Sanremo e ricotta

Le major discografiche, il bando del Festival e la miopia sanremese. Parla Enzo Mazza

Salvatore Merlo

Il Ceo della Fimi (Federazione industria musicale italiana): "Al Comune di Sanremo non capiscono nemmeno cos’è il Festival che porta il nome della città che amministrano. Dal bando emerge una visione provinciale, strapaesana e parassitaria nei confronti di uno spettacolo tv"

“Sa cosa hanno chiesto mercoledì quelli del comune di Sanremo come requisito per affidare il Festival  a un broadcaster tv?”. Lo dica lei. “Mica dicono di voler fare investimenti”. No? “Chiedono cose del tipo che il 20 per cento dei posti al Teatro Ariston sia riservato agli ospiti del Comune”. Ah. “E poi inseriscono righe e clausole impegnando l’emittente televisiva, dunque la Rai, a trasmettere su reti nazionali una specie di sagra paesana chiamata ‘Sanremo in fiore’. Questo gli interessa. Non capiscono nemmeno cos’è il Festival che porta il nome della città che amministrano”. Dice così Enzo Mazza, Ceo della Fimi, la federazione che riunisce le major discografiche. Sony, Universal, Warner... Mazza è letteralmente la discografia, in Italia.   Mercoledì il comune ligure, proprietario del marchio del Festival della canzone, ha messo a gara la trasmissione e l’organizzazione di Sanremo. Come richiesto dal Tar della Liguria. Ma quello che emerge non è il rischio che lo trasmetta qualcuno che non sia la Rai (d’altra parte il bando è ritagliato sulla Rai). Quello che emerge, dice Mazza, “è una visione provinciale, strapaesana e parassitaria nei confronti di uno spettacolo tv che cresce malgrado la città di Sanremo”. 

 

Il Festival di Sanremo negli ultimi anni è diventato un fenomeno gigantesco in termini di ascolti, investimenti pubblicitari e ricavi.   “Ma mentre tutti investono e si modernizzano, il comune non viene dietro. Anzi diventa un problema”, dice Enzo Mazza. “In questo bando, per dire, non si tiene in nessun modo conto dell’industria discografica. Della musica, che è poi la materia prima del Festival. Sanremo, senza la musica, sarebbe una scatola vuota. Eppure, in questo bando del comune, nemmeno si fa cenno al teatro Ariston, per esempio. Che è un luogo  troppo piccolo, stretto ormai per uno spettacolo come quello”. In effetti lo abbiamo visitato: solo i grandangoli delle telecamere possono farlo apparire grande. “Ma certo.  Lì non ci si muove nemmeno dietro le quinte. E’ palesemente inadatto. Chiedetelo a qualunque operatore del settore degli spettacoli. Lo sanno tutti. L’Eurovision, per esempio, che è un grande spettacolo musicale e televisivo paragonabile a Sanremo, non soltanto si tiene in città che offrono spazi, servizi e infrastrutture adeguate. Ma viene trasmesso in centri di produzione attrezzati  per un evento di quelle dimensioni e capaci anche di accogliere un pubblico ampio. Numeroso. Parlo di diecimila, quindicimila posti contro i millecinquecento dell’Ariston. Non so se è chiara la proporzione?”.

 

Per rendere l’idea di cos’è diventato il Festival, uno spettacolo attorno al quale ruotano influencer, marchi della moda, case di produzione cinematografiche, aziende dell’agroalimentare e persino della tecnologia, radio, televisioni, piattaforme audio e di streaming, insomma per far capire quanto sarebbe necessario che anche la città accompagni lo sviluppo di un fenomeno industriale di queste dimensioni, la federazione dei discografici ha diffuso alcuni dati relativi all’ultima edizione. L’impatto economico del Festival 2025 è stato  pari a 245 milioni di euro, in crescita di 40 milioni  rispetto all’edizione precedente. “Tutti ricavi che derivano dalla discografia. Derivano dalle canzoni”, dice Mazza. “Eppure per la discografia, per le canzoni e per le esigenze degli artisti e dell’industria musicale non  c’è nessuna attenzione”.

 

Per esempio? “Non c’è un teatro adeguato, come dicevamo. Perché non l’hanno voluto costruire. Non c’è una gestione ordinata dell’enorme flusso di persone in città, e dunque gli spostamenti degli artisti sono complicatissimi e dispendiosi. Non c’è nemmeno un’infrastruttura alberghiera e ricettiva sufficiente, al punto che gli ospiti internazionali  vanno sempre a dormire in Francia. E questo tralasciando il fatto che è difficile arrivarci da Milano visto che l’autostrada è tale solo di nome e da Roma è addirittura un viaggio della speranza”. Sulla posizione geografica di Sanremo c’è poco da fare. Sul resto? “Su tutto il resto la politica della città potrebbe essere più lungimirante”.

 

Invece che fanno? “Un bando che oltre ai fiori e ai biglietti omaggio, si concentra sull’obiettivo di scippare un ulteriore milione e mezzo di euro alla Rai che viene girato alla famiglia proprietaria e monopolista del teatro Ariston. Tutto qua. Non hanno nessuna visione. Non hanno idee. Sono un freno”. Alla Rai ogni tanto parlano di fare un Festival nel centro di produzione tv a Torino. Eppure Sanremo, la città, ha una sua forza evocativa. E storica. Sarebbe un peccato. “Un giorno, andando avanti così, finirà davvero che quel Festival si farà da un’altra parte. A Sanremo resteranno il nome, e il ricordo di un lontano passato che fu glorioso”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.