
Angela Baraldi (Ansa)
Dalla musica al cinema e viceversa
“3021” di Angela Baraldi è un antidoto al calderone del pop italiano
Confinata nel limbo della "qualità per pochi", come tanti altri bravi artisti, la cantautrice bolognese, ha cercato di scovare da sola una via d'uscita, sconfinando con successo nel cinema. Questo ha circoscritto il suo personaggio in un'aura di appartata rispettabilità
Strani sviluppi, dopo il passaggio di Giorgia a Sanremo 2025. Invocata come favoritissima, infine dichiarata vincitrice morale, salutata da un plauso critico addirittura superiore a tutto ciò che l’aveva preceduto, quasi che qualche congiunzione astrale o vocale abbia generato un’ammirazione incondizionata e unanime per questa veterana della scena, fin qui considerata tecnicamente ineccepibile ma sprovvista della comunicativa della diva tout court. Così, nell’anno dell’imbarazzante podio tutto maschile al Festival, si sono spese riflessioni sulla diversa considerazione di cui gode la maggioranza delle interpreti femminili uscite, per motivi anagrafici, dalla sfera della seduzione, zona in cui oggi regnano figure come Elodie o Rose Villain. Insomma è difficile fare le cantanti attempate – appunto se non sei Giorgia, o non brilli come Elisa – nel volubile calderone del pop italiano del momento, dove prestigio e percorso creativo sono parametri deboli, al confronto coi valori del nuovissimo mercato. Eppure anche in questo quadrante ci sono figure da seguire, che col tempo acquisiscono spessore, a patto di avere la curiosità d’osservarle da vicino. Esempio: Angela Baraldi, neosessantenne bolognese, che ha il dono spontaneo di sembrare un’eterna ragazza.
Lei non rispetta il tipico canone gestatorio dei cantautori, piuttosto viene a galla nel momento in cui nella sua città esplode la scena del nuovissimo rock anni Ottanta, dissacrante, futuribile e super indipendente. Muove i primi passi mescolandosi ai discoli dell’Italian Records, facendo esperienze in gruppi effimeri ma luminosi, come Hi-Fi Brothers e The Stupid Set. E, dal momento che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino, di lei s’accorgono subito i venerabili della florida scena cittadina, a cominciare da Lucio Dalla, che la prende sotto la sua ala protettiva. A vent’anni è facile: con una faccia da schiaffi e la disinvoltura di chi sente d’avere un dono naturale, Angela incarna la versione canterina della “ragazza di tutti” per i migliori talenti in città, virando presto verso le produzioni professionali, chiamata come corista da Morandi, Carboni, Bersani, Ron e gli Stadio. Al tempo stesso, inaugura la propria carriera solistica, cominciando a produrre album a suo nome e questo diventa il momento clou della sua parabola. Perché il talento c’è, la voce pure e il personaggio non difetta d’intensità. Anche la scrittura è rispettabile e gode sovente del conforto dei migliori (nel ’96, ad esempio, De Gregori le affida un suo pezzo, “Dammi da mangiare”, per il terzo album). Però le cose non vanno mai veramente come dovrebbero, o non lo fanno fino in fondo, e la Baraldi finisce confinata nel limbo della “qualità per pochi”, che spesso diviene la gabbia senza vie di fuga di tanti bravi artisti.
L’antidoto però Angela se lo scova da sola, nel settore limitrofo al suo, sconfinando con successo nel cinema: la sceglie Campiotti per “Come due coccodrilli”, poi è una presenza logica nella trasposizione cinematografica di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” e Salvatores ne fa la protagonista del suo “Quo vadis, baby?” (del cui cast farà parte anche nella versione seriale in tv). Con la musica non smette, ma questa intermittenza, messa insieme al tempo che passa, finisce per circoscrivere il suo personaggio in un’aura di appartata rispettabilità. Una decina d’anni fa poi, la collaborazione con Massimo Zamboni, ex Cccp e Csi, la riavvicina ai suoni intransigenti degli esordi, quando ancora per la band di Giovanni Lindo Ferretti non s’immaginava il secondo folgorante atto nel pieno degli anni Venti. E anche Angela ha la forza di non staccare la spina con la musica, con un approccio che non tradisce mai la coerenza: di recente apre i concerti del tour di Francesco De Gregori ed è questi a invitarla nella sua etichetta Caravan per “3021”, ottavo album della sua produzione solista e a otto anni dall’ultima uscita. E’ un disco interessante e atipico per gli scenari del presente: brevissimo, solo otto brani, sotto la mezz’ora di durata. Un suono snello, minimale ma deciso, grazie alla produzione di Ale Sportelli, già all’opera con Baustelle, Prozac+ e Diaframma.
L’effetto è una collocazione di Angela nelle fondamenta del suono alternativo italiano, quello disinteressato ai tracciati d’avanguardia, ma capace di usare con efficacia gli strumenti di cui dispone. I pezzi di “3021” (titolo che equivale a un punto di vista mille anni dopo la pandemia) sono ballate tese, complementari tra loro, che non hanno la pretesa di comporre un progetto unitario, ma sembrano piuttosto episodi d’un libro di racconti. Un nome che s’accosta all’ispirazione della Baraldi? Certamente Nada, dotata della stessa spigolosa intimità. In questo lavoro manca il pezzo memorabile, ma lo standard è alto, e l’asciutta competenza degli svolgimenti costituisce un sollievo dall’imperante intossicazione dei generi stereotipati. Senza fronzoli Angela suona in un modo nel quale può capitare d’identificarsi. E qui potrebbe aprirsi un discorso sulla coerenza e sulla consapevolezza degli obbiettivi, ma ve lo risparmiamo. Diciamo solo che, fuori dal coro, ci sono diverse mature voci femminili italiane che vale la pena ascoltare. Anche solo per dare una scossa allo scatolone dei consumi, abituato com’è ad appiattirsi sul ritmo dettato dai “topic” digitali.