ÜÇ MAYMUN (Cannes, in concorso)

Mariarosa Mancuso

    Teorema: ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Corollario: ogni famiglia infelice turca lo è in maniera dannatamente noiosa. Siamo al circolo vizioso: ogni volta che Nuri Bilge Ceylan gira un film lo invitano a un festival e torna a casa con un premio. Quindi l'anno dopo gira un film ancora più lento, sperando che il premio cresca di valore. Ora che ambisce alla Palma d'Oro, la lentezza diventa intollerabile anche per chi si è allenato  con i suoi film precedenti: “Distanza” e “Il piacere e l'amore” (titolo italiano attiraspettatore: nell'originale era “Climi”, solo Luca Mercalli avrebbe fatto staccare un biglietto). Una certa fissazione meteorologica continua: nella sua Turchia c'è solo pioggia e vento, mai un raggio di sole. La sua idea di scena coinvolgente mostra un uomo e una donna che litigano in campo lungo, seduti su un rudere, con nuvole nere in cielo, e straccio che funge da anemometro, misurando la velocità del vento (supponiamo anche la miseria delle cose umane, e la facilità con cui si seducono le giurie).