcosa: fin dalla prima esecuzione la reazione in platea, in sala stampa e, s’immagina, anche dei telespettatori a casa, è di estrema commozione, al limite del turbamento collettivo, tra standing ovation, lacrime, emozione e partecipazione condivisa.

La mamma anziana e malata, che non ci sta con la testa ma che è lì a rappresentare la tua storia, offrendoti di specchiarti in lei, è un tema che ha presa immediata, tocca corde sensibili, provoca tremiti di dolore e tenerezza. Il tutto, inquadrato nella scatola tv, sullo shining floor del festival, nella gara, nelle conferenze stampa di presentazione, nelle chiamate dei presentatori consenzienti, assume però un riflesso radente, strano. 

Assodato che quello di Carlo Conti è il Festival del consenso e della buona condotta, dove viene esposta la mercanzia migliore del sentimentalismo italiano, il canto della mamma intonato dall’artista che fa ritiri in convento e gira per le Rsa in cerca d’ispirazione per i suoi spettacoli sulla Seconda guerra mondiale (“Mi è rimasto l’odore di mele cotte” dice in un’intervista) mette in rima rituali privati – “Se ti chiederai il perché di quell’anello al dito / ti dirò di mio padre ovvero tuo marito/ Ti insegnerò a stare in piedi da sola / a ritrovare la strada di casa / Ti ripeterò il mio nome mille volte perché tanto te lo scorderai” – fissandoli in una canzone messa in concorso con altre che parlano d’amore, abbandoni e reggaeton. La sensazione è di un’irruzione nel sacro, dagli effetti imprevedibili, imprevedibili quanto quelli provocati dalle smargiassate di un trapper a passeggio per l’hinterland. Eppure Cristicchi s’è messo d’impegno a portare avanti la sfida: la canzone, scritta cinque anni fa e più volte rimodellata, l’aveva già presentata ad Amadeus per una precedente edizione del Festival, ma era stata rifiutata. E adesso lui assapora la rivincita, dichiarando ai cronisti che è meglio così, perché nei festival del precedente direttore artistico si sarebbe sentito a disagio e fuori luogo. 

E qui, ripensando alle scalmanate ovazioni che adesso accolgono le sue apparizioni, il sospetto può tradursi in dispetto, perché il concetto suggerito è di un primato – etico? artistico? – che Cristicchi si sente riconosciuto nell’alveo dell’ecumenico Festival 2025. E in tutto questo distinguere, nel definire la parte dei buoni e dei giusti, nel sottoporre la povera musica leggera italiana a uno screening di nuova pulizia, a cui ascriviamo anche la frenesia con cui viene accolta la ballata della mamma malata, c’è il sapore acido di questo festival, la sensazione di una sua adesione a un invisibile, magari confusionario progetto. E così finiamo per vedere dei mostri annidati perfino nei capelli crespi di Cristicchi. Che, poveraccio, una volta tanto si gode un successo come si deve: lui, da lustri condannato a essere il fine dicitore di cui s’accorgono soltanto quelli della critica.

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