LEZIONI DI FELICITA'

Mariarosa Mancuso

    Andrebbe somministrato con la forza a un sacco di gente. A chi si lamenta che troppo pochi, poi schifa “Il Codice da Vinci”. A chi lamenta che i film degli Oscar erano cupi e senza speranza (e “Juno”, allora?), ma mai andrebbe a vedere qualcosa con la parola “Felicità” nel titolo. A chi per anni ha spernacchiato le canzoni dove cuore rimava con amore, per ritrovare sul palco di Sanremo due che gorgheggiavano “perdutamente tua” e “perdutamente mia” (l'avverbio nobilita, l'abbiamo sempre sospettato). A chi dice “proustiano” per fare bella figura, a chi pensa che i film divertenti siano anche sciocchi, a chi chiude la recensione su Repubblica con una faccetta immusonita, avvertendo che le cose sono più complesse, e Jacques Tati era meglio. Raramente i film sul vizio solitario della scrittura sono sopportabili: ancora ricordiamo Colin Farrell - John Fante in canottiera e bretelle davanti alla macchina da scrivere. Quanto ai lettori, sono vecchi topi di biblioteca, o fanatici come in “Misery con deve morire”. “Lezioni di felicità” evita l'una e l'altra trappola. A Charleroi, Belgio, la protagonista sciampista (categoria dello spirito: fa la commessa in profumeria, nel tempo libero cuce le piume sui costumi del Moulin Rouge) legge in autobus il suo romanzaccio preferito. Ed è tanta la felicità che si libra a mezz'aria, o si mette a cantare in cucina. Dirige Eric-Emmanuel Schmitt, romanziere e autore teatrale francese: il suo libro più conosciuto è “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”, il più cattivo “Piccoli crimini coniugali”, il più biblico “Il vangelo secondo Pilato”, il più fantastorico “La parte dell'altro”, dove immagina Hitler studente alla scuola d'arte. Durante le riprese, tra altre cose pericolose, l'assicurazione gli aveva proibito di scrivere. Come un fanciullo dispettoso, mise sulla carta la storia di “Odette Toulemonde” (da E/O, come quasi tutti gli altri titoli). La trama è semplice: la lettrice devota incontra il romanziere dei suoi sogni, - uno che secondo i nemici passa più tempo a firmare libri che a scriverli - dopo avergli scritto una lettera d'amore. Lo svolgimento raffinato. “Nome proustiano” dice il romanziere a Odette, che non capisce e ribatte: “Io con quel nome conosco solo barboncini”. Quando le dicono del premio Nobel, vuol sapere le regole per iscriversi al concorso.