l'Intervista

Con il suo nuovo disco, "Acqua santa", Francesco Di Bella racconta l'amore in salita

Umberto Saba, Bob Dylan, Napoli "senza sambuca", oltre le cartoline e gli influencer. Con quest'album mi sono liberato dalla paura di sembrare retorico. Lo spirito di sacrificio, la speranza e la carità sono valori considerati da deboli. È un bavaglio. Ed è giusto toglierselo”

Enrico Cicchetti

Ai tempi dei Liberato al Circo Massimo, dei Clementino a X Factor, dei Rocco Hunt a Sanremo e dei Geolier che il festival (quasi) lo vincono, cantare in napoletano non è segno di particolare coraggio. Lo è forse di più se non fai rap e può diventare persino rivoluzionario a cantarci “un disco d'orchestra che gira che gira e che parla d'amore”. A patto che sia amore fuori dai luoghi comuni. Amore singolare e collettivo. Amore terreno e atto di fede. “‘Na sagliuta appesa / Ca te spezza ‘o core”, una salita ripida che ti spezza il cuore. Faticoso e vero.

 

Acqua Santa è il nuovo album di Francesco Di Bella, è uscito l'ultimo giorno del 2024, a sette anni dal precedente O' Diavolo. “Alla mia età ci metto di più a metabolizzare, come dopo una sbornia”, scherza lui che, nei primi anni Novanta, ha fondato i 24 Grana, capaci di fondere dub e trip hop a una poetica fresca e intima. Dal diavolo all'acqua santa, ma non era tutto calcolato: “E’ stata una riflessione consequenziale”, sostiene Di Bella. “Con l'ultimo disco ero soddisfatto di avere raccontato le cose che ci dividono. Ora invece volevo raccontare i valori che ci uniscono. Dopo avere distrutto, ricostruire”. L’hanno aiutato, dice, la lettura di Umberto Saba, il poeta della quotidianità e del semplice, e i laboratori di songwriting che ha curato, una “palestra nella quale incontrarsi”. E negli ultimi dieci anni, aggiunge, anche Bob Dylan, “un mix inarrivabile di musica e letteratura. Il film con Chalamet? Mi è piaciuto anche se è una sorta di teen movie, un Giulietta + Romeo dove Romeo è uno stronzo”.

  

   

Dall’impegno all’amore, qualcuno direbbe che è il riflusso nel privato di Di Bella. “Uso la mia esperienza privata come una prova: mi aiuta a non dipingere scenari poco veritieri. Con questo disco mi sono liberato dalla paura di sembrare retorico. In una società narcisista, ci sono valori considerati da deboli: lo spirito di sacrificio, la speranza e la carità. E’ un bavaglio. Ed è giusto toglierselo”. In uno dei brani più rappresentativi, Stella che brucia, con Colapesce, racconta il sapere affrontare la fatica, “il capire che gli obiettivi sono sempre più alti di quello che ci potevamo immaginare. Vedi? Non è debolezza, ma è un enorme atto di coraggio”.

  

  

Poi c'è anche l'amore per la propria città. L’album infatti si apre con Che ‘a fa?, in cui Francesco e Alice dei Thru Collected - perfetta rappresentante di quella GenZ “che non è un monolite come si raccontano certi adulti, più intenti a preoccuparsi di loro che a occuparsene”, e che poi è la generazione dei suoi due figli adolescenti - dipingono la loro Napoli, affascinante e bugiarda. “Mi è sempre piaciuto raccontarla con le spalle al mare, perché altrimenti il panorama la chiude in un cliché. Di Napoli è facile esaltare le cose più vendibili e spendibili, ma si nascondono le verità, come una sambuca aggiunta per nascondere il caffè bruciato. Verità più amare, anche, ma fatte di gente semplice che vive una vita non proiettata al folklore. Quelle di una città italiana ed europea, lontana dalla celebrazione superficiale. Dove non tutto è overtourism e Maradona”. Per andare oltre la cartolina e Gomorra, oltre gli influencer sulla neve o tra i fornelli. Come fa nel brano che chiude il disco, l'omonimo Acqua santa, “che trae spunto dai canti devozionali della tradizione campana, li fa propri e li trasforma”. Acqua santa, sì, ma controcorrente.
 

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  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti