L'Intervista
I fantasmi di Dente e il potere terapeutico della musica
Il nuovo urgentissimo album, “Santa tenerezza”, e il mal d'amore come fucina di canzoni. L'Intelligenza artificiale ("Ma accanto le servirà sempre quella umana") e uno sguardo sul futuro. "È sano pensare di cambiare strada. Vent'anni fa facevo il magazziniere, oggi sono qui”
Il patrono dei cuori spezzati torna a colpire là dove fa più male: sotto il diaframma. Giuseppe Peveri alias Dente si aggira nel suo nuovo album, Santa Tenerezza, con l’aria di chi ha appena perso il “treno dei desideri”. Anzi, di chi ci è finito sotto ma ha ancora le forze per scriverci una canzone. Dieci tracce come altrettanti post-it lasciati sul frigo, tra giochi di parole e tastiere che sembrano uscite da una festa in maschera con Lucio Battisti e Ivan Graziani. Una doccia tiepida quando fuori piove e dentro pure: il potere terapeutico della musica. “L’ho sempre intesa così”, dice Dente al Foglio, “come valvola di sfogo per dire cose che non riesco a esprimere in altro modo”. L’album nasce in un lampo di ispirazione. “Ho scritto sei brani in dieci giorni. Parlano di una rottura, della ricerca di qualcuno che non ti vuole più. Una situazione nella quale sguazzo: se sono triste scrivo e quindi sono anche felice. Lo dico nel brano Senza di me: ‘Mi viene quasi da ridere / ma piango’. Ormai ho l’età per capire come funziona: mi sembra tutto semplice e lampante, so il perché di ciò che provo e mi dico ‘Sei proprio cretino a starci così male’”. Eccola, la terapia. Il suo non è mestiere, assicura: “C’è chi con la sola fantasia scrive storie struggenti, io devo attingere alla realtà”.
In questo album c’è dentro tutto il Dente-pensiero: la città che ci manda a letto (ma senza farci dormire), l’amore che evapora come uno spritz dimenticato sul tavolino, un bel po’ di salvifica ironia e quel pizzico di sconfitta elegante che lui sa indossare come una sciarpetta in primavera. Non si grida, si sussurra. Si balla poco, ma si ondeggia tanto. E ci sono anche parecchi fantasmi, quelli di amori perduti e inseguiti fra “i vicoli di Bologna / Anche se so che non ci vivi più / E ti cerco talmente tanto bene / Che quella di schiena mi sembravi tu”. “Mi piace l’idea degli spettri che ritornano”, approva Dente, “mi ricordano anche la copertina del disco: qualcosa di fantasmagorico, sfuggente e leggero che può svanire in un istante”. La cover ritrae una donna sospesa tra le nuvole, come se la fragilità fosse diventata finalmente degna di un’icona religiosa. Perché Santa Tenerezza non sta né in cielo né in terra. Sta tra le righe. E fa male con garbo. Se nello scorso disco l’illustrazione l’aveva realizzata Andrea Ucini, stavolta la firma Dente stesso, con l’aiuto dell’Intelligenza artificiale. “Ho giocato con l’AI e con la frase di un brano, ‘Vedo il tuo profilo in ogni nuvola’. Ma poi l’ho data a un grafico bravo, che l’ha messa a posto. L’AI è come la droga: ho paura che mi piaccia, perciò non mi avvicino troppo”, scherza. “Ci domandiamo se ci ruberà il lavoro: basterà non farci soggiogare ma integrarla. Servirà sempre l’intelligenza umana, accanto a quella artificiale. E poi non mi sento di fare la parte dell’anziano che schifa le innovazioni. Anche perché la storia ha dato torto a chi criticava la macchina da scrivere o il cilindro fonomeccanico”.
A proposito di vecchiaia, Dente ha detto a Rolling Stones che il suo “è un lavoro precario”. Mica penserà di fare come il suo collega Bugo, che lascia le scene? “Per adesso no. Bugo ha detto che le canzoni non gli vengono più, per me non è così. Ma mi chiedo se voglio continuare a fare dischi e tour per tutta la vita, valuto piani B e C... Non voglio aprire un bar, ma magari proseguire con la scrittura. È sano pensare di cambiare strada. Vent’anni fa facevo il magazziniere, oggi sono qui”, ride Dente, che parla di un romanzo che ha sulla punta delle dita, o forse no: gli appare solo in sogno. “Manca il tempo e il coraggio di cominciare. Mi hanno già proposto di scrivere, anche male, che poi ci avrebbe pensato un editing pesante a risistemare tutto. Mai!”. In fondo il problema, ammette Dente, è che tutti “vogliono fare gli scrittori. E infatti abbiamo troppi romanzi inutili”. Al contrario, il suo Favole per bambini molto stanchi, che fa dieci anni a giugno, è in ristampa. “Sono contento che il libro continui a funzionare. Anche lui è nato in una fiammata: 200 favole in una settimana”, dice Dente. Dietro Santa tenerezza, però, c'è anche una fase tecnica di registrazione, che non è stata “lampo”: “Lo abbiamo registrato a Milano da Federico Nardelli, in un mese e mezzo. Ci sono canzoni che Federico ha amplificato. Hey ha avuto tre arrangiamenti diversi: la prima versione era più Sanremese, un po’ pomposa, con una grande orchestrazione. Alla fine invece è svicolata verso l’indie americano, è entrato il clarinetto e ho sentito che questo era il suo vestito. Non c’è niente di giusto o sbagliato nella musica, solo le tue orecchie”.