RACCONTI DA STOCCOLMA

Mariarosa Mancuso

    Durante un'intervista, Anders Nilsson ha fatto il paragone con Alfred Hitchcock: li accomuna a suo personale giudizio la violenza inquadrata dalla parte delle vittime. Paragone da disfare prima che l'interessato faccia spallucce da lassù (certo non è tipo da scagliare fulmini). Un conto è raccontare una storia dal punto di vista di chi prende le botte, o viene inseguito, o deve farsi riconoscere dal figliolo rapito cantando “Que sera sera”, o scorge un aeroplanino che vola in mezzo ai campi senza spruzzare insetticida. Un altro conto è costruire un film capace di risucchiare lo spettatore nelle spire della narrazione, non proporsi soltanto per il suo valore sociale e civile. Del resto, lo svedese non intendeva girare un thriller, ma rendere attenti gli spettatori sulle violenze domestiche, dove il carnefice è uno che conosci bene. “Racconti da Stoccolma” ha avuto un premio Amnesty International, è stato prontamente adottato dalla sezione italiana dell'organizzazione, in contemporanea con il visto di censura che lo vieta ai minori di quattordici anni. Veto inutile, giacché i tredicenni non andranno a vedere il film, se non costretti dai genitori o dagli insegnanti. Meglio che stiano nella cameretta a far stragi con Grand Theft Auto (è infatti opinione da noi pervicacemente coltivata, a rischio di rimbrotti da parte degli educatori, che la violenza virtuale possa essere – ahimé va detto, non esiste aggettivo sostitutivo – catartica). Le buone intenzioni rischiano risultati contrari: valga come esempio la produzione di biocarburanti e il suo disastroso effetto sui poveri della terra. Al cinema, producono film come questo: lento di passo perché anche i distratti afferrino, con tre storie diverse per mostrare che la violenza (contro le donne ma non solo) prospera in casa o nel quartiere. Fare un film soltanto su Leyla e sua sorella, malmenate da un padre immigrato che non le vuole far uscire di casa, sembrava poco rispettoso verso le culture altre. Questa però è la storia più interessante, che culmina in un atroce consiglio di famiglia. Anders Nilsson aggiunge allora una storia tutta svedese, tra benestanti. Una moglie che ha successo come giornalista televisiva, e mentre sul lavoro la lodano a casa le prende di santa ragione. Quando la moderna Nora porta la rivoluzione nella casa di bambola, i primi a darle contro saranno i colleghi.