ELDORADO (Cannes, Quinzaine des Réalisateurs)

Mariarosa Mancuso

    Il Belgio non è solo fratelli Dardenne. Qualcuno – parlando di cinema, non stiamo gareggiando con i pregiudizi che il killer irlandese Colin Farrell sfodera nel film “In Bruges – La coscienza dell'assassino” – sa far tesoro di perfetti tempi comici. Applicati, in “Eldorado”, alla più consunta delle situazioni: balordo incontra balordo, e insieme si mettono in viaggio a bordo di una Chevrolet del 1979, nel piattissimo paese cantato da Jacques Brel, inquadrato in cinemascope come una prateria western. Ma non si dà luogo comune che un regista bravo non sappia far tornare come nuovo. Assieme a Edouard Baer (maestro di cerimonie della serata inaugurale, dove abbiamo ritrovato in splendida forma Claude Lanzman, assente alla Fiera del Libro di Torino per gravi motivi di salute), il regista, sceneggiatore e attore era in una commedia tarantinesca ma gentile vista l'anno scorso a Locarno, “J'ai toujours rêvé d'être un gangster” di Samuel Benchetrit. Identico lo spunto: una rapina che va male. L'eroinomane Elie cerca di scassinare l'appartamento di Yvan (molto somigliante a un puffo, per restare tra le glorie nazionali della nazione belga). Si infila sotto il letto, patteggia, chiede soldi, poi un passaggio, poi compagnia per incontrare i genitori che non vede da tempo. Budget ridicolo, idee per tre film, neanche un passo falso.